La domenica del 2 Days Prog +1 Festival a Revislate, frazione di Gattico – Veruno, è da sempre il momento in cui l’entusiasmo della manifestazione raggiunge il culmine, offrendo una miscela eclettica e potente per chiudere in bellezza la tre giorni dedicata al Rock Progressivo internazionale. Il terzo giorno, ovvero il 7 settembre, si distingue per una proposta musicale che, pur mantenendo un forte legame con le sonorità complesse e virtuosistiche, si spinge spesso verso territori “off – prog” o “contaminati” che dir si voglia. L’obbiettivo è concludere con una performance memorabile, che bilanci band di altissimo livello con proposte più moderne o meno strettamente legate al Prog classico.


Danno quindi il via al terzo e ultimo giorno di questa edizione i nostrani Terra, originari di Roma, nati nel 2014 dalle ceneri dei 7 Times Suicide, gruppo hardcore / metal attivo dal 2004 al 2010: si sono fatti notare nella scena musicale internazionale grazie al loro sound unico, che fonde la potenza del Metal moderno con elementi etnici e tribali primordiali.

Dopo la formazione, i Terra hanno dedicato tutto il tempo necessario alla ricerca di un’identità sonora distintiva: hanno saputo amalgamare influenze diverse, che spaziano dalle colonne sonore cinematografiche alla musica classica, dalla musica tribale al Rock / Metal alternativo, dando vita a un suono complesso, ritmico e profondamente evocativo.

Il loro debutto ufficiale risale al 1 marzo 2018, con il singolo “Close Enough” , attirando l’attenzione sulla scena italiana; nel 2022 pubblicano il loro primo album omonimo in modo indipendente, vantando oltre un milione di streaming. Il loro talento e l’originalità della proposta musicale, che viene spesso descritta come Progressive Metal con elementi tribali, hanno rapidamente catturato l’attenzione del popolo di Veruno, che sotto il sole caldissimo si muove al tempo della musica sanguigna e quasi ipnotica dei Terra.

Momento cruciale della loro carriera è stato il primo tour europeo del 2023: i Terra hanno suonato come gruppo di supporto per i svedesi Soen, esibendosi in 26 date nelle principali città europee (il nostro report della data a Bologna). Questa esperienza ha permesso loro di consolidare la reputazione di una band con un’ottima performance dal vivo, dove l’inusuale combinazione di batteria e voce del frontman, insieme all’uso massiccio di fiati e percussioni, come i legni, contribuisce a creare un’atmosfera potente e coinvolgente.

La loro esibizione ha un impatto sonoro stratificato e dinamico: l’anima della loro musica risiede nelle poliritmie complesse, assoli di chitarra atmosferici, una dinamica che spazia dalle sezioni più eteree a quelle più aggressive, le percussioni e la voce del frontman Daniele Berretta, potente e versatile, che si muove agilmente tra melodie accattivanti e scream più ruvidi, guidando lo stuolo di fan e amici attraverso i paesaggi sonori che il gruppo crea. Insomma, quando i Terra salgono su un palco, è garantito un concerto che va ben oltre la semplice esecuzione dei brani, ma che si trasforma in un vero e proprio rito, ritmico e sonoro.


Seguono i canadesi Red Sand, alla loro primissima volta sul suolo italiano: nati nel 2004 in Quebec, si sono ritagliati un posto d’onore nella scena neo-prog internazionale grazie a una discografia solida e a performance dal vivo che, sebbene non frequentissime, sono sempre molto attese dai fan del genere.
Guidati dal polistrumentista e chitarrista Simon Caron, la cui passione per le sonorità di band storiche è palpabile, i Red Sand entrano in scena per farsi conoscere e offrire un’atmosfera ricca di dense atmosfere.

Grande successo per loro, che si guadagnano un’intensa standing ovation, che fanno ballare anche le persone rimaste sedute direttamente sulla sedia, loro che proprio oggi pubblicano il nuovo album “The Sound Of Silence”, andato letteralmente via come il pane: nuovo capitolo nella discografia della band, questo album esplora il tema oscuro e complesso del narcisismo attraverso le sue sette tracce epiche e melodiche.

Definiti nel 2013 un gruppo “incompiuto”, che nonostante l’enorme competenza potrebbe rimanere nelle retrovie rispetto ai giganti del genere, trovo abbiano lavorato e migliorato anche la presenza scenica e l’impatto complessivo dal vivo, compreso alcuni cambi d’abito del vocalist. L’esibizione gira in gran parte attorno alla chitarra di Simon Caron, intrisa di suoni romantici, assoli liquidi e atmosferici, facendo innamorare persino me che sono di tutt’altra matrice. Ci sono brani che superano i 10 e addirittura i 15 minuti, ma il concerto è strutturato per accompagnare al meglio il pubblico attraverso suite estese e paesaggi strumentali elaborati, che richiedono a volte un ascolto attento e non casuale.

In sintesi, per gli appassionati di Neo-Prog un concerto dei Red Sand promette una serata lunga, musica solida, tecnicamente ineccepibile, perfetta in maniera quasi imbarazzante, e ricca di atmosfera: le standing ovation non partono a casaccio a Veruno, e loro ne conquistano una lunghissima e sentita. Chi cerca una performance innovativa potrebbe trovare il loro approccio più lineare e introspettivo. Bravi, molto, non nascondo che ne avrei voluto ancora di Red Sand.


Tuttavia, il movimento sul palco indica l’arrivo del terzo gruppo, già originali ancor a prima di presentarsi, con le postazioni di tastiere e chitarra poste su basi a rotelle: i Lifesigns fanno il loro ingresso trionfale sotto un cielo stellato infinito, benedetti da un’eclisse che fa alzare il naso a chiunque, e che rende l’atmosfera, se possibile, ancora più magica. Se ci fossero mai dubbi sul pedigree prog di questa band britannica nata nel 2008, il maestoso brano d’apertura “N” li mette subito a tacere, tutti.


Le linee di basso melodiche e trascinanti come la stessa fisicità del vivace Jon Poole sostengono le ricche sovrapposizioni di tastiere di John Young, veterano fondatore della band che strizza l’occhio alle macchine fotografiche e agli amici che l’hanno seguito dall’Inghilterra, e che vede collaborazioni significative con artisti come Scorpions, Greenslade e John Wetton. Il lavoro di chitarra di Dave Bainbridge, sorridente che più di così proprio non si può, è davvero eccezionale, specialmente nella parte solista.


Tutti i membri vantano anni di esperienza e professionalità, e in un concerto come questo si percepisce chiaramente il loro affiatamento, essenziale per un’esecuzione live impeccabile. Musicalmente, sono melodici ma complessi; in un classico stampo prog, si sentono strumenti elettronici e analogici che lavorano in armonia, e la voce di Young è acuta e pura. La presenza delle tastiere è sempre forte e dominante, ma le sei corde di Bainbridge hanno ampio spazio per respirare e lavorare, e con il bravo Csorsz alla batteria il loro suono ha ampiezza e altezza, riempie il palco prima, e tutto l’intorno poi, creando un muro sonoro imponente e, a tratti, di una bellezza struggente, ipnotica.

Tra i brani più amati abbiamo l’incisiva “Gregarious”, con il motivo dominante delle tastiere che sfuma, mentre il suono si sviluppa in un crescendo culminato in un superbo assolo di Bainbridge. “Shoreline” ricorda in alcuni punti i Rush dell’ultimo periodo, e introduce la parte principale, “Fortitude”, un brano che si sviluppa lentamente e che aumenta di complessità e potenza con un altro splendido lavoro di Bainbridge prima di concludersi in un fantastico confronto tastiera / basso.

La serata si conclude con “Last One Home”, probabilmente il brano più breve offerto dalla loro performance, perfetto per concludere con emozione e brividi il concerto. I Lifesigns sono una formazione che merita molta più visibilità di quella che riceve attualmente, ma spetta al pubblico promuovere questa band meravigliosa, proprio come ci dice John Young: we rely on wonderful people like you, thank you for your support!

Concludono l’edizione 2025 di questo immenso festival i Nektar, una delle band prog più uniche e affascinanti ad aver solcato le scene musicali degli anni ’70. Originari della Germania, ma quasi tutti inglesi di nascita e attualmente stabilitisi in America, i Nektar hanno accompagnato per oltre 50 anni i loro fan in epiche avventure audiovisive ai confini dell’universo e nelle profondità degli oceani, con la loro coinvolgente miscela di immagini e suoni. Formatisi ad Amburgo nel 1969, i Nektar iniziarono il loro percorso sperimentando un suono ibrido, frutto dell’incontro tra Prog, Psichedelia e immaginazione fantascientifica. Il loro album di debutto, “Journey To The Centre Of The Eye” del 1971, fu una vera e propria rivelazione, dimostrando fin da subito la loro visione artistica fuori dal comune.

Temi cosmici, metafisici e visionari si intrecciano in ogni loro lavoro con un virtuosismo musicale straordinario, creando mondi sonori che trascendono i limiti del Rock convenzionale. Artisti come Porcupine Tree e gli storici Dream Theater riconoscono l’impronta dei Nektar nella loro produzione. Oltre al bassista originale Derek “Moo” Moore, i Nektar comprendono musicisti con decenni di esperienza e curricula altisonanti, come quelli del tastierista e del batterista, che hanno lavorato a vari progetti di Frank Zappa. Jay Dittamo è l’unico batterista con cui Moore abbia mai suonato oltre al batterista originale, e un’opportunità per lui di eseguire un assolo non sarebbe stata male, per mettere in mostra le doti di qualcuno che aveva quasi ottenuto il posto suonando nella band di Zappa nel 1981.

Kendall Scott, circondato dalle sue tastiere, passa senza soluzione di continuità dall’evocare profondi suoni d’organo a fioriture di synth durante il concerto; il chitarrista e cantante Ryche Chlanda proviene dai Fireballet, con sede nel New Jersey a metà degli anni ’70. La sua voce è fluida e disinvolta, e suona la sua chitarra con mano guantata e una precisione tale da far impazzire i fan ogni volta che ha l’opportunità di brillare. In qualsiasi momento si potrebbero chiudere gli occhi e immaginare il cantante originale, Roye Albrighton, esibirsi sul palco, sebbene lo stile personale di Ryche si riveli nei brani più recenti.

Di recente, ai Nektar si è aggiunta anche la fascinosa e sorridente cantante Maryann Castello: diciamocelo, i cori femminili migliorano praticamente qualsiasi brano prog, e certamente impreziosiscono i brani dei Nektar, vecchi e nuovi. Anche quando non canta, Maryann mantiene una solida presenza scenica, ondeggiando con grazia a ritmo di musica e sorridendo ai fan.

Mo Moore, invece, è il punto di riferimento della band. Per uno che sta per entrare a far parte della lista dei rocker ottuagenari, le sue dita si muovevano senza sforzo su e giù per la tastiera del basso, e nei momenti in cui si avvicinava al microfono, la sua voce era giovanissima e fortissima. Parte integrante di ogni concerto dei Nektar sono sempre state le luci e le proiezioni di sfondo, tanto che fino a poco tempo fa avevano un tecnico delle luci dedicato, Mick Brockett, accreditato come quinto membro della band per tutti gli anni ’70.

Anche stasera, sotto l’eclisse che va svanendo, lo sfondo del palco riflette il periodo musicale dei Nektar, sia gli sfondi psichedelici colorati che richiamavano le loro radici o immagini più aggiornate per le loro registrazioni più recenti, incluse immagini della band originale. Ciò che mi ha colpito dei Nektar è che hanno lo stesso entusiasmo di un gruppo che firma il suo primo contratto, anche dopo decenni, e amano suonare insieme, è evidente; molto è cambiato dagli esordi, ma è anche vero che molto è cambiato per il genere e per l’industria musicale in generale. Ci insegnano, i Nektar, che la storia di una band sarà sempre lì, immutata, ma una band in carne e ossa potrebbe non esserlo … e va quindi vissuta per tutto il suo valore, che in questo caso è inestimabile.

Si conclude con un pubblico felice e festante questa edizione del Veruno Prog Festival, che è più di un semplice evento, è un sentimento, un ritorno a casa, un vero e proprio raduno che cementa la passione e lo spirito della comunità prog, dimostrando che la musica dalle strutture complesse e dalle ambizioni artistiche ha ancora un cuore pulsante e un futuro brillante. L’attesa è già rivolta al prossimo anno, a malincuore saluto il grande palco che per tre giorni mi è stato casa, certa che saprà emozionare e stupire con nuove performance indimenticabili.
Articolo e foto di Simona Isonni
Set list Nektar Veruno 7 settembre 2025
- One Day Hi One Day Lo
- Cryin’ In The Dark / King Of Twilight
- Skywriter
- Preacher / Nelly The Elephant / Marvellous Moses / Smile / Let It Grow
- Mission To Mars
- Long Lost Sunday
- I’ll Let You In
- Remember The Future Part 1
- I’m On Fire
- Fidgety Queen
- Good Day
