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High Fade live Bologna

In questi concerti pensi che il Rock non sia la fuga dalla vita burocratica, ma che sia la vita burocratica, tempo perso, a essere la fuga dalla vera vita, che è fatta di Rock

Locomotiv Club 12 aprile, serata High Fade. C’è quella luce rossa che lampeggia davanti a me. La fisso, boccheggio; le lunghe attese. Sono qui in prima fila, è tutto fermo e continuo a fissare quella luce rossa e lampeggiante di quell’ampli Laney su cui sono adagiati un paio di occhiali da vista. Potrei poggiare il mento sul basso della band, è qui davanti a me, sulla spia. Più in là, sempre sul palco, c’è una gommosa palla per cagnolini. Mi giro, mi poggio sulla spia; dietro di me c’è un pubblico molto giovane. Devono amare molto questa band per essere così tanti, un sabato sera qui. Sulle casse passano i Bee Gees. La febbre del sabato sera, eh? Be’, sono tutti qui, i malati. Hanno voglia di questa medicina, mi sembra di capire.

In fondo sembra di leggere una scaletta, è storta e attaccata su un coperchio da box; se è del chitarrista deve fare la verticale per leggerla. No, no, non è la loro, questa è italiana. Sarà un concerto vecchio.

Improvvisamente sento un ticchettare veloce, rapido. Rapidissimo. Qualcuno è nervoso lì dietro, qualcuno come un batterista. Tic tic tic tic tic tac tic. L’orologio dell’attesa ha come lancette due bacchette di un batterista nervoso. Tic tic tic tac tic. Quanto è veloce; è incredibile quel tic tic tic tac tic.

Lo scorgo, è a petto nudo. Probabilmente il petto nudo è la sua divisa da lavoro. Ne vedo un’altra, di divisa: dall’altro lato entra il cantante e chitarrista, ha un kilt, sistema cose, si fa un selfie con un fan, è molto disponibile. I fan li conoscono molto bene.

Continua il tic tic tac tac tic tic tic tic tic tic – poi stop. Eccoli entrare. Questi tre ragazzotti in kilt. Il batterista ha un’aria furba e divertita, incita la folla con il braccio: ne vogliono, sono affamati, hanno tutti la febbre. Hanno tutti la febbre del sabato sera e la medicina giusta.

Guardo il bassista, i suoi baffoni e la sua aria funky: il suo basso è un treno e straordinariamente funky, batte, batte forte in maniera percussiva. Aprono al Rock con “I hate this road”, brano che sotto le ascelle ha del deodorante anni ‘80, potrebbe essere il tema di un film con Michael J. Fox per capire il mood. La band cerca ancora gli applausi, non mollerà mai il pubblico, lo chiamerà in continuazione nel corso di tutto il concerto, lo terrà ben attento e partecipe.

La band si presenta e parte il wah wah di “Scorpion”: un basso sempre battente, una voce da James Brown anni ‘80 e un capolavoro di batteria, il tutto riportandoci ai primi Red Hot Chili Peppers. Qui abbiamo a che a fare con tre talenti tecnicamente preparatissimi come se ne sentono pochi dal vivo.

Bologna make some fucking noise urla il cantante e il pubblico li accontenta: urla fottutamente. Il brano continua tra Funk e Hard Rock; giocano le linee di basso e chitarra e ancora una volta il pubblico viene chiamato a duettare su un pa-pa. La band si guarda soddisfatta: ha capito che questa tribù sotto il palco è molto ricettiva. Ha capito che qui i rituali saranno compiuti senza problemi.

Passiamo all’apparentemente più rilassata “666999”, inizialmente dalle suggestioni soul per poi esplodere sempre sul Red Hot andante. Il pubblico è caldo. Su le mani! Dimenticate camere e cellulari, siamo qui tra amici dice il cantante invitando a lasciarsi andare e forse non perdere tempo a idolatrare. La band si vede che vuole divertirsi, porta gioia e divertimento genuino. Bellissime slappate sul basso di “Take me to the floor” ci riporta alla setlist, il concerto prosegue in maniera molto divertente.

Nel poliziesco “Gossip” assistiamo a un numero speciale; il cantante chitarrista fa partire una corda, la estrae come fosse uno spogliarello e la cambia durante l’esecuzione dello stesso brano sostenuto dal bassista e batterista sotto gli occhi divertiti del pubblico.

In “Fur coat” abbiamo un flanger dinamico, un riff velocissimo e soprattutto un solo di batteria come non se ne vedeva da tempo, lungo e tecnicissimo. Bravissimi. Arriva l’apparente primo lento, “Taking care of business” che rivela avere la struttura di un piccolo cross-over, quasi un brano a due tempi.

La band continua a far ballare, spesso il cantante chitarrista si avvicina al pubblico e propone i suoi soli. Vedo un ragazzino estasiato che simula con le mani gli assoli; sembra voglia piangere, sembra sia il giorno più bello della sua vita. Se non ci fosse il Rock non ci sarebbero giorni così belli, in questi concerti pensi che il Rock non sia la fuga dalla vita burocratica, ma che sia la vita burocratica, tempo perso, a essere la fuga dalla vera vita, che è fatta di Rock.

Noi siamo fatti di Rock. Noi siamo fatti di vita. Noi siamo fatti di individuali rotture con il resto perché nessuno può dirci chi siamo se non la nostra individuale ribellione. Il rock. Guarda quegli stupendi ragazzi sul palco. Guarda questo stupendo pubblico. La pace è qui, nessuna guerra. La vita è qui. Qui si vive, qui vale la pena essere nati, anche per soli 90 minuti.

Con “Sometimes I wonder” calchiamo atmosfere più soul e delicate. Arriva il momento del solo chitarristico; il batterista osserva il pubblico dietro i piatti fermi, il bassista si poggia al suo ampli e annuisce agli sguardi del pubblico entusiasta, espressioni che dicono eh sì, è proprio bravo il nostro chitarrista. Il chitarrista propone ambienti fatti di giochi di armonici, arpeggiate e scale accennando anche “Giochi proibiti”. La band dichiara con queste performance di essere singolarmente preparata.

Con “Bone to Pick” riparte il funk e il coinvolgimento del pubblico che ondeggia “on the left, on the middle, on the right” orchestrato su questi versi dal cantante. Su “Pick me up” canta il pubblico e sulla successiva “The Jam” ormai parte il pogo. La mia testa è attaccata a una spia, fisso quella luce rossa lampeggiante dell’inizio. Decidiamo di ritirarci sui bordi laterali per proteggere l’attrezzatura fotografica. E, ah, gli occhiali e magari anche la mia mascella.

La domanda se è stato un bel concerto è: lo rivedresti? Anche domani, prima e dopo i pasti. I ragazzi sono molto molto divertenti, e se avete voglia di un po’ di buon umore e di sapiente tecnica correte a vederli. Sono loro la medicina della febbre del sabato sera. Sono loro il senso della vita: quei 90 minuti.

Articolo di Mirko Di Francescantonio, foto di Giovanna Dell’Acqua

Set list High Fade live 12 aprile 2025 Bologna

  1. I hate this road
  2. Scorpion
  3. 666999
  4. Take me to the floor
  5. Gossip
  6. Fur coat
  7. Taking care of business
  8. Sometimes I wonder
  9. Bone to Pick
  10. Pick me up
  11. The Jam
  12. Burnin’
  13. Chameleon
  14. Sharpen Up
  15. Born Toast and Coffee
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