06/10/2024

Rotting Christ / Borknagar, Torino

06/10/2024

Batushka, Paderno Dugnano (MI)

06/10/2024

Ottodix, Venezia

07/10/2024

Rotting Christ / Borknagar, Bologna

07/10/2024

Valley Of The Sun, Zero Branco (TV)

07/10/2024

Napstamind, Roma

08/10/2024

Robert Plant presents Saving Grace feat. Suzi Dian, Bari

09/10/2024

Robert Plant presents Saving Grace feat. Suzi Dian, Napoli

09/10/2024

Ludovico Einaudi, Torino

09/10/2024

Steve Auschildt, Bologna

09/10/2024

Discoverland, Campobasso

10/10/2024

Ludovico Einaudi, Firenze

Agenda

Scopri tutti

Mudhoney intervista

Di recente in tour europeo con quattro tappe italiane, una delle band più importanti del Grunge. Tanta storia, tante storie …

Settembre, quale miglior modo di iniziare la stagione autunnale a Firenze con un concerto nientemeno che dei Mudhoney? Quatto le date italiane, prima di Firenze a Roma, poi a Milano e Pordenone, tour italiano nelle capaci mani di Hellfire Booking. Le piacevoli sorprese non finiscono qui: la Sub Pop ha messo a disposizione alcuni slot di interviste in presenza, dopo il soudcheck, e quindi mi ritrovo, tutta tremante dall’emozione, in uno dei camerini del Viper Club, al cospetto di Steve Turner, che però, rilassatissimo, si prende tutto il tempo che vuole per me, nonostante il tour manager si affacci più volte per ricordare il timing del pomeriggio. Poi, un grande concerto, leggete il nostro report. Ma non finisce qui: sto leggendo il libro scritto da Steve, troverete poi sulle nostre pagine la recensione! (English version below).

Steve, so che è passato molto tempo, ma hai dei ricordi dei tuoi primi concerti in Italia?
Sì, molti! Il primo concerto è stato a Rimini ed è stato anche il nostro primo assaggio del cibo italiano, fantastico! Stavamo con la famiglia del promoter che possedeva una specie di hotel resort, ma a quel punto non era ancora aperto al pubblico. Quindi alloggiavamo in tutte queste stanze del resort, e c’era una grande cucina e una sala da pranzo al piano di sotto. Ci portarono lì per la cena e arrivò anche un gruppo di persone del posto. Cominciarono a servire il cibo e non ci rendemmo conto che sarebbe stato un pasto di otto portate! Non avevamo mai mangiato del vero cibo italiano, perché a Seattle non c’era nulla di simile. Mangiammo il più possibile la prima fantastica pasta. Poi ne arrivò un’altra. Mangiammo il più possibile anche di quella. E poi cominciò ad arrivare la carne, le bistecche, le insalate. Ci siamo detti Gesù Cristo. Ma è stato il miglior pasto della mia vita fino a quel momento. E poi, sai, vedere Rimini è stato davvero bello perché è una città antica, proprio sulla spiaggia e tutto il resto, è stato fantastico. Era il 1989. L’altro concerto della nostra prima volta in Italia che ricordo bene è quello di Bologna, perché abbiamo suonato in un seminterrato squat, una specie di squat punk anarchico, e le donne erano tutte bellissime e sporche, perché erano in uno scantinato ed erano letteralmente coperte di terra. Questi sono i miei ricordi, molto diversi tra loro.

Quindi l’Italia ha iniziato a piacervi allora!
Sì, è vero. Amiamo l’Italia, mi emoziona molto essere qui. Ieri sera eravamo a Roma al Largo Venue, c’eravamo già stati, e c’è un grande negozio di dischi proprio in fondo alla strada, Radiation Records. Io e Dan eravamo molto eccitati all’idea di andarci e spendere un sacco di soldi. È un ottimo negozio di dischi, uno di quelli buoni. Hanno anche un’etichetta discografica che ristampa materiale punk oscuro, che io adoro.

A questo proposito, tu avevi un’etichetta discografica chiamata Super Electro, con la quale hai pubblicato materiale che altrimenti non sarebbe stato mai pubblicato, probabilmente. Perché l’hai chiusa?
He, davvero purtroppo non ce l’ho più. Beh, fondamentalmente abbiamo smesso perché io e la mia ragazza Karen ci siamo lasciati e lei era una specie di mia socia nell’etichetta; stava per lasciare la città e trasferirsi a Parigi per un po’. Nessuno di noi due voleva farlo da solo, in realtà. E onestamente, era un periodo di depressione per l’industria discografica alla fine degli anni Novanta, non riuscivo a vendere gli ultimi due dischi. Quindi non vedevo il motivo di continuare a perdere soldi se non lo facevamo insieme. Era una specie di nostra passione comune. Quindi, sai, quando è finita, è finita anche l’etichetta discografica.

Immagino che ogni volta che vai in giro ad ascoltare musica dal vivo, ti imbatti in gruppi che ti piacerebbe fossero pubblicati…
Sì, assolutamente. Succede ancora che la gente cerchi di suonare la musica dal vivo e di essere scoperta. Ma, sai, quello che ho visto con le band più giovani è che il mondo è cambiato molto con le piattaforme di musica in streaming e i social media. Le band più giovani vogliono rimanere in contatto con il pubblico in un modo diverso. Quelli fortunati riescono anche a pubblicare i dischi, perché ci sono ancora molte persone che fondano piccole etichette discografiche. E queste band fanno molti tour, per fortuna aprendo per grandi concerti. Un paio di anni fa abbiamo incontrato una band di Los Angeles qui in Francia, gli HooverIII, e ci sono piaciuti molto, così li abbiamo portati in tournée negli Stati Uniti con noi per un mese intero, ed è stato incredibile come conoscessero gente in ogni città. Avevano contatti grazie ai nuovi media. Avevano posti dove stare. Sai, c’era lo stesso tipo di atmosfera underground che amiamo, tutti si aiutavano a vicenda. È stato molto bello.

Lo streaming ha cambiato completamente l’industria musicale. Come si concilia con il tipo di musica che suonate voi?
Non ho idea, non mi interessa l’argomento. Io non uso molto le piattaforme di streaming, in genere mi limito a YouTube. Se voglio ascoltare qualcosa che non ho sentito per un po’, è quasi sempre su YouTube, dove magari si può trovare una versione live o qualcosa di diverso dal disco. Ovviamente gran parte del nostro pubblico è invecchiato, ma credo che sia perché facevamo parte di quella Seattle che è ancora in qualche modo leggendaria, che le nuove generazioni di ragazzi continuano a scoprirla, soprattutto grazie ai Nirvana.

I vostri fan sono cambiati con il passare del tempo?
Oggi abbiamo un interessante mix di fan. Ci sono molti “maghi”. È così che chiamiamo le persone con i capelli lunghi e grigi. Mark è un mago ora. Io mi sto tingendo i capelli, ma Mark ha smesso di tingersi i capelli, quindi ora è un mago (ride). Ma abbiamo anche giovani, giovanissimi tra i nostri ascoltatori. Ci sono molti genitori che portano i loro figli ai nostri concerti. Abbiamo iniziato a vedere questo trend circa 10 anni fa. Ultimamente stiamo andando alla grande per quanto riguarda gli spettacoli dal vivo, abbiamo un pubblico fantastico e non è così aggressivo e macho come lo è stato per un po’ di tempo negli anni ’90, con i mosh pits, gli schiamazzi e i tuffi dal palco. La gente lo fa ancora un po’, ci piace farla scatenare un po’, siamo contenti se c’è un po’ di caos, ma niente di esagerato.

Dal primo ep a “Plastic Eternity” dell’anno scorso, come pensate di essere rimasti fedeli a voi stessi, al vostro sound, e come ci siete riusciti?
L’unica cosa che posso rispondere è che non possiamo fare molto altro. Siamo le stesse persone. Voglio dire, un membro è cambiato nel corso degli anni, ma Guy è con noi da oltre 20 anni. I nostri gusti si sono evoluti, il nostro modo di suonare si è evoluto, ma non molto. Cerchiamo ancora di mantenere una certa semplicità. Cerchiamo di spaziare un po’, però alla fine per me suoniamo ancora come i Mudhoney, anche se a volte alcune canzoni non reggono la prova del live. Ma credo che siamo uguali soprattutto per il modo in cui interagiamo l’uno con l’altro, ci piacciamo. Stasera ceneremo insieme, come ceniamo insieme quasi ogni sera in tour. Non sono molte le band che lo fanno, molte band vanno per la loro strada dopo il soundcheck. Guy è un membro molto stabile, lo abbiamo conosciuto nel 1989, quando era in tour negli Stati Uniti dall’Australia con una band chiamata Lubricated Goat. Si è trasferito a Seattle nel 1993, ma sfortunatamente per noi (ma fantastico per lui) è tornato in Australia due anni fa, e questo rende tutto un po’ più interessante. Ci siamo incontrati qui in Europa per qualche giorno di prove prima dell’inizio del tour. E l’anno scorso siamo andati in Australia per un mese. È stato divertente! Ho trascorso una settimana in più a Melbourne per puro piacere.

Che musica ascolti ora? C’è qualcosa di nuovo che ti entusiasma?
Ho citato gli HooverIII, ci hanno lasciato a bocca aperta. Sono fantastici, un po’ psichedelici e anche un po’ influenzati dal Kraut Rock. Non sono adolescenti, ma molto giovani, sulla trentina. Io vivo a Portland e lì si stanno facendo grandi cose. C’è una band chiamata Spoonbinders che ha appena pubblicato il suo primo disco ed è sempre in tour negli Stati Uniti, penso che siano molto, molto bravi. C’è un’altra band di Portland che si chiama Help e che ha appena iniziato a suonare, e credo sia davvero eccellente. Ci sono anche vecchi gruppi perenni che continuano a pubblicare dischi. Adoro i The Spits, un gruppo punk di Seattle. Ascolto anche molta musica folk americana, mi piacciono alcune cose del Fado e alcuni cantanti francesi degli anni ’60, e purtroppo non conosco abbastanza la musica folk straniera, tranne quella irlandese e inglese. In realtà, sto ancora scoprendo cose del passato, è quello che mi è sempre piaciuto fare. Da adolescente mi sono appassionato al Punk Rock, che mi ha poi portato al Garage degli anni ’60. E c’è ancora così tanta roba oscura degli anni ’60 e dei primi anni ’70 che deve essere scoperta, adoro farlo. In realtà sto rivalutando anche roba degli anni ’90, ormai vecchia di 30 anni; penso di avere il diritto di tornare indietro a scoprirla, perché al tempo non mi piaceva molta della musica alternativa degli anni ’90, che ora ha 30 anni. Allora non era il mio genere, ma ora ne ascolto un po’, per esempio The Breeders, che sono davvero molto forti.

Ora qualcosa sulle tue chitarre, amplificatori e pedali. Qual è la tua chitarra preferita? Hai ancora la tua Fender Mustang?
Beh, ho iniziato a suonare una Fender Mustang perché uno dei miei eroi di Seattle, Tom Price degli U-Men, ne suonava una. Per questo motivo ne volevo anch’io una, e poi la gente ha continuato a comprarne sempre di più. Ora non riesco più a suonarle, ne ho ancora due, mi sembrano troppo piccole per me, perché il corpo e il manico sono di dimensioni ridotte. Ho iniziato a suonare una chitarra più grande e con il manico più lungo. Sono tornato alla Mustang e ho provato a suonarla in studio, ma davvero mi sembrava un giocattolino nelle mie mani. La mia chitarra principale in questo tour è una nuova Fender Jazzmaster che non è una Jazzmaster tradizionale. Si chiama Goldfoil Jazzmaster ed è modellata su una chitarra degli anni ’60 molto economica. È davvero buffo che Fender abbia copiato una chitarra più economica, e a me sembra così bella e suona benissimo. Questa è la mia chitarra preferita al momento. Io uso ancora il Big Muff e Mark usa ancora il pedale Super Fuzz, il Big Muff è il fulcro di tutto il mio suono. In studio uso altri fuzz box, ma dal vivo riesco a far funzionare il Big Muff per più della metà delle canzoni che suoniamo, è decisamente il mio cavallo di battaglia. Devo dirti che uso quello più economico che si possa comprare, è sempre della Electro-Harmonix, ma costa circa 60 dollari. È il piccolo Big Muff. Suona quasi come il mio primo che ho preso nel 1984, che ahimè non funziona più. Molte persone fanno quelli che chiamano cloni di questi effetti, ci sono molte piccole aziende, spesso composte da una sola persona, che ne producono di artigianali. Me ne danno molti e li apprezzo, ma mi piace ancora il Big Muff economico da 60 dollari. Tutti questi pedali extra sono in una scatola nel mio armadio; ne ho regalati un paio, a dire il vero, non li sto collezionando.

Tu e Mark avete avuto e avete tuttora molti progetti collaterali, suonate insieme in altri progetti. Con i Monkey Wrench fate un album ogni cinque anni o giù di lì…
Abbiamo fatto un tour in Australia, ma Tom Price, che come ho già detto è il mio eroe della chitarra, e fa parte anche lui di quella band, è molto malato di Parkinson. È stato un viaggio difficile per lui andare in tour in Australia. Non so se succederà di nuovo, perché ci vuole un po’ di tempo per far funzionare le cose ed è complicato. È anche una forma di rispetto: se lui non può suonare, noi non suoniamo più.

Capisco perfettamente. Ma come fate, tu e Mark, a gestire tutti questi progetti collaterali? Voglio dire, artisticamente parlando, creativamente parlando, come riuscite a calarvi in situazioni così diverse?
Oh, è facile. Perché suoniamo con persone diverse. Al momento non ho altri progetti collaterali con Mark, ma probabilmente faremo qualcos’altro insieme in futuro, chissà. Negli ultimi 18 anni ho vissuto a Portland, non a Seattle, quindi ho avuto diverse band in città, solo piccole band divertenti per hobby. È divertente, sì. Ultimamente ho fatto anche concerti da solista. Non faccio dischi da molto tempo, ma l’anno scorso ho pubblicato un libro.

Parlami di questo libro!
Beh, è stato una sorta di progetto pandemico. È stato il mio coautore, Adam Tepetlian, a contattarmi e a chiedermi se fossi interessato al progetto di un libro. Ne abbiamo parlato, all’inizio non ero convinto. Poi ho iniziato a pensare a come avrei voluto che fosse organizzato il libro, dopo che era appena uscito il libro di Mark Lanegan. Nel mio libro non dico niente di male su nessuno, ma ho dovuto dire alcune semplici verità sulla mia vita personale, come su mia moglie, la cura dei figli e cose del genere. Ma per la maggior parte ho cercato di mantenere un tono positivo. E ho voluto parlare molto della scena musicale di Seattle prima che esplodesse a livello internazionale, perché c’era così tanta roba che veniva fuori dal Punk Rock, come per tutte le band grunge, tranne per gli Alice in Chains: niente contro di loro, ma non facevano parte della scena punk, ma tutti gli altri gruppi avevano radici nella scena hardcore. A me piacciono molto gli Alice in Chains, ma semplicemente non andavano, come noi, ai concerti punk da adolescenti. Siamo tutti usciti dal Punk Rock e abbiamo intrapreso varie direzioni al di fuori del genere. Era qualcosa da fare mentre non potevamo fare molto altro.

Adam, il mio coautore, è rimasto bloccato in Canada durante la pandemia perché il confine è stato chiuso per un anno e mezzo o giù di lì, quindi abbiamo fatto tutto via Zoom. Poi abbiamo fatto varie interviste e siamo andati avanti con l’editing. Ciò che mi ha aiutato davvero è stato leggere vecchie interviste ai Mudhoney dei tempi andati, che mi hanno fatto ritornare in mente tanti momenti; sai, la memoria di tutti inizia a sbiadire e si rischia poi di abbellire le storie. Il nostro batterista, Dan, ha la memoria migliore di tutti noi, quindi mi informavo con lui su certe cose, cose di poco conto, ma dopo un po’ ho deciso che non avrei più chiesto. Pensavo: è il mio libro. È la mia memoria. Sai, non saremo tutti d’accordo su certe cose che sono successe, quindi ho pensato Oh, fanculo: è il mio libro! A volte ho sbagliato qualche nome qua e là, ma l’errore più imbarazzante del libro per me è stato questo: dato che si parla molto di skateboard, perché anch’io ero, e sono tuttora, uno skateboarder, ci sono due foto di me che faccio skateboard da adolescente e hanno confuso le descrizioni delle foto, le hanno messe al contrario. I miei amici skateboarder mi hanno tutti rimproverato! È stato un progetto interessante e voglio farne altri. Ho un paio di altre idee su cui provare a lavorare dopo questo tour.

Qual è il tuo disco dell’isola deserta, quale porteresti con te se dovessi sceglierne uno?
Uno sarebbe impossibile!

Diciamo tre allora!
Beh, prenderei il primo disco degli Stooges e “London Calling” dei Clash, un vero classico. Ultimamente sto ascoltando molto “Sandinista”, in realtà, è un disco così lungo e strano. Il terzo sarebbe probabilmente il migliore di Townes Van Zandt.

Mudhoney interview

Steve, I know it was a long time ago, but do you have memories of your first concerts in Italy?
Yeah, many! It was in Rimini the first one, and it was our first glimpse into Italian food, that was amazing! We were staying with the promoter’s family who owned this kind of resort hotel, but it wasn’t open to the public at this point. So we were staying in all these resort rooms and they had a big kitchen and dining room downstairs. They brought us down there for dinner, and a bunch of locals showed up too. They started bringing out food, and we didn’t realize that it was going to be like a eight course meal. We’d never had real Italian food before because there wasn’t anything like it in Seattle. And we just ate as much as we could of the first amazing pasta. Then another one came out. We ate as much as we could of that one too. And then the meat started coming out, steaks, salads. We were like, Jesus Christ. But it was the best meal of my life up to that point. And, you know, seeing Rimini was really cool because it’s such an old city right on the beach and stuff, it was amazing. That was 1989. So we probably went to Rome after that.The other show from our first time in Italy that I really remember is Bologna because we played a dirt floor basement squat, like a like an anarchy punk squat, and the women were all beautiful and filthy, because they were in a dirt basement and they were like literally covered in dirt. So these are my memories, very different ones.

So you started to like Italy then and you never stopped!
Yeah. We love Italy. I get very excited. We were in Rome last night at Largo Venue, we’ve been there before and there’s a great record store right up the street, Radiation Records. So me and Dan, we were very excited to go there and spend a bunch of money. That’s a great record store, it’s one of the good ones. And they have a record label that reissues obscure punk stuff, which I love.

You had a record label called Super Electro, which you used to publish stuff that otherwise wouldn’t be published, probably. Why did you close it down?
I don’t have it anymore, unfortunately. Well, basically, we stopped because my girlfriend Karen and I broke up, she was kind of my partner in the label and she was leaving town and moving to Paris for a while. Neither of us wanted to do it on our own, really. Honestly, it was sort of a depressed time for the record industry, the late ‘90s, I just couldn’t sell the last couple of records much at all. So I didn’t see a point in continuing to lose money on it if we weren’t doing it together. It was like kind of our passion together that we were doing. So, you know, when love ended, the record label ended.

I imagine whenever you go around listening to live music, you bump into groups that you would love to be published somehow.
Yeah. It happens still that people try to play the music live and to be discovered. But, you know, what I’ve seen with younger bands, is that the world has changed a lot with the streaming music platforms and social media. These younger bands like to stay connected with each other in a different sort of fashion these days. The good ones get records put out, because there’s still lots of people starting small record labels. We met a band from L.A. over here in France a couple of years ago, the HooverIII, and we loved them, so we brought them on tour in the States with us for a whole month, and it was amazing how they knew people in every city. They were connected. They had places to stay. You know, it was the same kind of underground vibe that we love, they all were helping each other. Very nice.

Streaming has changed the musical industry completely. How does this fit with the sort of music you play?
I don’t really use the streaming platforms much at all. I generally I’m stuck on YouTube only. If I want to hear something that I haven’t heard for a while, it’s almost always on YouTube and maybe you can find a live version or something different. Obviously a lot of our crowd has gotten older, but I think it’s because we were part of that Seattle thing that is still somewhat legendary, that new generations of kids keep discovering it, primarily through Nirvana.

Have your fans changed during the passing of time?
It’s an interesting mix of fans that we get nowadays. We get a lot of “wizards”. That’s what we call the people with long gray hair. Mark’s a wizard now. I’m dying my hair, but Mark stopped dying his hair, so now he’s a wizard. But also young ones, very young teenage among our listeners. There’s a lot of parents bring their kids to concerts. We started seeing that like 10 years ago. We’re doing great lately for live shows. We get a great crowd these days and it’s not as aggressive and macho as it was for a little while in the ‘90s, you know, with the mosh pits and the slamming and stage diving. People still do that a little bit, we like to get them going a little bit, we’re happy if there’s a little bit of chaos going on.

From the first extended play to “Plastic Eternity” last year, how do you think you kept faithful to yourself, to your sound and how did you do it?
You know, the only thing I can think of is we can’t really do much else. We are the same people. I mean, we’ve had one member change through the years, but Guy’s been with us for well over 20 years now. Our tastes have evolved, our playing has evolved a little bit, but not much. Still try to keep it fairly simple. We try to branch out a little bit, but it still ends up mostly sounding like Mudhoney to me. Occasionally some songs don’t stand the test of playing live. But I think we are the same just because of the way we interact with each other, we like each other. We’ll have dinner tonight together, like we have dinner together almost every night on tour. Not very many bands do that, a lot of bands go their own ways after the soundcheck. Guy is a very stable member, we met him in 1989. He was on tour in the States from Australia with a band called Lubricated Goat. He moved to Seattle in 1993, but  unfortunately for us (but great for him) he moved back to Australia two years ago. So that makes it all a little bit more interesting. We meet here in Europe for a few days of rehearsal before this tour started. And we went down to Australia for a month last year. That was fun! I spent an extra week down there just hanging out in Melbourne.

What music do you listen to now? Is there something you get excited about?
I mentioned the HooverIII, we were blown away by them. They’re great, kind of Psychedelic, a little bit of a Kraut Rock influence on them, too. They’re not teenagers, but they’re very young, in their thirties. I live in Portland, and there’s some great things happening there. There’s a band called Spoonbinders that just put out their first record, and they tour all the time in the States. I think they’re really, really good. There’s a band called Help from Portland that just kind of got going, I think they’re really excellent. There are old perennial bands that still put out records too. I love The Spits, a Seattle punk band. I listen to a lot of American Folk Music, too. I don’t know enough about different countries. I like some of the Fado stuff and like some of the French ‘60s singers, but I don’t know enough about a lot of foreign folk music, except Irish and English. Really, I’m still discovering things from the past, that’s what I’ve always liked doing. You know, I got into Punk Rock as a teenager, and then that led me to ‘60s Garage Music. And there’s still just so much obscure ‘60s and early ‘70s stuff that’s still need being discovered, I like doing that. I’m actually going back and reappraising stuff from the ‘90s, now it’s 30 years old. I think I’m allowed to go back and check it out, because I didn’t like a lot of the alternative music in the 90s. It wasn’t my jam. But now I listen to some, The Breeders for example and that’s actually pretty good.

Now something about your guitars, ampli and pedals. Which is your favorite guitar? Do you still have your Fender Mustang?
Well, I started playing a Fender Mustang because one of my Seattle rock heroes, Tom Price of the U-Men played one, and so I wanted one because of that, and then people kept getting them, more and more. I can’t play them anymore. I still have two of them, but they seem too small for me now, because they’re kind of short body and neck size. I started playing a larger, longer neck guitar. I went back to the Mustang and tried to play it in the studio, and it felt like a little toy in my hands now. My main guitar on this tour is a new Fender Jazzmaster that is not a traditional Jazzmaster. It’s called the Goldfoil Jazzmaster, and it’s modeled after a really cheap ‘60s guitar made. It’s really funny that Fender actually copied a cheaper guitar, but it looks so cool to me, and it plays great.

And so that’s my favorite guitar right now. And I still use the Big Muff, and Mark still uses the Super Fuzz pedal. The Big Muff is what I center the whole sound on. In the studio, I use other fuzz boxes, but live I can make a Big Muff work for probably over half of the songs we play. It is very definitely my thing.  But I should say I use the cheapest one you can buy. It’s still made by Electro-Harmonix, but it’s like ‘60 bucks. It’s the little Big Muff. It sounds almost like my first one that I got in 1984, which no longer works. A lot of people make what they call clones of these boxes. There’s lots of small companies, often one single person making handmade ones. They give me a lot of them and I appreciate that, but I still like the actual $60 cheap Big Muff. All these extra pedals are in a box in my closet. I’ve given a couple of them away, to be honest, I’m not collecting them.

You and Mark have had a lot and still have a lot of side projects. You play solos, you play together in other projects. With Monkey Wrench you make like an album every five years or such…
We toured recently Australia, but Tom Price, who I mentioned is my guitar hero, he’s in that band too but he’s got Parkinson’s really badly. And so it was a rough journey for him to go on tour in Australia. I don’t know if that’s going to happen again, because it takes a while to get the stuff worked up and, it’s just difficult. It’s also a form of respect for him, if he can’t play, we don’t play anymore.

I understand perfectly. But how do you cope, you and Mark, with all these side projects? I mean, artistically speaking, creatively speaking, how can you put your mind in so different situations?
Oh, it’s easy. Because you’re playing with different people. I don’t have any other side project going with Mark right now, but we’ll probably do something else together, who knows. I’ve been living live in Portland, not Seattle, for the last 18 years, so I’ve had several different bands going in Portland, just kind of little fun hobby bands. That’s fun, yeah. And I’ve been doing more solo shows lately. I haven’t made a record in a long time, but I had a book out last year.

So tell me more about the book!
Well, it was sort of a pandemic project. It was my co-author, Adam Tepetlian, who contacted me and asked if I would  be interested in a book project. We talked about it, I wasn’t convinced at first. Then I started thinking about how I would want the book organized, it was after the Mark Lanegan book had just come out. I’m not saying anything bad about anybody in my book, but I had to state some simple truths about my personal life, like my wife, child care and things like that. But for the most part, I tried to keep it pretty on the positive side. I wanted to talk a lot about the Seattle music scene before it exploded internationally. Because there was so much great stuff coming out of Punk Rock. Like all the Grunge bands except Alice in Chains, nothing against them, but they were not part of the punk scene. But every other band all had roots in the hardcore scene. You know, I actually really like Alice in Chains, but they just simply weren’t going to the punk shows as teenagers. We all came out of Punk Rock and kind of went into various directions out of Punk Rock. It was something to do while we couldn’t really do much else. Adam, my co-author, was stuck up in Canada during the pandemic because the border was closed for a year and a half or something, so we did it all over Zoom. And then we did interviews and kind of went back and forth editing.

What really helped me was reading old interviews with Mudhoney from the old days that that helped a lot, and got me back into my mind frame at that point; you know, everyone’s memory starts to fade, and one starts to embellish stories. Our drummer, Dan, has the best memory of all of us. So I would fact check with him on certain things, just minor things, but after a while, I decided I wasn’t going to ask anymore. I was like, it’s my book. It’s my memory. You know, we’re all going to disagree on certain things that happened, so I was like, oh, fuck it: it’s my book!

Sometimes I got a few names wrong here and there, but the most embarrassing mistake in the book for me: since there’s a lot of of talk about skateboarding because I was also, and still am, a skateboarder, there’s two pictures of me skateboarding as a teenager and they they mixed up the the photo descriptions, they got them backwards. My skateboarder friends have all called me out on it! It was an interesting project, and I want to do more. I’ve got a couple other ideas to try to get working on after this tour.

Which is your desert island record, which would you bring with you if you had to choose one?
One would be impossible!

Let’s say three then!
Well, I’d take the first Stooges record, and Clash “London Calling”, a true classic. I’ve been listening to “Sandinista” a lot lately, actually, it’s such a long, weird record. Third one, it would probably be the best of Townes Van Zandt.

Articolo di Francesca Cecconi

© Riproduzione vietata

Iscriviti alla newsletter

Condividi il post!