16/07/2025

Satchvai Band feat. Joe Satriani & Steve Vai, Perugia

16/07/2025

Ben Harper & The Innocent Criminals, Fermo (MC)

16/07/2025

Queens Of The Stone Age, Romano d’Ezzelino (VI)

16/07/2025

Calibro 35, Vicenza

16/07/2025

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16/07/2025

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16/07/2025

The Boomtown Rats, Pordenone

16/07/2025

Nick Cave, Mantova

17/07/2025

Satchvai Band feat. Joe Satriani & Steve Vai, Bologna

17/07/2025

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17/07/2025

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Modà intervista

Durante la conferenza stampa che ha preceduto il concerto, lungo confronto con Kekko Silvestre, voce, autore e centro del progetto musicale

Evento memorabile il 12 giugno allo stadio di San Siro di Milano dove i Modà sono tornati dopo nove anni a riprendere il dialogo con gradinate gremite da 56mila persone vere, non un sold-out farlocco, e lo hanno fatto con una professionalità e un’intensità emotiva che né la AI né la Trap potranno mai avvicinare (il nostro report). Tanto che, sappiamo in queste ore, una nuova data milanese è stata aggiunta per il 2 novembre all’Unipol Forum di Assago.

Durante la conferenza stampa che ha preceduto il concerto i Modà, ma soprattutto Kekko Silvestre, la voce, autore e centro del progetto musicale, dopo essersi dedicati ai fan che avevano scelto il Meet&Greet dimostrando l’attenzione che solo le persone estremamente sensibili possono avere, ricordando persone e episodi tu sei la ragazzina che veniva a sentirci… mi ricordo benissimo! ha dedicato se stesso ai giornalisti.

Con il collo protetto da una sciarpa per preservare la voce, ha ricevuto domande, scontate come quella sulla depressione fatta da chi forse non conosce bene il disturbo e domanda se ne sia uscito, non lo so se sono uscito perché la depressione non è un virus: vive dentro di te, sta un po’ all’attitudine che hai tu verso la tua vita… sicuramente questo è un momento migliore perché è positivo per me rispetto a quello che ho passato. Come ne sono uscito… parlandone, curandomi, mi sto curando ancora, non finisce in maniera così semplice. Il messaggio positivo che cerco sempre di dare è quello di non abbassare mai la testa, di cercare di reagire. Parlare è la prima mossa per reagire, farsi aiutare è la seconda mossa e poi ci vuole la tua forza di volontà perché se no non vai da nessuna parte. Chiaramente, se mi avessero detto qualche anno fa che ci sarebbe stato un concerto a San Siro non avrei accettato, perché non avrei avuto le forze mentali per affrontare una cosa del genere… non so neanche se le ho oggi! Kekko ironizza, è facile fare il figo prima, e setta l’aspettativa per quello che succederà dopo mettendoci con le antenne dritte a vedere se “ce la farà” (spoiler: ce l’ha fatta), ma comunicando il lato umano di ogni artista che è sempre a un passo dalla rottura dell’equilibrio sotto la pressione dell’ansia da performance e dalla dipendenza dal giudizio degli altri, di cui ci dovremmo anche ricordare quando invidiamo o pretendiamo, almeno da quelli che ce la mettono tutta.

È uno sforzo mentale di dimensioni grandissime per uno che non è abituato, perché noi non facciamo gli stadi, sono sempre stati eventi speciali; quindi passare dall’ultimo teatro che abbiamo fatto, a San Siro, mi sono [spaventato] – usa un’espressione scatologica tipicamente lombarda un po’ diversa, NdR – ma è una paura bella, perché spesso dopo le paure ci sono le cose belle.

In risposta all’insistenza di chi vorrebbe, spero anche per bontà, poter scrivere che ne è uscito, dice è un bel momento, non mi sento mai di dire che sono guarito e parla ancora della depressione, e qui un appello di pubblica utilità di Rock Nation: la depressione non è essere matti, o essere tristi, o qualcosa di cui vergognarsi: è un disturbo che può e deve essere curato, quindi non date ascolto a chi dice “trova un fidanzato” o “dai domani passa”, fate una visita in più a uno psicologo per sicurezza, costa qualche euro ma davvero è come non andare dal dottore se dovete prendere un antibiotico.

Si parla di cosa è cambiato: noi siamo rimasti sempre gli stessi, siamo sempre la solita famiglia, che lotta ogni giorno per raggiungere i propri obiettivi, per difendere i propri sogni, perché in questi nove anni non siamo andati al mare, abbiamo dovuto lottare contro il sistema. Gli specialisti con cui andavo a parlare, gli psicologi, gli psichiatri mi dicevano che prima spendevo energie ma in giusta quantità; da quando ci siamo ritrovati in una situazione discografica compromessa – e per un artista significa l’equivalente che per un impiegato lavorare in un’azienda difficile, NdR – io ho dovuto spendere venti volte le energie mentali per raggiungere un terzo degli obiettivi che avevamo raggiunto prima. Quando sono tornato in Warner ho detto lo so che non facciamo più i numeri di una volta, ma il Presidente mi ha detto: tu sei un mostro. Chiunque per nove anni nelle tue condizioni a fare tre dischi e quattro tour sarebbe morto prima. E questo mi ha inorgoglito, ho pensato, ne è valsa la pena.

Arriva la prevedibile domanda sugli algoritmi, se è cambiato il modo di comporre in funzione di un mondo dominato dallo streaming: ci sono dei momenti in cui mi metto a scrivere e penso, cazzo la scrivo a fare, potrei scrivere anche “Imagine” ma non se la incula nessuno, si sfoga l’autore, il momento musicale vuole altro, e mi dispiace, perché ci sono cantautori, prendo Olly, prendo Alfa, che scrivono cose belle e interessanti e sono il futuro della musica Pop, però per il resto è una carneficina… io non trovo messaggi. Trovo rime assurde, la sagra della rima. Io non sono nessuno per poter giudicare, sono semplicemente un cantautore che si è ritrovato in anni belli in cui al Festivalbar c’era “Dammi tre parole”, “La cura” di Battiato, Biagio Antonacci con “Iris”, Max Pezzali… adesso ogni trasmissione è identica all’altra, arrivano proclamati campioni di streaming, mentre “8 Canzoni” è disco di legno, ed è per me il disco più bello che abbia mai scritto, poi però annunciano i concerti e fanno i buchi

C’è una distorsione da parte di tutto il sistema discografico, se facesse un po’ più di attenzione potrebbero venire fuori tanti cantautori giovani e bravi, a prescindere dai Modà, è una considerazione riguardo a tutto il panorama. Se prendo quelli della mia generazione, che so, Moro… scrive delle cose straordinarie… sembra che non esista più. Invece poi c’è “sticazzi” che… sette milioni di streaming… ma sette milioni di streaming ce li ho anche io. Noi abbiamo venduto due milioni di dischi (e un disco di Diamante, unica band italiana della storia da averlo ottenuto, 31 dischi di Platino, 9 dischi d’Oro, NdR) quando tu dovevi mettere il cappotto, le scarpe, andare giù al negozio, prendere la macchina o andare a piedi, l’ombrello se pioveva, pagare tu, e tornavi a casa e ti ascoltavi un CD. Io ora faccio un album, primo singolo, e ti dicono no, guarda che devi fare un altro disco, ormai è finito. Ma allora non scrivo più niente. Continuo a cantare.

A proposito di cantare, arriva la domanda su come si costruisce la scaletta per un concerto così: si costruisce piangendo, perché con centocinquanta canzoni, un album pubblicato e una Notte dei Romantici che deve essere un evento non puoi pensare di dare spazio a quello che piace a te, devi per forza fare un karaoke vero. Piangi per certe canzoni, io vorrei cantare una canzone per mio padre, però probabilmente piacerebbe solo a me. La tengo per un altro tour. A Diego piacerebbe suonare “Ti passerà” ma non ci sta perché non è stata mai capita, abbiamo cercato di mettere le canzoni per farle apprezzare a tutti senza dimenticare “8 Canzoni”, che per me è un disco importantissimo. L’unica cosa che cambia rispetto al passato è che noi apriamo sempre col botto, mentre stavolta apriamo con “Tutto non è niente” perché questa è la Notte dei Romantici quindi ci tenevamo a fare una cosa… romantica.

Sulla data di Cagliari, seconda dopo San Siro, c’è solo una coincidenza, ovvero che l’ultima volta in Sardegna è stata nove anni fa, dopo l’ultima volta a San Siro. Quest’anno facciamo la stessa cosa, San Siro, la Sardegna e dopo andiamo nei palazzetti. La scaletta sarà identica, non ci saranno ospiti (spoiler: ce n’è uno), e qua Kekko si sfoga senza fare nomi su collaborazioni del passato da cui si sono ritrovati poi sputati addosso, racconterà un episodio spiacevole con una collega (non è Emma) che a una telefonata di ordine personale risponde con un messaggio “se è per un duetto ho già accettato altre cose” e con il freddo e il silenzio fino a neanche salutare quando incrociata. E poi considera che chi va al concerto di un artista vuole vedere quell’artista, indipendentemente dal fatto che gli ospiti possano svecchiare una audience o generare una Instagram story in più.

La domanda successiva sulle generazioni di fan che si susseguono fa scaturire il ricordo di una conversazione con Roby Facchinetti dei Pooh voi siete uguali a noi, guarda il tuo pubblico: la nonna, il nipote, la coppia, l’adolescente, la moglie e il marito, le famiglie… allora le canzoni dicono qualcosa; piacciono a te quando le scrivi, ma poi devono piacere agli atri, diventano degli altri, allora mi sento meno solo, meno coglione. Ritrovarsi sempre le stesse persone che ti seguono perché fai le cose fatte bene è il massimo dell’appagamento.

Prima Kekko ha chiesto scusa per la conferenza stampa di San Siro del 2016 che definisce “una minchiata mia”, l’attacco alle radio dovuto alla frustrazione per la mancata promozione dell’album del momento, ma poi mantiene l’assetto di battaglia e arriva, richiesta, la domanda scomoda: sembri amareggiato, ce l’hai con qualcuno, ma chi? No, sono veramente contento, se ho dato questa impressione chiedo scusa… ah no… ho capito adesso a cosa ti riferisci. Sanremo. Certo. Sono rimasto di merda. Ho rosicato male, non da piangere perché piango ancora di notte senza farmi vedere da mia figlia perché come padre devi essere forte, ma quando sei quinto al televoto vuol dire che nei confronti del pubblico qualcosa di buono l’hai fatto. Quando poi sei ultimo per la stampa e ultimo per le radio… io se potessi farei queste tre domande. La canzone faceva schifo? Sì, lo accetto. Non posso piacere a tutti. L’esibizione è stata una merda? Puoi dirmi di sì. Ho stonato? Ho cantato male? No. Mi devi dire di no. E allora non mi puoi mettere “zero”. Dietro quel voto ci sono dei sacrifici che partono da mesi prima, per andare a Sanremo ho dovuto andare da uno psichiatra, ritornare a curarmi, ho dovuto fare dei sacrifici con mia figlia che diceva ‘dai papà, vedrai che questa volta vinciamo’, ma no Giogiò, non è che dobbiamo vincere per forza, l’importante è fare le cose fatte bene, sei là che ti impegni, cerchi di arrivare con la voce al top del top, ho avuto la sfiga di rompermi le costole (cadendo dalle scale di SanRemo NdR), ma no, non me ne vado, io voglio stare qua; dai il massimo… cosa significa fare queste cose verso un artista? Avrei accettato che so, quindicesimo per la stampa, tredicesimo per le radio, allora col televoto arrivi settimo, però… ultimo no. Io ho 25 anni di carriera, ho fatto tutti i gradini, ho dormito nelle scuole chiuse ad agosto quando andavamo a suonare sulle montagne nei paesi del Sud Italia, questa non è una offesa a me, è un’offesa alla gente che ci segue, che ha speso dei soldi anche per votare. E poi sgancia la bomba: io non tornerò mai più a Sanremo.

Si parla della critica, che viene accettata anche da giornalisti amici che però a livello professionale possono non apprezzare quello che si fa, e Kekko si sfoga invece contro il giudizio usato come arma quando è uno strumento che dovrebbe invece stimolare a migliorare se si sbaglia o celebrare le cose che piacciono. C’è tutto un pubblico che guarda Sanremo per Marcella Bella, per Massimo Ranieri, per i Modà, per Fabrizio Moro, gli ascolti di Sanremo sono anche merito di questi artisti nazional-popolari che negli anni si sono sbattuti, mentre tanti degli altri l’anno prossimo non si saprà più chi sono… almeno un po’ di rispetto per chi porta ascolti e popolarità, perché non c’è? OK, se ti sto sul cazzo, io faccio così, me ne vado.

Se ne va ma prima saluta i giornalisti, alcuni dei quali sono prima di tutto fan, diventano tutti giornalisti i fan dei Modà? Si vede che porta bene, si concede ai selfie e ai messaggi di auguri per le amiche, e poi viene trascinato via perché davvero prima di una sfida così, dove ha posto l’asticella, ha bisogno di concentrazione e riposo.

Articolo di Nicola Rovetta

Foto credit Francesco Prandoni

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