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Jacopo Martini intervista

È vitale seguire artisti come questo, che mentre si occupano di salvare la musica, hanno anche l’umiltà di dirti grazie quando li ascolti

Ho incontrato Jacopo Martini, fuori con il suo ep “Canzoni” per Zefiro Records/Island Records (la nostra recensione), poche ore prima dello showcase live ospitato da Island sulla suggestiva terrazza della sede Universal a Milano in via Nervesa, degno quartier generale finalmente di una casa discografica che come tutte sta ridefinendo la propria identità, ma che così riacquista una “casa” con anche gli studi di registrazione nei quali sarà più facile fare mentoring e sostenere gli artisti al di là della distribuzione e della promozione. 

L’artista, ormai di lunga e solida esperienza, come ci dirà, passato anche per X-Factor dopo la formazione al Berklee College of Music e una vita a fare musica fin dalla prima adolescenza, è passato per una fase di carriera Pop elettronico contemporaneo sotto lo pseudonimo di Jacopo Planet, con cui venne escluso da X-Factor grazie al voto autorevole di Ambra Angiolini, e ha con questo ep vuotato gli armadi della propria intimità restituendo un album sincero, raffinato ma umano senza sofisticazione e anzi con radici quasi folk. Durante lo showcase passerà, oltre a cantare, dal clarinetto, alla chitarra, all’armonica.

Jacopo si presenta con la sua gentilezza e un cappello da baseball in testa a contenere la lunga chioma castana e a rispondere alle mie domande, guardandomi con gli occhi vivaci di chi avrà sempre sensibilità verso il giudizio altrui malgrado la sicurezza, in questo caso, di una preparazione musicale di alto livello che traspare da tutto ciò che ha fatto e che fa, e una componente umana anche ironica che è sempre emersa dai testi e che nutre e ha sempre nutrito la struttura puramente musicale dei brani. Ma se ascoltate la discografia di Jacopo Planet, non aspettatevi niente di simile a “Canzoni”.

La prima domanda è su questo suo album a mio parere molto interessante, che, oltre a un cambiamento di stile, sancisce il passaggio fra Jacopo Planet e Jacopo Martini, e rivela un nuovo mondo espressivo più personale che forse si aspetta un cambiamento di audience. Intanto grazie per i complimenti, hai detto che è interessante, che è già un bel punto di partenza. Rispetto a Jacopo Planet queste canzoni sono nate in un momento in cui avevo fatto già tante cose, musicalmente, un percorso, dopo il quale mi sono ritrovato a dirmi OK, però adesso io voglio fare la mia musica, quello che mi piace a me (da leggere con il moderato, ma presente, accento toscano); quando poi ho cominciato a scrivere le canzoni, ricordo benissimo questa sensazione di dirmi ma questo non e lo ascolterà nessuno… è talmente personale, sporco anche, e mi sono detto vabbè, questo è il mio disco, ma proprio il mio disco. Poi mi ricordo di aver chiesto a un mio amico musicista, in Francia, gli ho comunicato che ero preoccupato, e che avevo fatto questo disco, però pensavo fosse veramente troppo personale… e lui mi ha detto questo: la cosa più intima è la cosa più universale. 

Ed è vero! La cosa che mi è piaciuta di questo album è proprio che c’è una dimensione stavolta faccio quello che voglio. E questo però, a me che sono all’esterno, ha comunicato ricerca, passione, musica interessante e messaggi che mi suscitano una domanda proprio sui contenuti. Ho letto in passato che Jacopo ha questo principio, che condivido molto, che la canzone, l’opera, tu la pensi, ma quando la scrivi prende una forma che magari non è neanche quella che tu hai progettato o controllato. Sarà successo anche in questo caso? Totalmente. Anzi secondo me è anche un po’ una cosa stranamente un po’… Oso dire, dolorosa, perché quando decidi, ti metti in testa faccio un disco oppure voglio fare un’opera un po’ più completa… dopo scopri quello che fai, e ascolti, e ti dici cazzo io sono questo? Non era come l’avevo pensato, e te lo devi accollare. Quindi c’è una parte di scoperta personale e una parte di scoperta anche da ascoltatore esterno. Adesso che i brani sono usciti, oggi sto scoprendo, in questo momento, cose sempre nuove, penso questo brano mi ha fatto pensare a mia nonna, c’è dentro dentro tantissima roba… E dico ah, wow… Poi uno paraculo dopo se la racconta, dice volevo raccontare quello … 

Il significato si costruisce anche dopo, ma l’importante è che comunque c’era già dentro prima. Fra l’altro, per dare ragione al suo amico, a lui ha fatto pensare a sua nonna, ma magari a me fa pensare alla mia. Questo è il potere della musica.  Anche il target di questo ep potrà essere magari più intimo, più vicino, più locale, anche più interessato a un livello culturale diverso, ma magari meno internazionale forse? O non c’è questo limite? Ci sono tantissimi strati in quello che mi stai chiedendo. Io penso che in realtà le mie scelte musicali di questo disco siano intrinsecamente molto internazionali, perché c’è un’italianità come la si percepisce anche all’estero, che parla anche all’estero, e quindi racconta anche purtroppo la dolcevita, queste sonorità che ci troviamo nell’italianità antica… “antica”…  Però permette di parlare a un pubblico internazionale, risuona in loro qualcosa di quell’esotico piacevole italiano. Poi da un punto di vista personale è per me è uno statement mio: io sono in Italia, io sono Jacopo Martini, è il nome che mi ha dato il mi’ babbo e la mia mamma, c’è dentro anche la Maremma, ed è come io vivo questa mia italianità.

Certo, italianità come contenuto e come ispirazione, non come portata dell’album. Faccio una domanda per la rivista: gli dico la parola “Rock” e vedo che cosa tira fuori. Io il Rock l’ho ascoltato tantissimo da giovane, ma soprattutto Classic Rock, se uno ci fa caso, ci sono nella mia musica delle sonorità che lo ricordano, e nel Classic Rock in particolare quello che c’è di acustico, quindi per esempio i Black Sabbath di “Planet Caravan”, oppure i Green Day ci hanno… come si chiama? E qui partiamo in un duetto cantando insieme, io male e lui bene, con quella voce morbida e sonora, ma entrambi con dubbia certezza del testo… na na na… something unpredictable… perché aspettiamo di arrivare alla fine della strofa in cui c’è il titolo… time of your life! Ah ah sì ecco, “Time of your Life” ci diciamo tutti orgogliosi. Ma la mattina dopo mio figlio quando gli avrò raccontato mi dirà… papà, guarda che si chiama “Good Riddance”. Eh, Jacopo, si chiama “Good Riddance” … Però fra parentesi “Time of your Life”! Quella, e poi anche “Basket Case”, perché uno normalmente fa caso al ritmo, ma melodicamente è pazzesca, oppure nei Led Zeppelin “D’yer Mak’er”, o “Going to California”, la parte Folk, quella che odiava Jimmy Page, a me fa impazzire invece. E poi, che nascono dal Rock, però i miei artisti preferiti, la ragione per cui dicevo che questo disco non se lo ascolterà nessuno, perché questi artisti li ascoltano molto pochi, sono Van Morrison e Labi Siffre, e poi in Italia Lucio Battisti… In realtà Lucio Battisti mi piace proprio tanto, ascolto ancora adesso “Era”, e mi dico ah…! In realtà… eh… sì.

Era un modo di fare musica che io ritrovo nell’album, che l’industria degli algoritmi sta togliendo di mezzo. È un mettere quel “forte” in quel punto dove magari l’algoritmo non premierebbe, però lo metto lo stesso, una domanda che prima non ci si faceva, l’andamento del pezzo che non è necessariamente fatto in modo che sia commercialmente compatibile, e quella è un po’ la speranza che rimane alla musica futura… Se proprio vogliamo andare in quel discorso dell’AI, secondo me è una ricchezza incredibile; quello che sarà bello sempre di più è vedere l’essere umano che, proprio perché c’è tutto quello, sta lì e si suicida e perde tempo a fare un disco! È quella la cosa più poetica, più bella; quella rimarrà secondo me, e sarà ancora più bello vedere uno che sta lì con lo scalpello a fare la sua cosetta… Ben venga allora l’AI che mi toglie i problemi più noiosi, o come suggerisci tu nell’impasse creativa. Io sto già iniziando a usarlo più per i video (Jacopo è anche regista, NdR), però lo sto già buttando giù proprio per scoperta. 

A questo punto è interessante capire che cosa si aspetta da chi ascolterà l’album. Io sto già oggi, e comunque io faccio musica da quando ho 13 anni, poi se vuoi ti manderò pure un video (me l’ha mandato, eccolo ) dove suono la chitarra per strada a 13 anni coi capelli biondi, lunghi, quindi è tanto tempo che faccio musica e che tiro fuori roba, e questo è l’ennesimo nuovo progetto, però è l’ultimo per forza, perché siamo arrivati al mio vero nome.  Quello che sto notando oggi, e prime cose che mi stanno dicendo, è che veramente c’è qualcosa di emotivo che si accende nelle persone. Tre o quattro persone mi hanno già scritto oggi: mi sembra di vedere quel bambino con cui giocavo da piccolo, mi sembra di capire finalmente chi sei.

Sicuramente un cambio di rotta. La domanda di rito che va fatta in questi casi è, visto che ha detto “l’ultimo” ma si potrebbe dire il primo di un percorso, quali sono i progetti futuri. Io in realtà sento che ci sono ancora un po’ di cose che voglio dire così… c’è ancora qualcosina… più che qualcosina, diciamo c’è ancora un po’ da raccontare in questa vena. Elvis Costello dice: il primo disco hai 25 anni per farlo, per il secondo hai un anno. Io in realtà ho più di un disco in quei 25 anni e quindi c’è ancora ancora roba… Per fare Canzoni 2, 3 e 4? Ora, fino al 3 non direi, però sento che ho voglia di avere un repertorio anche da portare live che sia consistente, che ci permetta di fare un viaggio intero. Ho già dei piccoli showcase, dei format per far conoscere l’album, e poi si spererebbe che dall’autunno si entri proprio in un tour.

Accompagnato da…? Ho scelto adesso dei musicisti che hanno la sensibilità e il gusto, ma non solo la sensibilità di capirlo, ma che abbiano voglia come dire… Ad esempio ho un pezzo che si chiama “Gloria” che è un po’ un quadro astratto, potrei cantarlo qua e la prossima volta cambiare le parole, e i musicisti devono un po’ avere quella cosa lì; sono tre accordi, lo può suonare chiunque, però ci vuole “quella cosa lì”. Le live session le abbiamo fatte con Franz Aprili alla batteria e percussioni e Matteo Domenichelli al basso e il coro delle donne di Magliano, mentre stasera alla presentazione dell’album ho Agnese Antonelli detta Ines alla viola, Davide Fabrizio alla batteria e percussioni, e poi Elisabetta Pasquale che suona il basso e canta.

Quando sento musica come questa, sono felice che ci sia ancora qualcuno che la fa ancora, e secondo me c’è anche gente che la ascolta. Entriamo in una riflessione sul panorama musicale che si sta un po’ dividendo in due, tutto ciò che era più commerciale sta crollando verso uno standard, e quindi di tutto il resto, di tutto quello che è un po’ diverso, c’è tanto bisogno, e speriamo che a tenere viva la musica siano persone che suonano e vanno a cercare magari le radici, o cose dentro di sé come ha fatto Jacopo Martini: elementi che sento essere suoi e che ha voluto portare nell’album. Totalmente. Io ti ringrazio per tutto e anche per avuto il tempo di ascoltare.

Articolo di Nicola Rovetta

Foto credit Cecilia Chiaramonte

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