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Cinelicious Birthday Party Bologna

Evento immersivo, letteralmente, in tutti i sensi, per realizzare un documentario su uno dei live music club europei più importanti

Cinelicious è una giovanissima casa di produzione cinematografica che ha fatto il suo debutto al Covo Club nel 2023 e che ha festeggiato il suo primo compleanno il 19 gennaio organizzando un evento immersivo, letteralmente, in tutti i sensi: avete mai mangiato uno struffolo campano quando un film proiettato ve lo suggerisce? Tutto questo sta per accadere in questa serata.

Cinelicious ha un’ambizione molto grande: realizzare un documentario su uno dei live music club europei più importanti odierni, proprio il Covo di Bologna, nato nell’ottobre del 1980.

Per fare tutto questo troviamo, nel locale, una raccolta fondi comprando merchandising della stessa produzione ma anche un’esposizione di cimeli d’epoca del club: da locandine a proiezioni inedite di esibizioni avvenute nello stesso stabile bolognese di gruppi come Franz Ferdinand, Libertines e XX, materiale che presumiamo andrà a finire proprio nell’ambizioso e atteso documentario rendendolo ancor più delicious.

Se questi bagni potessero parlare– Le porte si sono aperte alle 22 e da subito ci siamo trovati immersi, nella hall centrale, in installazioni video interattive: sui monitor i passanti potevano diventare parte di alcune locandine e scattare foto ricordo con una scenografia luccicante alquanto discotecara anni ‘90 (non posso non ripensare al video “Discotheque” degli U2 prodotti da Howie B del 1997).

Ah, se questi bagni potessero parlare, esclamano alcune visitatrici, evidentemente storiche frequentatrici del locale. Se potessero parlare i bagni, probabilmente avremmo dei racconti ancora più rock di ciò che è accaduto sul palco nel corso di questi quattro decenni. Molti di noi sono quindi venuti per ricatturare ricordi. Ma come sono cambiati i tempi da allora? Lo chiediamo a George, un alto uomo barbuto con una camicia gialla e con zig zag alla Charlie Brown che, come le altre sere, anche stavolta troviamo dietro uno dei due banconi.

George, l’uomo in giallo e zig zag dietro il bancone

Da quanto tempo lavori qui al Covo, George?
Ho iniziato nel 1993 come Dj, poi dal 2000 sono diventato uno dei gestori del Covo.

Lo vedi cambiato il Covo? In cosa?
Sì, per forza. La concezione di “Club” rimane: un posto dove proporre musica nuova. Ovvio che cambiano le persone, le realtà, il mercato e i gruppi ma c’è un binario che continua a seguire il concetto di “Club” – però i tempi cambiano e bisogna adattarsi. Nel ‘93 non c’erano i social, ora sì: questo muta molto le cose sul come digerire e vivere la musica dal vivo. Nel ‘93 sapevi che c’era un gruppo di Seattle e ti dicevi: “Ok, andiamo a vederlo”, non andavi a controllare sui social quanti like avesse. Ora se delle band non hanno abbastanza like questa cosa può influenzare la curiosità della gente.

Vero, ricordo che i primi tempi, 17 anni fa, quando mi trasferii a Bologna, venivo al Covo senza sapere neanche chi suonasse: mi fidavo della selezione delle proposte, del gusto del locale
Esatto, una volta ti fidavi del dj e di chi organizzava i concerti. Quella fiducia ora non c’è più.

Per colpa dei social, maledetti social…
Ci si adatta anche a queste realtà.

La cosa strana è che ho sempre amato il Covo, venivo alla cieca a vedere concerti ed era ed è tra i miei locali preferiti. Mi sono sempre sentito a mio agio come in pochi altri posti. Poi un giorno ho scoperto una cosa strana: io e il locale siamo nati lo stesso giorno e lo stesso anno, abbiamo esattamente la stessa età: il 23 ottobre del 1980. Certo, il Covo non sarà scorpione ascendente scorpione quindi come vita sociale gli sarà andata meglio di me. Ma da lì amore immenso.
Ah, ma allora, lo sai…45 anni

Eh, lo so, lo so. Hai un ricordo che ti è rimasto nel cuore?
Il primo giorno in cui c’era la visione di fare un club all’inglese, dove le sale erano divise per generi. Ma in realtà quando arrivo qui ogni sera alle 7:30 / 8:00 sono felice. Felice che stiamo aprendo e che ci siamo ancora.

George mi lascia con una verità abbastanza sconcertante ma concreta: se una band quindi ha lavorato molto di social network ha probabilmente più possibilità di suonare in giro in base ai like acquisiti stando alla percezione odierna del pubblico. Ma se una band, seppure brava, non ha alcuna voglia di essere nel posto giusto al momento degli aperitivi, potrebbe restare in sordina. A voi la sentenza: è giusto lasciarsi condizionare da social e influencer per quanto riguarda le possibilità che ci diamo di ascoltare qualcosa di nuovo? Qualcosa che reputiamo nostro, personale? Come può un influencer decidere questa scoperta di appartenenza così prettamente individuale e personale? E che fine faranno gli artisti introversi e a-social? Non li sentiremo mai per assenza di like nonostante producono?

Nel durante mi viene in mente di intervistare un amico che è con noi, che è a Bologna da molti più anni di me e che quindi ha, molto probabilmente, frequentato il Covo precedentemente agli anni Duemila. Chiedo. Può essere una testimonianza da frequentatore e non da membro interno come George. Un punto di vista diverso.

Pier, il testimone improvviso

La prima volta che sei venuto al Covo: che anni erano?
Anni ‘90. Nel 1995.

Ti ricordi che tipo di serata era?
Avevo 21 anni. Era il mio primo anno a Bologna, una matricola venuta qui per studiare. Questo era uno dei locali da frequentare. C’erano concerti prevalentemente rock e delle serate tematiche. Ricordo una canzone degli Offspring che andava tanto nelle hall, “Come Out and Play”: ci gasava, era l’inno della serata, la nostra canzone preferita.

Frequentavi spesso il Covo?
I primi due anni a Bologna sì, o settimanalmente o un paio di volte al mese.

Ti ricordi il primo concerto che hai visto invece, qui?
No, no. Ho tanti vuoti (ride). Però di recente, da adulto, ci ho visto i Calibro 35.

L’hai visto cambiare il Covo dagli anni ‘90 ad adesso?
Strutturalmente è uguale ovviamente. Ci sono stati dei cambiamenti ma di poco conto.

Questo è parte del passato e quanto forse alcuni testimonieranno in maniera simile nel documentario in realizzazione. Ma chi c’è dietro questa macchina pensante (e praticante) a riguardo? E cosa stiamo per vivere, tra circa un’ora? Chiedo informazioni alle persone e mi indicano una ragazza dai capelli platino. Le chiedo se la posso intervistare.

Claudia, la ragazza dai capelli platino che mi hanno indicato

Ci hanno detto che sei l’organizzatrice di questo evento.
Siamo io [Claudia Mastroroberto] e Alice Solinas, la mia socia. Abbiamo la nostra casa di produzione che si chiama “Cinelicious” appena nata, e stiamo lavorando a un progetto su un documentario sulla storia del Covo e quindi oggi festeggiamo qui. Ci sarà una nostra prima performance, una proiezione musicata live da Arktah’, musicista, producer e percussionista e a seguire ci sarà un’altra sorta di performance cinematografica intitolata “Time machine” dove saranno proiettati sul palco del Covo degli storici concerti: un po’ di Libertines, Franz Ferdinand, XX e poi si proseguirà con il dj set, oltre qualche installazione che racconta la storia del Covo.

Si dice che il Covo sia uno dei music club più importanti d’Europa: hai una bella responsabilità da documentare. Com’è nato questo progetto?
Per affetto probabilmente. Vengo qui da tantissimo tempo e sono molto amica dei ragazzi che lo gestiscono. In estate parlavamo di progetti futuri e io mi ero appena diplomata alla scuola di cinema documentario. Dopo un momento di stand by in cui intanto ho fatto le mie esperienze, è arrivato il momento di riprendere il progetto in mano.

C’è un ricordo personale che vuoi condividere del Covo?
Ne ho così tanti che è difficile dirne uno. Sicuramente ho la sensazione di casa. Un punto fermo che mi accoglie sempre.

Si fa fatica a estrapolare un ricordo preciso, noto, tra i testimoni. Al di là di alcuni annebbiamenti chimici o alcolici, intendo. Probabilmente il Covo è stato non solo un locale ma un periodo intero di vita. Capisco la difficoltà; se mi dovessero chiedere cosa mi è piaciuto di più dell’adolescenza forse risponderei “quando è finita con tutti i suoi maledetti telefilm liceali con codici postali nel titolo”, ma se dovessi estrapolare un ricordo del periodo successivo legato a qualche locale, effettivamente vedrei che il calderone è più vasto di quello che pensavo. Ritento la domanda con la socia di Claudia, Alice, che intanto è arrivata.

Io e Claudia abbiamo iniziato a lavorare a Cinelicious insieme ed è merito suo che è diventata una casa di produzione. Siamo all’inizio di questa attività, l’inizio della produzione di questo documentario.


Dicevo anche a lei: un bel peso. Il Covo, tra i music club più importanti in Europa.
Molto interessante. Io non sono di Bologna ma è stato il primo posto dove ho fatto un concerto da sola, quindi un inizio. Un grande peso: quante firme, quanti manifesti nei camerini del backstage.

Ci fate fare una foto dei camerini che hanno ospitato questi artisti nel corso degli anni? Sono sempre stati inaccessibili al pubblico, io non li ho mai visti
Adesso lo chiediamo, eh eh.

Cosa ti aspetti da questa serata che sta per iniziare?
Di godercela tanto. Cinelicious vuole essere una comunità come lo è il Covo con tutte le persone che ci hanno vissuto, ballato, suonato, bevuto, goduto.

Le due ragazze posano per la foto e poi ci portano in questo luogo misterioso e inedito ai più che mostreremo per Rock Nation, dove diversi artisti, dai Franz Ferdinand ai Desire, si sono raccolti prima e dopo i live sul palco.

Poche persone al di fuori di loro hanno visto questo luogo – non luogo. Entriamo e la sensazione è di un sostanzioso vissuto: le mura piene di scritte, firme, locandine, flyer d’epoca. Una sorta di museo dalle fattezze punk della musica degli ultimi decenni che è passata di qua.

Si entra nel vivo della serata. Iniziano le proiezioni: un cortometraggio che ci fa balzare da vecchi filmati (anni ‘80?) a ricostruzioni attuali. Il giovane Arktah’ accompagna live il tutto. I filmati descrivono una persona cara venuta a mancare e i ricordi e la memoria contenuta in una ricetta tipica. Ho sempre pensato che le ricette siano memoria storica e geografica.

Un test di Cinelicious, stasera, che, oltre a farci assaggiare una delle sue produzioni, ci porta quegli stessi dolci che stiamo vedendo sullo schermo: sarà quest’ultimo a suggerirci quando finalmente potremmo assaggiarli condividendo un’esperienza comune con l’opera.

Non è la sola simbiosi che si crea tra opera, pubblico e locale. Seguono infatti le chicche delle serata: sul palco del Covo vengono proiettati filmati inediti dei primi anni Duemila dei Libertines, Franz Ferninand e XX che suonano…sul palco del Covo. Una sorta di drive in sul “luogo del delitto”. Passato e presente vengono sovrapposti come una foto scattata in un luogo. Sono lì, ma non sono più lì, ma saranno per sempre lì.

Il Covo ha tanto da raccontare. Attendiamo questo filmato che è un documento dovuto a uno dei live club più importanti in Europa.

Articolo di Mirko Di Francescantonio, foto di Giovanna Dell’Acqua

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