Kyoto è il progetto guidato dalla cantante e polistrumentista Roberta Russo, che sta facendo parlare di sé grazie al suo mix di rumorismo Industrial, attitudine Post Punk, sonorità etniche e spoken word: abbiamo incontrato Roberta a Torino dopo la sua esibizione insieme al collettivo Canta fino a dieci, dove abbiamo parlato, tra le altre cose, di musica, teatro e del ruolo dell’artista nella società di oggi.
Roberta vuoi parlarci della storia del progetto Kyoto?
Kyoto nasce durante il Covid, nel 2020. Io però suono da quando avevo circa quindici anni, ho studiato batteria per nove anni per poi in seguito abbandonarla per un periodo; durante la pandemia, però, essendo cresciuta ascoltando rap e appunto avendo questi trascorsi batteristici, ho iniziato ad appassionarmi al beatbox e a sperimentare con la loop station, inizialmente facendo basi solo con la voce. Poi piano piano ho aggiunto un synth e la batteria elettronica, ho iniziato a scrivere testi e il risultato è stato Kyoto.
Mi è sempre piaciuta la musica da quando ero molto piccola, partendo dal rap poi la cosa si è ampliata e tra le mie varie influenze, che a mio parere oggi sono evidenti nella mia musica, ci sono nomi della scena alternativa italiana come CCCP, Teatro degli Orrori, Bluvertigo, senza dimenticare Iosonouncane che mi ha aperto le orecchie avvicinandomi a un contesto più sperimentale, mentre a livello internazionale direi che, a parte nomi iconici come Radiohead o Bjork, c’è molto Fever Ray, Gazelle Twin, personaggi questi legati a doppio filo anche con il mondo delle colonne sonore. Aggiungo che mi appassiona molto la musica tradizionale, così ho pensato, chi sperimenta con la musica tradizionale? Quindi, tutto ciò ha fatto emergere Kyoto, che inizialmente era un progetto solista: nel 2023 però si è inserito anche il musicista e produttore Truemantic, che ora è parte integrante del progetto e che ne rappresenta, diciamo, la parte più razionale nonché quella più tecnica. Da questo connubio tra le sue influenze e le mie è nato così il nostro mix di Post Punk, Industrial, World Music e testi cantautorali. Infine, in occasione delle date estive di quest’anno abbiamo deciso di allargare la band ad altri due musicisti, quindi oltre a me che mi occupo di voce, synth, batteria elettronica, ibrida, acustica, e Truemantic ai synth, si sono aggiunti il violino elettrico di Corrado Ciervo e la batteria di Michele Ciccimarra.
Quanto il tuo stretto rapporto con le percussioni va ad influenzare il tuo modo di comporre? Per esempio, parti da pattern ritmici quando inizi a scrivere?
Questa cosa influenza tantissimo perché comunque lo strumento che effettivamente padroneggio meglio è la batteria, quindi va da sé che la musica che facciamo risulta avere una forte connotazione ritmica, percussiva, tribale, le percussioni sono l’elemento caratterizzante. Quindi penso che non esisterebbe quello che faccio, almeno in questa forma, se non fosse per l’importanza che l’elemento ritmico ha nella mia vita e nel mio progetto.
Parliamo della tua collaborazione con Truemantic: com’è nato questo sodalizio artistico? Quanto va ad influenzare il tuo lavoro? Kyoto sarebbe la stessa senza di lui?
No, assolutamente no, non sarebbe la stessa, ci completiamo a livello artistico e io penso che ormai Truemantic sia proprio l’altra metà di Kyoto: io e lui veniamo da ascolti molto diversi, ma complementari, e ciò ha fatto sì che il progetto si evolvesse e funzionasse; anche lui prima aveva un suo progetto, ma dal nostro incontro le cose sono cambiate per entrambi. Io stavo suonando parecchio in realtà da ancora prima, ma da quando è arrivato Truemantic il livello tecnico si è triplicato, perché io ho delle competenze che lui non ha e viceversa. Io sono la parte un po’ più istintiva, mentre lui è quella ragionata, e sono convinta che servano entrambe per una buona riuscita di qualsiasi progetto artistico, perché se hai una e non l’altra secondo me manca sempre qualcosa. Quindi sì, penso che Truemantic sia assolutamente essenziale nella musica di Kyoto.
I tuoi testi sono, secondo me, intrisi di forza surrealista, e credo che il loro potere stia nel comunicare non tanto a parole ma con delle immagini: come nasce un testo di Kyoto? È qualcosa di istintivo o usi qualche tecnica, il cut up per esempio?
No, è totalmente istintivo! Questo primo ep (“LIMES LIMEN” del 2024) è venuto fuori in maniera davvero molto istintiva, non avevo idea di quello che sarebbe uscito, anche se ero consapevole di ciò che ambivo ad ottenere a livello sonoro, e ovviamente volevo mettere in risalto nei testi le mie convinzioni, non tanto politiche quanto di individuo pensante. Insomma, desideravo esprimere tutto questo nelle mie canzoni, ma il filo conduttore, il concetto di limite, di sfaccettature, mi è diventato chiaro quando mi sono ritrovata in mano i brani praticamente finiti, perché probabilmente era già in me a livello inconscio.
A proposito di parole, tu hai uno stretto rapporto anche con l’esperienza teatrale: hai prodotto le musiche per uno studio liberamente ispirato al testo di Calvino “Le città invisibili” insieme a Giuseppe Ciciriello, hai lavorato alle musiche per uno spettacolo sperimentale ispirato alla versione di Antigone di Jean Anouihl diretto da Enzo Toma, e in tempi recentissimi hai scritto le musiche per lo spettacolo “Inventario di un corpo eretico” con il collettivo Noctua. Quanto l’esperienza teatrale va a influenzare la musica di Kyoto e viceversa? E come cambia il tuo modo di scrivere quando deve rapportarsi al testo di uno spettacolo?
Il primo spettacolo a cui ho collaborato è stato l’Antigone, dove mi è stata lasciata carta bianca e ho potuto metterci molto di ciò che era la Kyoto degli albori. Ho potuto anche improvvisare molto, che è una cosa che adoro fare: c’erano dei punti fermi, ma anche delle parti in cui potevo dipingere liberamente dei paesaggi sonori, di volta in volta differenti. Con lo spettacolo su Calvino è stato diverso, abbiamo scritto canzoni ad hoc per delle parti mentre altre invece erano delle sonorizzazioni, alcune fatte dal vivo e altre, diciamo, registrate o rifatte, giocavo molto con la voce, looppavo, e così via.
Infine, “Diario di un corpo eretico” è stato quello che mi ha messa di più alla prova, perché la regista aveva le idee molto chiare, molto precise su quello che voleva: il fatto che io fossi batterista la gasava moltissimo e quindi abbiamo basato tutto su quello. C’è stata davvero tantissima improvvisazione, anche se con alcuni punti fermi. Nella prima parte io suono solamente la batteria, senza microfonazione, senza niente, successivamente unisco l’elettronica e le percussioni, dopodiché, nella parte più asciutta e cruda dello spettacolo mi inserisco con dei loop che ho creato appositamente, mentre in altri momenti suono lo jambè, per dare un feel tribale a ciò che succede sul palco.
Credo che essere minimale in queste situazioni sia la cosa migliore, altrimenti prendi troppo il sopravvento sugli attori e non va bene, quindi è un continuo mettermi alla prova. C’è una stretta correlazione tra Kyoto e il teatro già di base in realtà, perché comunque quando sono sul palco sono molto performativa, la parte recitata c’è sempre stata in maniera inconscia. Forse il corso di teatro che ho fatto alle medie è servito a qualcosa!
Parlaci della tua collaborazione con il collettivo Canta fino a dieci!
Ormai sono un felice membro della band resident! È partito tutto poco più di un anno fa, quando ho conosciuto Francamente, e tra noi c’è subito stata una scintilla, siamo diventati super amiche, ci stimiamo musicalmente nonostante facciamo cose molto diverse, perché penso che nella musica la cosa che lega le persone non sia tanto il genere di provenienza quanto la sensibilità nell’approccio ad essa, che rappresenta l’anima del musicista. Di conseguenza ci siamo trovate in sintonia, e qualche mese fa mi ha detto che lei e le ragazze (le cantautrici Irene Buselli, Anna Castiglia, Rossana De Pace e Valeria Rossi, in arte Cheriach Re) volevano ampliare la formazione e hanno pensato a me! Quindi ci siamo chiuse a provare per una settimana a Milano ed è uscita questa roba incredibile! Credo che l’idea sia quella di continuare a esibirci in dieci sul palco, tra membri fondatori, resident e ospiti. Poi vedrete che il collettivo cambierà un po’, insomma, ora si è molto aperto, non sarà più così fisso nei suoi componenti come è stato fino a poco tempo fa. Non posso dire di più!
Quanto il ruolo e le parole dell’artista riescono a “spostare” l’opinione pubblica? Non si rischia che, complici i meccanismi dei social network, un messaggio, per quanto giusto, si svuoti di significato per assumere solo un valore estetico che poi in concreto non porta a nulla? Non per colpa dell’artista, ma più per il fatto che la maggior parte dei destinatari è ormai anestetizzata a livello politico e sociale.
Sono convinta che a vederla in questo modo non dovremmo più fare niente! Meglio almeno sperare di smuovere qualcosa o qualcuno piuttosto che non farlo. Bisogna sempre esprimere il proprio pensiero, per gli artisti ancora di più, perché è un privilegio quello di stare su un palco, avere persone che ti seguono e quindi avere una voce più grande. Stare zitti su determinati argomenti non è un’opzione accettabile dal mio punto di vista, quindi a prescindere da quanto le mie parole saranno ascoltate io continuerò a esprimermi, sicuramente. Penso che in questo periodo storico soprattutto, con tutto quello che sta succedendo, sia necessario per la musica veicolare messaggi importanti, e anche la recente rinascita del Punk lo dimostra, che è il genere che per antonomasia rappresenta il grido di chi vuole far sentire la propria voce. C’è tanta rabbia e tanta voglia da parte anche delle nuovissime generazioni di esprimere con forza il proprio pensiero politico e sociale, cosa che ritengo assolutamente positiva.
Quest’estate, al Medimex avete aperto per i Massive Attack, e al Mojotic per i PiL di John Lydon: come è stato per te rapportarti con personaggi leggendari di questo calibro?
Ti giuro che non so rispondere! Non so nemmeno come mi sono trovata lì, per me è stata una cosa così assurda… Sono assolutamente felice e riconoscente verso chi ci ha permesso di partecipare a eventi così importanti, e devo dire che il riscontro che abbiamo avuto è stato pazzesco! Me ne sono resa conto ancora di più al Medimex, la gente era ovviamente lì per i Massive Attack, le aperture sono di per sé una cosa complessa e noi non è che fossimo proprio in linea come stile musicale, anche se, come dicevamo prima, ci accomuna con i Massive Attack il fatto di portare avanti determinate idee, determinati pensieri sul mondo. Loro sappiamo tutti essere molto attivi in questo senso, e noi da parte nostra cerchiamo di fare del nostro meglio, anche se in un contesto più piccolo! Vedere la reazione così entusiasta del pubblico è stato un momento importante per Kyoto, si parla ancora di quel live e io sono molto felice, molto contenta, è stato incredibile!
Articolo di Alberto Pani, foto di Silvia Sangregorio
