Key points concerto Eric Sardinas 18 ottobre 2025
- Why: Blues, il contesto
- Who: come Eric è diventato un rocker
- What: Rock Blues sguaiato, ruvido, graffiante

Blues, il contesto
Il Blues ha sempre avuto un sacco di grane da risolvere. Nato da tragedie, cresciuto nelle difficoltà, ha sempre dovuto lottare per ritagliarsi un posto nel mondo dell’intrattenimento. Si parla, appunto, di intrattenimento e non di arte, termine troppo elitario, un concetto che è sempre stato chiamato in causa più per dividere che per unire, per classificare forme espressive come superiori così da segregare quelle minori. Le sue radici affondano nell’umiltà e il messaggio è sempre stato trasportato da piccole storie quotidiane, comuni, dovremmo dire, più accuratamente, banali.
Tante crisi interne sorte proprio nella culla del genere, il sud degli USA. Fecondo come pochi, i molti figli lo hanno sempre tradito, rinnegato e abbandonato. Dapprima il Jazz, che ha conquistato anche il pubblico bianco, da ultimo il Rock, che ha compiuto l’ultimo e definitivo assalto mortale verso il proprio padre moribondo, sottraendo, trasformando e spostando gli appassionati.

Quando ci mettiamo rilassati a sentirci un disco di quelli buoni forse qualche riflessione su quanto sia mutato il genere, su quanto, una evoluzione, alla fine, sia necessaria per la sopravvivenza, su quanto si possa ancora parlare ancora di blues, quanto gli animi vengono ancora mossi dalle care vecchie dodici battute, bisognerebbe farla. Forse, invece, sono patemi del tutto personali, sorti in preda alla soggezione che lo sguardo di Muddy Waters della copertina di “I’m ready”, il mio attuale “disco di quelli buoni”, mi crea.

Come Eric è diventato un rocker
Beh, di tutte queste cose Eric Sardinas se ne fotte, un po’ come il Blues se ne è sempre fottuto dei propri problemi. È mancino, una bella rottura. Immaginate di essere un ragazzino che negli anni Settanta, attaccato con la fronte alle vetrine dei negozi di strumenti di Fort Lauderdale, era costretto a vedere tutte le Fender e le Gibson prodotte solo ed esclusivamente per destrimani.

Nessun problema per il piccolo Eric: se le chitarre sono per destri, si suonerà da destri. A un certo punto, come tutti i chitarristi, si deve essere reso conto che mancava qualcosa nella sua giovane esistenza: il volume. Nessun problema per Eric, esistono le chitarre resofoniche. Poco importa se si utilizza l’alluminio al posto del pregiato legno, ancora meno se manca il sustain. L’importante è che suoni di più. Per fare casino, farsi notare, per fare il figo con lo slide, non quello in vetro, quello in metallo. Per fare colpo, fra le bottigliette in vetro di corcidin e l’ottone ossidato non c’è proprio gara.

Mancava sempre qualcosa, voleva ancora più volume, chi non lo vuole? Ed ecco che, invece di passare ad una elettrica come tutti noi mortali, si è detto: perché non mettere un pickup sotto le corde? Detto fatto! Adesso poteva suonare anche su grandi palchi e spaccarsi per bene i timpani. Successivamente, c’era da scegliere quale genere suonare. Lo strumento porta al Blues, al Bluegrass, al Folk. Come per le altre cose, Sardinas se ne infischia e suona quello che più gli piace, senza troppi pensieri.
Rock Blues sguaiato, ruvido, graffiante

Arriviamo alla serata al Santomato Live Club di Pistoia, 18 ottobre. Eric Sardinas suona il Dobro ficcato in un Marshall da 100 watt con una 4×12”. È un bluesman ma suona Rock, sguaiato, ruvido, con voce graffiante, fregandosene delle definizioni e pensando a divertirsi e a far divertire. Locale gremito di persone che si aspettano proprio questo. Lo ottengono. Passiamo un’ora e mezza con il sorriso. Il piccolo Eric sarebbe contento: il volume ci annienta e quando passa lo slide sulle basse sentiamo la colonna vertebrale vibrare dolcemente. Il larsen ci fa sciogliere. La band è composta, oltre che da lui, da Mario Dawson alla batteria e da Jason Langley al basso.

Eric Sardinas suona diretto, ha in canna una valanga di riff pazzeschi. La voce è perfettamente complementare alla sua resofonica. Si crea un’unione perfetta. Molte parti solistiche ma mai esagerate, rimane sempre al servizio del brano.

È un performer clamoroso. Per la maggior parte sono pezzi con un impianto blues ma stravolti da un rock texano e sudista. Non mancano ballate quasi acustiche, sornione, che servono per darci un po’ di respiro.

Giunti al termine, riguardo tutte le domande iniziali, non riesco a dare nemmeno una risposta. La faccia gioconda di Muddy continua a interrogarmi ma l’unica cosa che mi viene da pensare è che mi sono divertito, parecchio. E poi, scusate: ma le avete viste le due trecce lunghe un metro sotto al cappello western?
Articolo di Marco Lorenzetti, foto di Simone Tofani
