16/07/2025

Satchvai Band feat. Joe Satriani & Steve Vai, Perugia

16/07/2025

Ben Harper & The Innocent Criminals, Fermo (MC)

16/07/2025

Queens Of The Stone Age, Romano d’Ezzelino (VI)

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The Jesus And Mary Chain, Bologna

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16/07/2025

The Boomtown Rats, Pordenone

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17/07/2025

Satchvai Band feat. Joe Satriani & Steve Vai, Bologna

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Romina Falconi intervista

Terzo e bellissimo album per la cantautrice romana, libera da paure e pregiudizi

Il 16 maggio è escito in fisico e in digitale “Rottincuore”, il nuovo concept album di Romina Falconi in cui la cantautrice dipinge una galleria di peccatori, anime imperfette che si raccontano senza filtri e senza assoluzioni. Un viaggio dentro l’ombra, senza morale né pietà, in cui ogni canzone scava nelle fragilità, nelle cadute, nei pensieri che nessuno osa dire ad alta voce. “Rottincuore” è un progetto artistico e multidisciplinare che unisce la musica, la scrittura, l’illustrazione, l’antropologia e la psicologia per esplorare la complessità della mente umana. Da sempre, la cantautrice lancia messaggi contro ogni forma di discriminazione, dando voce a personaggi complessi e fuori dagli schemi, come quelli descritti nel suo progetto artistico, che riflette la sua narrazione autentica e senza filtri. Ogni brano rappresenta un atteggiamento estremo ed è arricchito dal “Rottocalco”, l’esclusivo magazine da collezione. Ricordo che il 28 giugno Romina Falconi sarà tra i protagonisti del Pride Milano sul palco finale. Co Romina facciamo una lunghissima video-chiamata, di cui vi riporto le cose salienti. È un’artista, anzi un’Artista, eclettica e dolcissima, che vi invito a scoprire, con il cuore aperto.

Saluto Romina scusandomi per i minuti di ritardo con i quali sono entrata nella call, dispiaciutissima, ma lei mi accoglie con un gran sorriso. Ma tanto io sono qua e sono felice. Anzi, grazie, perché è sabato, e perché questo è un periodo dove c’è di tutto. Quindi grazie dell’opportunità che mi aiuti a spargere la voce, perché da indipendente è sempre un po’ un rischio essere visibili, no? Le dico che ci piacciono i progetti indipendenti e soprattutto i progetti che hanno qualcosa da dire, ma penso che essere indipendenti non è sufficiente per essere interessanti. E Romina ha tanto da dire ed è molto coraggiosa. Le chiedo di parlarmi del nuovo album “Rottincuore”, ma prima di descrivere se stessa come artista. Lo voglio sapere da lei e non dai comunicati stampa.

Oh, che bello. Allora, la parola artista mi fa una gran paura, non so se sono degna. Sono sempre stata un po’ outsider e sono una contraddizione vivente. Non lo so, sembro mamma Roma, però poi sul palco mi piace mettermi tutta in paillettes, mi piace l’arte e la poesia. Poi studio tantissimo psicologia, però quando apro bocca poi sembro Sora Lella (ridiamo). Cioè, è un po’ difficile maneggiarmi perché mi rendo conto che adesso l’abito fa tanto il monaco, quindi uno mi vede e dice ‘questa ha l’extension, si tinge biondo platino, è appariscente’. Poi in realtà sono una nerd, mi piace stare in casa. Mi rendo conto che è un po’ strano. E soprattutto non mi sono mai sentita a posto. E forse questa è anche la mia grazia, per quello mi piace tanto elogiare le ombre. Perché quando non ti senti a posto, sicuramente cercherai sempre di migliorarti.  Io penso che sia fondamentale, che il senso della vita sia imparare, anche perché sennò che ci stiamo a fare a questo mondo? E allora ho sempre pensato che fosse bello studiare, mi è sempre piaciuto farlo. Prima il canto, poi ho cominciato a scrivere e ho letto tantissimo, come una pazza: saggi, romanzi storici, quelli attuali. Io vengo da una realtà molto cruda, vengo da Torpignattara che è nota perlopiù per i fatti di cronaca. Però c’è tantissima poesia a Torpignattara, dove nessuno si deve sentire solo. E mi è sempre piaciuto il Pop, questo Pop alla Céline Dion, solo che viene fuori un ibrido strano, perché quando scrivi tu non puoi mentire, e poi non è proprio edificante, perché siamo in un momento storico in cui purtroppo il Pop è molto rassicurante. Si chiede dal Pop di essere estremamente pagato, per quella positività tossica. Invece io voglio parlare degli ultimi, perché mi ci sono sentita tutta la vita, perché la stranezza è bella fino a che non ti capita, poi quando devi fare i conti con il fatto che tu sei solo e loro stanno tutti dall’altra parte del marciapiede, non ti sentirai mai dei loro. Io voglio fare un lavoro come questo che di solito si basa sui consensi, quindi ho deciso di fare un contro-Pop. Mi piace tanto il Pop perché mi piacciono tanto gli ABBA, pure se sono nata dopo che sono esistiti gli ABBA, però le cose belle restano immortali, secondo me. Quindi insomma io volevo fare gli ABBA, però in una versione più mia, anche perché per carità non mi permetterei mai di… Beh, hai detto un nome irraggiungibile, gli ABBA … Ecco, hai capito? Altra contraddizione, per esempio, a me piace tantissimo fare questo Pop e poi però sul palco i miei musicisti, che li chiamo molto romanticamente ‘i disumani’, sono tutti metallari. Quindi io sono tempestata dei paillettes, che sembro uscita veramente dall’avanspettacolo di una volta dei film, e poi vedi i metallari… però funzioniamo. Cioè io sto lavorando da tutta la vita per creare qualcosa cucito su misura che nessuno mi possa portare via, perché la vita è breve.

Che bello questa cosa che hai detto. Eh, ma a volte mi sento tanto una scimunita. No, è la tua personalità e la difendi con le unghie e con i denti, perché dietro la personalità c’è l’anima delle persone. Veramente non ci possiamo permettere di essere qualcosa che non siamo… io ho passato un sacco di anni ad omologarmi per paura che mi potessero sgamare.  Sai questa positività tossica? Non ho nulla contro l’ottimismo e la positività, però io dentro di me a volte mi sento una cozza nera, ho un’ansia pesante. Non posso essere assicurante io nella vita, e una deve essere poi fedele a se stessa. C’ho messo così tanto a volermi bene, e no, per la musica pop non si butta a in frantumi se stesse.

Penso che sia per te uno strumento di rafforzamento della sua identità, la tua musica. Sì, un po’ mi fa anche da terapia, al di là della terapia vera, mi aiuta tanto. Quando scrivo penso che quelle cose non debbano mai uscire dalla stanza, cioè il trucco per me è quello, è scrivere pensando che muoiono lì, perché se penso che qualcuno mi possa ascoltare non riuscirei a scrivere neanche una parola. Così invece metto il peggio di me, voglio fare il paziente tipo che dice, ‘dottore quando passa quest’ombra che io non ce la faccio più?’ Perché secondo me là fuori le persone hanno bisogno di sentirsi capite, e con questi social tutti facciamo quelli che stanno connessi con il mondo, in realtà chiusa la porta di casa sei sola.

Romina quando hai cominciato a cantare? Ti sei scoperta la tua voce per caso? È stata proprio una necessità per esprimere te stessa? Portami dentro questa tua storia. Non c’è molto del romantico in questa storia… Allora io praticamente canto da sempre e cantavo ossessivamente in casa, facevo una testa così a tutti quanti. Ho cominciato a fare i primi concorsi nel Lazio giovanissima. Poi succede che i miei si separano, malamente, con odio, e finiamo in estrema difficoltà, con mia mamma che per crescere tanti figli deve fare quattro lavori. Un amico di famiglia aveva un ristorante dove mia madre faceva la cameriera, e sapeva che avevo una bella voce, che studiavo tanto ma in casa, perché non avevo i mezzi, per un maestro di canto.  E allora mi ha detto ‘senti, ma ti va di fare il pianobar?’ E lui mi ha insegnato tutto perché quando fai pianobar tu canti per gente che pensa a mangiare e a bere, non viene lì per sentire un concerto. E mi ha insegnato che dovevo cantare di tutto, anche quello che non mi piaceva. Quindi questa era la mia realtà a dodici anni, e la mattina andavo a scuola. Mi sentivo un supereroe, perché guadagni i tuoi primi soldini, impari un mestiere. Quindi io da lì mi sono detta ‘io voglio fare questo lavoro tutta la vita’.  E quindi un po’ più da grande mi sono messa a scrivere cose mie. Ho provato tutta la vita perché non ero figlia d’arte, non avevo grandi mezzi. Poi in realtà la vita mi ha dato una carezza perché ho fatto Sanremo, Ramazzotti mi ha portato in tournée con sé. Il problema è stato quando andavo dai discografici e mi dicevano ‘tu vuoi fare il Pop ma hai una penna che è un piede di porco’, non ti sanno maneggiare. Se tu hai un contratto ma sei l’ultima ruota del carro, sei ancora più avulso dalle regole del mercato, ti senti sempre l’ultimo romantico rimasto al mondo. Quindi con i miei amici storici che venivano pure loro dal mondo della musica abbiamo creato un’etichetta indipendente, la Freak&Chic, abbiamo detto ‘oh ma che stiamo a aspettare il discografico azzurro sul cavallo bianco?’ Facciamo da noi.

E sono dieci anni che ci facciamo le nostre marmellatine musicali, io ne sono fiera. Certo uno spera di allargare sempre di più il bacino di ascolto però l’importante è che uno faccia una cosa che lo rappresenti, non questa musica di adesso che è tutta troppo uguale, mi fa una gran paura che per essere vincenti dobbiamo essere tutti simili. Hai ragione, soprattutto da quando c’è la musica liquida, non si capisce più niente, ce n’è troppa di musica, troppa. E quindi le persone di valore fanno ancora più fatica a emergere in questo mondo perché se tu non hai la possibilità di esibirti dal vivo non esisti quasi, sei finto. Io combatterò sempre fino a che avrò l’opportunità di farlo, perché poi ricordiamoci che adesso al giorno d’oggi fare un disco, cioè un album, figurati un concept album, è un privilegio perché adesso escono prima tutti i singoli, e se vanno bene escono col disco, poi un mese dopo esce fuori un singolo nuovo che non c’entra niente con il disco, solo perché devi tenere buono l’algoritmo. Io devo essere coerente con me stessa. Grazie al cielo, Francesca, ho scoperto questa cosa, che però secondo me un sociologo la sa dire meglio… Io ho scoperto che ci stanno due tipi di pubblico: quelli che hanno bisogno di convincersi, cioè per convincersi che gli piace qualcuno devono vedere gli altri convinti, insomma quelli che un pochino se lo devono far dire agli altri cosa desiderare e li rispettiamo, per carità; poi ci stanno gli Americo Vespucci della situazione, cioè quelli a cui non gliene frega nulla se sei famoso o non famoso, se sei uno scappato di casa. Se gli piaci, ti seguiranno. Sono quelli che veramente ti vogliono bene e ti vogliono aiutare a emergere, a prescindere da chi sei, cosa fai, dove vai, capito? Grazie a Dio c’è ancora questo tipo di pubblico.

Non commentiamo, vai, è meglio, perché io sono molto meno diplomatica di te. Perché ti succede che vai a vedere artisti che non sono nessuno, emergenti, li segui, fai chilometri per andare a vedere un concertino da 50 persone, poi di colpo fanno successo e tu sei contenta, no? Però poi vedi il pubblico cambia completamente e quindi anche la dimensione live cambia, perché per quanto l’artista resta se stesso, il concerto non è fatto solo da chi c’è sul palco, è fatto anche da chi c’è dentro il concerto, no? Quindi in qualche modo la percezione complessiva del live cambia secondo il pubblico che c’è. Guarda, sono felicissima di parlare con te, perché a volte ho paura a dire certe cose da sola.  E quando lo dico a volte ho paura di essere quella che parla male di un competitor, invece non è quello, è proprio quando le mode quando sono troppo esplosive, poi finiscono anche altrettanto brevemente. E poi ricordiamoci che la carriera artistica non è solo una carriera, è un percorso di vita per l’artista, no? E che ti cambia, ti influenza, ti indirizza, non solo il percorso, la carriera musicale, ma il percorso interiore. Quindi non ci scherziamo troppo su queste cose direi a molti.

Il tuo ultimo album “Rottincuore”, il tuo terzo, ha un titolo che a me ha molto colpito, per il gioco di parole esplicito. E certo, io ho sempre giocato con i miei titoli, senza paura. Non puoi capire, la gente è scandalizzata da questo titolo, ma io ho detto ‘scusate ma se voi andate da un bambino e dite Rotti in Cuore, guarda che bambino non vede quello che vedete voi’, perché non ha malizia in un bambino. Tra l’altro Rottincuore non sta nei dizionari e dovrebbe starci perché comunque in uso comune ci stanno ben altre parolacce, e aggiungo che in tante regioni significa fortunato, pur in maniera volgare però significa fortunato.  Questi poveri diavoli di cui voglio parlare, sono persone che comunque sono attive nella loro ombra, cioè vogliono migliorare e ci stanno provando con tutte le loro forze, per alcuni di loro è un miracolo che stiano ancora in piedi, io la trovavo struggente sta cosa e poi mi ho detto senti, facciamo selezione alla porta, perché se qualcuno si scandalizza con Rottincuore è meglio proprio che non lo sente il disco, tanto io mica devo piacere a tutti, a un certo punto uno deve anche fare una scelta nella vita!

Certo, e poi mi hanno colpito tante altre cose di questo disco – oltre che è uscito anche in versione fisica, sei una grande – , soprattutto che contiene ben 13 canzoni, perché oggi chi fa un album se arriva a otto canzoni è quasi un miracolo, i dischi durano sì e no 20-25 minuti, tu invece hai fatto un disco lungo, finché non hai finito di dire quello che volevi dire hai registrato, hai la tua etichetta così nessuno ti ha imposto un limite di tempo, nessuno ha usato cesoie che non ti fanno restituire completamente la visione artistica musicale. Succede che l’artista incide 14 canzoni e l’etichetta ne sceglie 7-8 perché tanto di più sui player la gente non ci sta, invece tu hai avuto il coraggio di fare un album di 13 canzoni, 13 affreschi, 13 storie, 13 gallerie che tutte insieme servono per descrivere quello che tu volevi narrare, di questi peccatori, di queste persone che cercano se stesse senza paura di finire nel fango, come dire, che hanno pensieri osceni ma che non sono scene le loro vite, che sono fragili, ok bene, devo aver paura? No, ti sei calata nella psiche di queste persone e finché non hai finito di sviscerare non ti sei fermata e non ti sei fatta fermare soprattutto, cosa molto importante. Perfetto, grazie per aver compreso perché sentirsi capiti è una figata Francesca, lo sai meglio di me in questo momento storico. Sostanzialmente io all’inizio son partita dalle mie ombre, poi non contenta mi son messa a studiare psicologia, anche perché mi piace tanto e lo faccio per cultura personale. Io ho voluto scrivere di queste ombre innanzitutto parlando di quelle che conoscevo molto bene, che mi hanno o attraversato o quelle con cui ci andrò a morire, perché le ombre non tutte le vuoi sconfiggere, fanno parte di noi. Se qualcuno chiederà spiegazioni, tu devi dimostrare che hai voluto affrontare l’argomento non tanto in tre minuti di canzone nella metrica ma che hai voluto veramente affrontare l’argomento seriamente. All’inizio ho attinto dai miei mostri interiori, poi però ho voluto raccontare storie di persone che amo tanto o che ho amato tanto che avevano delle ombre ben evidenti, ma anche di persone che tu sulle prime vorresti sbattere al muro, ho provato a scrivere mettendosi nei panni del quello che potrebbe essere il tuo peggior nemico. È stato bellissimo, ho chiesto tanto aiuto ad amici psicologi e psichiatri, poverini li ho subissati di domande per riuscire a comprendere e poi scrivere in modo connesso.

L’album è parte di un progetto artistico multidisciplinare, da anni lavori non solo sulla musica, quindi vuoi raccontami tutto questa visione dove usi tutti i linguaggi artistici a tua disposizione per far raggiungere il tuo messaggio? Domanda pazzesca, e ti dico che il progetto non è solo multidisciplinare ma anche multifunzionale. Ho il terrore di come stanno trattando la musica e non volevo che il mio pensiero fosse solo lì, perché come ho detto la musica adesso è in due minuti e trenta, canzoni messe in streaming per cui tu devi pregare di non essere carne da macello. Ho detto no, dal momento che affronto le ombre, dentro di me dicevo ‘ma un’ombra si può descrivere in tre minuti di canzone?’ E la risposta era appunto no, e siccome ho avuto la saggezza al momento giusto di circondarmi di tutte persone migliori di me, persone che mi potessero insegnare, ho chiamato a raccolta giornalisti, scrittori, un fumettista, una sociologa-antropologa, una psicologa, per fare un libro, perché volevo che tu che il pubblico l’ombra la vivesse dal sacro al profano, dalle viscere alla scienza. Poi un giorno uno dei miei produttori – il disco l’ho fatto con tanti produttori, ho l’occhio lungo mi circondo di gente più saggia di me, ma principalmente quelli che hanno prodotto più canzoni sono Leonardo Caminati e Niccolò Savinelli – quest’ultimo che è anche un bravissimo regista mi ha proposto di fare un film, lui lo diceva scherzando ma io l’ho preso sul serio! Ho chiamato tutti i miei amici attori e ho chiesto loro di fare questa follia, un discofilm, una cosa cucita su misura che nessuno mi potesse portasse via; attenzione, non è un musical, le canzoni sono appositamente ri-arrangiate, ha una sceneggiatura teatrale con monologhi delle ombre che danno il peggio e il meglio di sé. Vorrei che lo spettatore ascoltasse, non giudicasse. Il discofilm è bellissimo, scuote. Vi consiglio di non perdere una delle prossime proiezioni nei cinema in giro per la Penisola

Articolo di Francesca Cecconi

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