
Siamo al Covo Club di Bologna, 9 aprile. Sento il petto di chi è dietro di me sulla mia schiena. Ogni tanto anche qualcosa di duro che credo sia un obiettivo di una macchina fotografica. Siamo in prima fila e stavolta non è stato così facile accaparrarsela. Mi guardo attorno: siamo redattori, giornalisti, fotografi, tutti ammucchiati davanti, tutti con una certa pressione addosso. Il fastidio pizzica la tensione nell’aria, basta poco per scattare e litigare, poco, come un obiettivo duro che mi sento nel fondo schiena, sarebbe una giornalistica colonscopia per me, e poi questa pressione continua: non spingono, avanzano gradualmente stritolandoci con gentilezza. Sold out, nonostante sia mercoledì. Non c’è un pubblico giovanissimo ma maturo direi.

Di cosa volete che parlino redattori, fotografi, giornalisti ammassati nel tempo di attesa, tutti stretti stretti e ammucchiati? Dei concerti visti, dei festival, delle interviste. Una scatoletta di carne e pelle sintetica con tante voci miscelate, tanti nomi di live ammassati che passano sulla folla, fantasmi di racconti che si sono buttati dal palco sul pubblico e i loro nomi passano da mano a mano, da testa a testa. Credo che stanotte farò strani sogni con personaggi del Rock. Come un obiettivo, di quelli costosi, quindi meglio non litigare, ho rispetto dell’attrezzatura altrui. Siamo tutti maturi. Qui.

Non ci sono gruppi spalla; in compenso c’è il ragazzo, sulla sinistra del palco, dove siamo noi, che distrae la nostra attenzione nell’attesa, mentre accorda cinque chitarre elettriche nella sua buca da “gobbo del teatro”; sale sul palco, prova gli ampli, scende, sale, riaccorda, e noi lo osserviamo come si fa con un fabbro. Il tipo è tranquillo, non gli dà noia essere osservato, mantiene una certa tranquillità mentre fa il secondo giro di accordature.

Lo guardo e mi chiedo come sia la vita da roadie, com’è mollare tutto e viaggiare e ogni sera accordare chitarre o trovare chissà cosa richiesto dalle rockstar. Sento commenti di qualche tipa dietro di noi, su di lui. Oh, ma io sto fotografando la Fender che ha in mano, è quella che sto fotografando. Il tipo gira le chiavette del manico della chitarra.

Si fanno le 22:00. Parte una base. Ci siamo. Il ragazzo da dentro la sua buca da gobbo tende due chitarre elettriche alle rockstar entranti. Gli IST IST hanno un oufit nero, chi con camice, chi con magliette, chi con magliette e blazer come il bassista. Il loro attaccapanni deve somigliare a un allevamento di pipistrelli. La tensione si fa forte, molto forte.

La band attacca con basso e batteria per “Stamp you out” dall’album “Protagonists” del 2023. Il brano dal vivo ha un che di stoner. Intervengono anche synth e tamburelli.

Noto subito una cosa che si estenderà a tutto il live: le chitarre sono molto molto livellate; non c’è nessun picco, niente che graffi le orecchie e l’attenzione, nessuna frequenza evasa, nessun Icaro volontario. Ti aspetti un’esplosione, di tornare assordito a casa con tutta quella gran strumentazione ma questo non accade mai; è tutto molto lineare a livello di alti, medi e bassi. Un controllo magistrale, direi, forse anche troppo perché il calcio non arriva e un po’ te lo aspetti dal primo brano; non sei pronto a tutta questa razionalità sonora sul palco.
Il bassista, Adam Keating, è il più socievole, cerca contatto con il pubblico. Il cantante, Adam Houghton, è molto ombroso, concentrato sulla musica e la performance. Il suo cantato è abbastanza mono-tono come stile: voce dal timbro basso, lineare.

Segue “Something else” dall’ultimo album “Light a Bigger Fire”: il brano ci espone ai suoni dilatati della band di Manchester e a degli arrangiamenti orecchiabili, altra caratteristica che non lascerà mai il palco stasera. La chitarra ha quel suo riff che si spalma come una tastiera, penso mentre lo ascolto. E alla fine, lo stesso riff viene riproposto proprio sulle tastiere. Non a caso lui, il chitarrista Mat Peters, si alterna spesso anche nella dimensione live in uno stesso brano tra chitarra e synth. Per il resto, accompagna il cantato con una delle sue sei corde con un eco lontano, direi paesaggistico.

Segue “Lost my shadow”, sempre dall’ultimo album: continuano i paesaggi dipinti dalla chitarra nel brano precedente, il tutto è molto poggiato sulla batteria. Questo terzo pezzo si innalza, si eleva, penso che sarebbe molto amato dagli appassionati dei Future Islands e degli Editors. Vedo il tecnico mostrare un cartello al chitarrista durante il brano; ridono entrambi. Cose loro.

Facciamo un passo indietro con “Black”, dal loro primo lp del 2020 “Architecture”; c’è un graduale crescendo basato su synth e basso. Dal primo all’ultimo: si torna al 2024 con la romantica “I can’t wait for you”: anche qui i suoni restano dilatati. Il batterista esordisce come backing vocal. Abbiamo una “Rivolta” on stage: una chitarra elettrica 12 corde. Il sound è quello di un acchiappa stadi. “Repercussions”, restando sullo stesso disco, sembra il brano spacca scaletta: quello che crea il primo e il dopo. Genera subito una certa attenzione, è misterioso, crea attesa.

La chicca per i fan arriva con “Makes no difference”, un inedito. Non c’è neppure sulla deluxe edition dell’ultimo album pubblicato solo su Bandcamp. Devo dire che è notevole che una band appoggi con un’edizione speciale un sito di distribuzione indipendente come Bandcamp. Com’è dunque l’inedito? Incalzante, basato su tastiere e drum machine dai kick opachi con i medi e alti tagliati; un po’ inizio 2000, inizialmente. Il successivo “The kiss” viene sostenuto dal pubblico con le mani. Noto che spesso i loro brani hanno degli arrangiamenti abbastanza scarni all’inizio e piano piano vengono conditi da aperture sonore che si aggiungono, velo su velo.

Gli ultimi due dischi si intrecciano bene; la successiva “Something has to give” (da “Protagonist”, 2023) scivola tranquillamente dandoci un momento molto carico. Continuo a guardare il ragazzo, il tecnico, nella buca: ha una scaletta con note tecniche molto dettagliate: a fine brano il chitarrista tiene il cavo con la bocca, pronto ad attaccare la prossima chitarra. Devo cambiargli le gomme? Sudo freddo per loro, c’è un gran lavoro di squadra sopra e sotto il palco, sembra il box della Formula 1.

E si riparte, con generosi ripescaggi dal passato come “Jennifer’s lips”, un regalo dal 2019, “Extreme greed” (primo estratto in scaletta dal secondo album “Art of lying” del 2021, il disco composto durante la pandemia), “Nothing more nothing less” e “Emily” (“Protagonists”) miscelate per esempio con le nuove “XXX”,travolgente, e “What I Know”, il tutto miscelato con gli altri brani del nuovo disco. Il pubblico direi che è restato abbastanza deliziato del live della band di Manchester.
Ci si aspetta, come già scritto, qualcosa di più graffiante come sound ma la loro scelta è stata quella di livellare meticolosamente tutte le equalizzazioni anche nella dimensione live, forse a discapito di una maggiore dinamicità e ruvidità sonora che avrebbe fatto bene all’intero arco della set list. Queste cose però accadono a volte man mano che subentrano nuovi produttori che portano le band in nuovi territori sonori rispetto al proprio repertorio. Sarei molto curioso di sentire gli Ist Ist fuori dalla confort zone. Un’attesa che riserviamo al futuro.
Articolo di Mirko Di Francescantonio, foto di Giovanna Dell’Acqua
Set list IST IST live 9 aprile 2025 Bologna
- Stamp you out
- Something else
- Lost my shadow
- Silence
- Black
- I can’t wait for you
- Repercussions
- Makes no difference
- The kiss
- Something has to give
- Jennifer’s lips
- Extreme greed
- What I Know
- XXX
- Nothing more nothing less
- Dreams aren’t enough
- Emily
- Hope to love again
- You’re mine
- Slowly