
17 maggio, i Delta V hanno portato il loro tour al “Lupus in fabula” di Nimis, un piccolo club a suo modo già leggendario nella scena della musica indipendente. Prendo la SS13 nel tardo pomeriggio, appena uscito dall’autostrada a Udine Nord: è la strada che questa sera mi condurrà ai Delta V, freschi di nuovo singolo e di ritorno sui palchi dei piccoli club in rodaggio per un rientro più massiccio nei prossimi mesi. Ai lati di un rettilineo in apparenza infinito sfilano concessionarie di auto, negozi, bar, l’immancabile McDonald’s: un margine cittadino identico a quello di qualsiasi altro capoluogo italiano. Allungo la mano e faccio partire “Heimat”, l’album del 2019, colonna sonora perfetta per sentirmi parte di qualcosa quando devo attraversare non-luoghi come quello che mi circonda.

Il cemento si dirada progressivamente, fino a che, oltrepassato un ponte, compare il bivio per Nimis. Le case ai lati della strada mi scortano quiete verso la piazza: da lì, sembra di partire verso il nulla. Invece, sotto la pioggia di maggio appena promossa da “battente” a “minacciosa”, un cartello compare all’improvviso: “Lupus in fabula”. È il piccolo ma storico locale in cui questa sera suoneranno i Delta V. Sono a quasi trecento chilometri da casa, come sempre per un concerto.

Sono arrivato con largo anticipo e chiacchiero un po’ con la band, curioso di scoprire cosa accadrà sul palco. Ho incontrato i Delta V a Milano a metà marzo, quando abbiamo scattato le foto promozionali per il nuovo singolo; poi il primo giorno di maggio, all’ultima prova prima del tour, ma solo in parte so cosa aspettarmi.

Nell’attesa, ricordo che al nostro primo incontro ne mancava uno. Avvenne a Milano, alla fine di gennaio 2020, senza Flavio che vive da anni a Barcellona ma aveva inviato i suoi compagni di viaggio a raggiungermi in occasione di un concerto al Germi. Carlo e Marti arrivarono e parlammo a lungo per strada. Come sempre, ero intimidito: ehi, sono i Delta V. Un anno prima avevano pubblicato “Heimat”, primo album dopo oltre un decennio di silenzio (“Pioggia rosso acciaio” è del 2006). “Heimat” presentava una nuova e sorprendente cantante, ma aveva un’impronta sonora inconfondibile e pressoché unica in Italia: un mix inestricabile di Post-Punk, Elettronica, Pop e melodia, con gli arpeggiatori infaticabili sullo sfondo e i groove che rimbalzano dolcemente sui contro-groove. Lì per lì non mi ero neppure accorto della nuova uscita: me ne aveva parlato Flavio pochi mesi prima durante un piovoso incontro in montagna. Ero corso a cercare il disco, che mi aveva molto impressionato; in alcuni casi, trafitto.

In quel gennaio, non ci stavamo incontrando per caso. Pochi giorni prima, a Firenze, Flavio mi aveva chiesto di dare una mano alla band in vista del nuovo lavoro che stavano mettendo in cantiere. Era ancora un work-in-progress, e forse avrei potuto essere utile in qualche modo. La mia risposta positiva era scontata. Il gelo ci avrebbe però aggredito pochi giorni dopo, e lo ricordiamo tutti. L’8 marzo 2020 resterà per sempre il giorno del lockdown, ma il Paese e il mondo intero iniziarono a fermarsi e rinchiudersi ben prima, fino a schiantarsi nella paralisi totale. Per tutti gli artisti fu un colpo durissimo. Anche i Delta V, che stavano iniziando a pensare ai nuovi brani, persero parte dell’abbrivio iniziale.

Restammo in contatto, però, e in quel periodo lavorai a distanza con Flavio a diversi progetti. Talvolta chiedevo se ci fossero novità sul disco, che non pareva imminente. Poi, a settembre, mentre il mondo tentava una timida riapertura, io e Flavio ci ritrovammo a Garlasco. Carlo e Marti vennero a trovarci e dopo cena ascoltammo un brano nuovo, composto da poco, che trovai bellissimo. Dissi che mi sembrava la via giusta. Da quel momento, nei momenti più impensati e a scadenze irregolari, mi arrivava il file mp3 di qualche provino, e ho avuto il grande privilegio di vedere il lavoro prendere forma, con qualche giro e qualche scartamento, ma in maniera inesorabile.

Avanti veloce: fine 2024. Non posso dimenticare il 31 dicembre e il crudele addio al mio fratello spirituale Paolo Benvegnù. Le coincidenze narrano che Carlo e Marti mi chiamarono per gli auguri quando ancora non sapevo nulla. Pochi minuti dopo, da Barcellona, mi chiamò anche Flavio, per chiedermi se l’assurda voce che stava iniziando a circolare fosse vera, e purtroppo lo era. Lo venni a sapere da lui, di fatto. A parte questo, Carlo mi aveva comunicato che nel mese di aprile 2025 sarebbe finalmente uscito un singolo dei Delta V, in previsione dell’album previsto per fine estate. In quella sera di atroce dolore questo non contava poi molto, ma pensai che erano ormai trascorsi cinque anni: d’altronde le cose belle non si realizzano a colpi di bacchetta magica, né si costruiscono da sole.

L’album rimane segreto, lo scopriremo con l’autunno alle porte. Il singolo pubblicato il 15 aprile la dice però lunga, a partire dal titolo: “Nazisti dell’Illinois”. La citazione rimanda alla memorabile scena del film “The Blues Brothers”: Jake ed Elwood si lanciano con la Bluesmobile contro un gruppo di nostalgici svastica-dotati che manifestano su un ponte, obbligandoli a lanciarsi in acqua senza né grazia, né dignità. Io li odio, i nazisti dell’Illinois… è la frase chiave.

Da quando i Delta V fanno musica politica? potreste chiedervi. Rispondo sorridendo: Da sempre, non ve n’eravate accorti? In effetti, a cavallo del cambio di secolo, era facile scambiarli per un semplice gruppo pop. “Se telefonando”, ricordate? “Un’estate fa”? Ci cascai anch’io, per un po’: No, questo è Pop… E il Pop, si sa, non ha grande spessore. Giusto? No: madornale errore.
Il mondo visto dallo spazio è solo un’illusione
Un punto poco fermo in preda alla sua rotazione
È il sogno di un illuso che non si è più risvegliato
E noi fantasmi non crediamo che al nostro passato
Era il 1997, l’album “Spazio”. Questo non è un testo pop, tantomeno uno dei testi del pop di oggi, ma è una delle chiavi per comprendere: lo scavo lirico dei Delta V è tutto fuorché banale. Percepisco una grande fatica nel loro ricercare parole e nel dargli un senso. Se cerchiamo un fil rouge in grado di connettere tutto, emerge facilmente: ci sono un mondo esterno e un mondo interiore che raramente si connettono. Nella crepa di nostalgia e disillusione che nasce da quel non-incontro e spesso appare nelle loro canzoni, le microstorie si trasformano misteriosamente in storie universali, finendo per narrare qualcosa che è molto più ampio dell’individuo. Lo spaesamento percepibile nella loro musica nasce lì, in quella crepa.

Ascoltando per la prima volta il nuovo singolo, pensai istintivamente che parlasse di tutti noi. A maggior ragione, risentendo le canzoni del repertorio precedente cantate dalla splendida voce di Marti, che ha un timbro diverso da chi l’ha preceduta, ma che mi appare oggi come la miglior cantante che i Delta V potrebbero avere. Già avevo apprezzato il suo ruolo in “Heimat”, ma nel lungo silenzio intercorso tra quel bellissimo album e ora le cose sembrano essersi ulteriormente solidificate.

Il concerto è previsto per le 21, e l’apertura è affidata a Lorena Tomat, in arte A Loner, cantautrice di Maniago che si presenta con la sua chitarra e regala ai presenti un pregevole set minimalista speziato di intenzioni dark. Un ottimo modo di preparare la sala a suoni ben più intensi e ipnotici, mentre il pubblico, proporzionato alla capienza del piccolo club e in palese aspettativa, inizia a prendere posto davanti al palco.

I suoni dei Delta V sono intensi, perché per l’occasione si presentano in formazione a cinque. Oltre alla voce imprescindibile di Marti, Flavio e Carlo si alternano a diversi strumenti (ci sono due bassi sul palco, per dire), sorretti dalla batteria di Simone Filippi (Üstmamò, CCCP e molti altri) e impreziositi dal violino e dalle chitarre di Nicola Manzan (Bologna Violenta, Teatro degli Orrori, Baustelle e molti altri).

La band prende il palco quasi senza che il pubblico se ne accorga: è pressoché buio e i musicisti sono silhouette oscure. La musica parte con dolcezza, prendendo il via da quello che nell’ormai lontano 2018 fu il primo segno del ritorno: “L’inverno e le nuvole”. Sorrido alle prime parole, che sembrano voler allontanare il temporale che si è scatenato all’esterno: Vedrai, l’inverno passerà / mi sembra un buon inizio. Di certo lo è, quando sfuma nel passato con “Il mondo visto dallo spazio” e poi salta a piedi giunti nel presente con “Nazisti dell’Illinois”, unico brano del tutto nuovo del set.

Le canzoni spesso hanno un working title, un titolo provvisorio che può anche cambiare all’ultimo minuto. “Nazisti dell’Illinois” ne aveva uno che non svelerò, ma che non è difficile intuire ascoltando il ritornello. Per i feticisti, rimandava a un brano (dimenticato?) del periodo berlinese di David Bowie. Poi, l’annuncio di quello che mi pare uno dei titoli più ironici e abrasivi comparsi in Italia negli ultimi mesi. Mi perdonerete se insisto: è politico? No, se definite politico il repertorio degli Inti-Illimani. Assolutamente sì, se intendete che connette le storie dei singoli con quella del Tutto che ci circonda. O del Niente che ci circonda: come spesso accade, i due estremi coincidono.
Un miliardo di automobili e le televisioni
Si rincorrono nel mondo
Io mi perdo ogni giorno nel mondo
Tra gli scaffali del supermercato sotto casa
Tutto parte dall’ironia dei Blues Brothers, ma la realtà? Riusciamo a leggerla? Sembra che niente riesca a muoversi abbastanza in fretta nello scorrimento infinito che ci trascina attraverso i peggiori video dei più inutili social, le notizie false scritte da un’AI deviata e tutto ciò che ci assedia ogni giorno. Un antidoto? L’invito dei Delta V è adatto non solo per musicisti che hanno vissuto tutto e il contrario di tutto:
Leggi le classifiche
Brucia le classifiche
Non accontentarti mai
Al limite spara al dj
Chissà se è ci ancora chiara la distinzione tra un dj, l’entertainment, e un politico, l’establishment. La sensazione è che uno dei più deliranti dj al mondo sia nato non in Illinois, ma nello Stato di New York, ma per una volta la geografia non sembra rilevante. Mentre gli zar si telefonano sopra le nostre teste, noi siamo imprigionati, condannati a vagare tra gli scaffali del supermercato che incarna il modello di vita che crediamo di volere, ma forse anche no. Solo perché pensiamo di non avere scelta.

Non sto affermando che i Delta V incitino alla rivoluzione armata contro i dj che governano il mondo. La metafora, però, ci sta tutta e si conferma: attraverso brani del passato dai testi più intimisti (“Via da qui” e “La costruzione di un errore”), si giunge alla vetta del concerto: “San Babila ore 20”. Il titolo è lo stesso di un film di Carlo Lizzani apparso nel 1976, che narra l’uccisione di Alberto Brasili avvenuta l’anno prima ad opera di un gruppo di neofascisti. In origine, il brano concludeva “Pioggia rosso acciaio”. In tutta onestà, non l’ho mai amato fino in fondo, con la voce sintetica a declamare il testo in mezzo a un delirio di break di batteria. Fino a sei anni fa, quando una versione inedita comparve su YouTube, catturandomi per sempre. La melodia affidata alla voce di Marti ribalta totalmente il distacco dal mondo dell’originale. È una voce palesemente partecipe, che comprende a fondo ogni parola che canta, e sul palco emerge da una figura statuaria, immobile e con gli occhi chiusi. Non a caso, solo a quel punto del concerto Marti pronuncia la prima frase della serata: “Questa è ‘San Babila ore 20’…” Mi sia permesso di dire che è un brano essenziale, non solo per i Delta V ma per tutti, ora. Essenziale, perché è la disamina cruda di ciò che siamo diventati. Fa impressione pensare che sia stata scritta quasi venti anni fa e che siamo ancora esattamente allo stesso punto, o più in basso, ma ci fa capire come ci siamo arrivati.
Il fatto è che il paese dove vivo è nato male:
La mentalità di un pesce che vive in un canale
“San Babila ore 20” non cade a metà concerto per caso: è il culmine oltre il quale si scollina, e la discesa è grandiosa. Si passa per “Heimat” (notevolissima “Disubbidiente”) per virare al passato con “Un’estate fa” e “Marta ha fatto un sogno”. “Domeniche di agosto” ritorna a “Heimat” e i Delta V salutano. Ma non è finita: nei bis arrivano la storica “Se telefonando” e la seconda esecuzione di “Nazisti dell’Illinois”, a ribadire che i Delta V ora sono questo, e questo è ora e qui.

Potreste pensare che io sia di parte: dei gruppi amici si parla sempre bene, no? Smentisco: se lo pensassi, non avrei alcun problema a scrivere che trovo la proposta fuori fuoco. Se sapeste quante volte Flavio mi ha pettinato, per così dire, per qualcosa che secondo lui avevo fatto male; e altrettante volte mi ha detto che avevo fatto bene. Il mio rapporto con loro è così, non abbiamo paura di dirci le cose. E se c’è un concerto che vi può fare bene al cuore, oggi, c’è quello del tour di “Nazisti dell’Illinois”. Resta una manciata di date e poi li rivedremo in estate. Non un’estate fa, ma questa estate. Non fateveli scappare, e non per nostalgia dei ruggenti anni a cavallo tra la fine dei Novanta e l’inizio degli Zerozero: per il valore attuale, per la narrazione dell’oggi.
Non esiste il paradiso, forse neanche l′inferno
Anche la libreria all’angolo ha chiuso
E il futuro è più incerto
Vienimi a prendere in moto a lavoro
Che alla fine ti ho sempre amato
Non come i nazisti dell′Illinois, i nazisti dell’Illinois
Che modo geniale di ribaltare la storia su se stessa. Alla fine ti ho sempre amato / Non come i nazisti dell’Illinois: e tutto diventa chiaro. Forza Delta V, avanti: c’è bisogno di voi.
Articolo e foto di Marco Olivotto
Set list Delta V 17 maggio 2025 Nimis
- L’inverno e le nuvole
- Il mondo visto dallo spazio
- Nazisti dell’Illinois
- Il cielo che cambia colore
- Sul filo
- Via da qui
- La costruzione di un errore
- San Babila ore 20
- Disturbano
- Disubbidiente
- Il primo giorno del mondo
- Un’estate fa
- Non sei solo tu
- Al.C.
- Marta ha fatto un sogno
- Domeniche di agosto
- Se telefonando
- Nazisti dell’Illinois