21/06/2025

Vasco Rossi, Messina

21/06/2025

Imagine Dragons, Napoli

21/06/2025

Brutalismus 3000, Milano

21/06/2025

Glass Beams, Bologna

21/06/2025

Zucchero “Sugar” Fornaciari, Bari

21/06/2025

Lucio Corsi, Roma

21/06/2025

Joan Thiele, Oira (VB)

21/06/2025

Nanowar Of Steel, Milano

21/06/2025

Rifle, Piacenza

21/06/2025

Lucio Corsi, Roma

21/06/2025

Calibro 35, Lido di Camaiore (LU)

21/06/2025

I Patagarri, Bologna

Agenda

scopri tutti

Make Them Suffer live Milano

In apertura If Not For Me, Conjurer e Resolve

Diario di trincea del 3 maggio. Volevamo stupirvi con effetti speciali pazzeschi e musica di quella che rade al suolo qualunque cosa incontri nel suo raggio d’azione: a questo ci pensa casa Hellfire, che al Legend Club di Milano cala l’ennesimo, caustico poker d’assi, quattro band pronte a mettere a dura prova i vostri timpani, e le mie vertebre. Al mio arrivo, col consueto anticipo, trovo già alcuni fan in coda davanti alle porte, arrivati da più lontano, pronti a scatenare il delirio in prima fila; continuano ad arrivare alla spicciolata, ma costantemente, e al momento dell’apertura il pubblico sarà già decisamente polposo e rumoroso. D’obbligo è la corsa al posto in transenna, che per tutta la serata dovrò mantenere coi denti, sperando di non perderli sotto le spinte del mare di fan scatenatissimi in vari pogo e wall of death alle mie spalle. Il palco, allestito di tutto punto, ci ammicca, promettendo una serata coi controfiocchi.

If Not For Me

I primi a partire, a testa bassa e con tutta l’intenzione di lasciarci un’impronta nel cuore e nei timpani, sono gli If Not For Me, giovane formazione metalcore proveniente dalla Pennsylvania, in scena dal 2018, che fin dalle prime note ha infiammato il pubblico e fatto tremare i muri del Legend Club. Nonostante la data fosse inserita in un tour piuttosto fitto, la band non ha mostrato alcun segno di stanchezza durante il loro debutto sul suolo italiano, anzi, ha riversato sul palco tutta la propria grinta, confermando la loro reputazione di un gruppo letteralmente esplosivo.

If Not For Me

Capitanati dal frizzante vocalist Patrick Glover, questi ragazzi ci offrono un’esperienza unica della scena musicale della Pennsylvania centrale, creando un sound distintivo che bilancia pesantezza e melodia, grinta e orecchiabilità. Fin dal loro debutto, gli If Not For Me si sono costruiti una devota fanbase, e hanno totalizzato quasi 22 milioni di streaming fino a oggi. Il loro singolo di punta, “Feel Me Now”, si è guadagnato quasi 10 milioni di streaming, a dimostrazione della loro crescente influenza nel genere. Traendo ispirazione da band come Killswitch Engage e Bring Me The Horizon, fondono le loro influenze con un tocco di Rock melodico e Pop, creando un suono potente, ma accessibile, con brani che restano impressi anche dopo molto tempo dalla fine del concerto.

If Not For Me

Il 2024 è stato il loro anno di svolta; dopo l’uscita del loro ultimo album, “Everything You Wanted”, il 29 marzo 2024 per Thriller Records, questi ragazzi hanno portato la loro musica a un livello superiore, e in tour con gruppi del calibro di Electric Callboy, Hollow Front, Set It Off e altri ancora, hanno continuato a lasciare il segno su un nuovo pubblico a ogni tappa, e fanno lo stesso stasera a Milano, con tanta semplicità. La band chiuderà l’anno in bellezza con un’emozionante esibizione al Christmas Burns Red il 14 dicembre, insieme, per citarne alcuni, a The Ghost Inside  e Gideon.

If Not For Me

Molto coinvolgenti, comunicativi e interattivi con i presenti, in un genere costruito su passione ed emozioni senza filtri, si sono affermati come una delle band più amate nel mondo del Metalcore. Gli If Not For Me si uniscono sotto una visione condivisa: creare musica che tocchi le corde giuste, rimanga impressa e superi ogni limite. Palese è l’intento di essere arrivati fin qui per fare scalpore: e pensare che hanno appena iniziato. La loro scaletta, nella quale troviamo brani della loro discografia e del loro ultimo lavoro, è una raccolta in cui molti si identificheranno, attraverso la loro prospettiva personale; il gruppo ha creato spazi immensi all’interno di questi brani, dando loro vita e riuscendo a trasportare i vecchi e nuovi fan in mondi diversi, tutti loro.

If Not For Me

Glover al microfono ha dimostrato una notevole presenza scenica e capacità tecniche, interagendo costantemente col pubblico e incitandoli a liberare la propria energia: come se ci fosse bisogno di chiederglielo. La sua voce, capace di passare da growl gutturali a clean melodici con disinvoltura, è stata una degli elementi portanti della performance, che si conclude con il consueto appuntamento in area merch.

Conjurer

I ragazzi smontano rapidamente la loro attrezzatura per far posto al secondo gruppo, i britannici Conjurer, formazione sludge metal / post – metal attiva dal 2014; cupi, incazzati, la loro performance è caratterizzata da un’interazione col pubblico ridotta ai minimi termini e una scaletta che si beve tutta d’un fiato. Non passa molto tempo prima che questo caustico gruppo salga sul palco, immerso per lo più nell’ombra e nell’oscurità; i Conjurer dal vivo sono un’esperienza brutale, una vera e propria forza demolitrice che ha intenzione di fare tabula rasa tutto intorno.

Conjurer

Brady Deeprose, uno dei due cantanti e vocalist, è una figura intimidatoria e aggressiva, benché col pubblico non parli o interagisca quasi mai: questo non fa che aumentare il mistero e la natura sbalorditiva del loro lavoro. Conor Marshall vortica e rotea la sua lunga chioma per tutta la durata del concerto mentre distrugge il suo basso azzurro: non soffrirà mai di cervicale, questo è poco ma sicuro. Quando passa a bordo palco, i suoi capelli frustano persino la mia lente. I Conjurer sono una di quelle band quasi impossibili da definire: ciò che offrono è una gamma di elementi così meticolosamente e splendidamente realizzati che rasenta quasi il poetico, parlando ovviamente del loro genere.

Conjurer

A volte estremi, a volte solenni e vulnerabili, si potrebbero benissimo considerare come un genere a sé stante: durante i minuti a loro concessi, si resta per lo più a bocca aperta, tutti con la muta domanda Ma cosa diavolo ho appena visto? Dipinta in volto. Questo gruppo riesce a essere cupo, ma allo stesso tempo rinvigorente; pesanti, ma in qualche modo “sfumati”: questo è reso possibile dalle doppie voci di Dan Nightingale e Brady Deeprose. La sala del Legend sembra quasi faccia fatica a gestire la pura ferocia dei due cantanti che occupano i due lati del palco, mentre il bassista al centro fornisce un’energia intensa tutta sua, col suo inconfondibile headbanging e la sua conduzione di una sala straripante e con gli istinti allo scoperto, come spesso succede al popolo del Legend.

Conjurer

Durante l’epico breakdown finale del brano “Hadal”, Marshall imbraccia il suo basso e si dirige a passo spedito verso la transenna e verso di me: salta agilmente tra la folla in delirio, portandosi dietro anche la mia spalla, per andare a suonare alcuni passaggi in mezzo alla sala mentre i fan lo aizzano e lo applaudono, e per guidarli in un ultimo mosh. Che band! Che performance! Perdeteli a vostro rischio e pericolo.

Conjurer

La quantità di tecnicismo e abilità dimostrata dai Conjurer è sbalorditiva: non c’è stato nulla, in termini di imperfezioni, e ogni singola nota, ogni singolo beat, è stato eseguito con un tale livello di finezza e vigore che ti ritrovi a tifare per loro, perchè suonino in qualche grande evento, magari da headliner.
In mezzo a riff colossali si celano sottigliezze e complessità: potrebbe sembrare strano, ma la loro monumentale e imponente facciata nasconde una bellezza assoluta. Si dimostrano maestri nel distorcere le aspettative a ogni passo; vista la brillantezza dell’esecuzione e la reazione che suscita, non passerà molto tempo prima che i Conjurer diventino gli headliner, anziché gli opener, in sale di queste dimensioni.


Il cambio set è, adesso, un po’ più lungo e meticoloso; si sposta quanto non serve e a bordo palco viene montata una passerella, rendendo così gli artisti successivi più alti e più ostici da fotografare. L’aria in sala è ormai rovente, il pavimento del palco luccica di condensa, si iniziano a vedere fan seminudi e chiunque invoca un ventilatore, che non si vedrà mai. Rimarremo in quello che io chiamo una brodaglia di fan.
Il terzo gruppo, in quanto a notorietà, se la gioca con gli headliner, basterebbe dire che alcuni fan sono venuti proprio e solo per loro.

Resolve

Sto parlando dei Resolve, grandioso gruppo metalcore d’Oltralpe, ovvero da Lione, nato nel 2017. Mentre fanno il loro ingresso, tra le ovazioni e i primi veri spintoni che fanno scricchiolare le mie costole sulla transenna, si nota immediatamente il loro entusiasmo contagioso e una agguerrita presenza scenica. Sotto i riflettori, con i fan che li acclamano e tendono le mani, portano l’atmosfera a un livello superiore con la loro performance professionale dall’inizio alla fine.

Resolve

I Resolve catturano l’attenzione senza sforzo alcuno, con la voce del cantante Anthony Diliberto che brilla in modo strepitoso, aizzando gli astanti con un Move that shit ! Dopo l’altro: cammina sulla passerella con fare dominante mentre chiede How many of you already heard about us? For the first timers: welcome aboard! L’allestimento scenico, completato da un’illuminazione impressionante, aggiunge un ulteriore livello di grandiosità alla loro esibizione.

Resolve

Il loro genere di Metalcore melodico, intriso di Hardcore, ha raggiunto un nuovo livello dopo l’uscita del loro ultimo album “Human” del 2023. I fan di Don Broco si troveranno a loro agio tra le sezioni melodiche dei Resolve, ma le parti dinamiche e intense catturano l’attenzione dei fan dei While She Sleeps, fondendo alla perfezione ritmi tech – hardcore con segmenti atmosferici più lenti. Durante il loro live, i Resolve danno prova della loro versatilità e abilità compositiva con una set list che riceve un’accoglienza entusiasta; la loro capacità di fondere melodia e passione è esemplificata in ogni nota, dimostrando intensità e bellezza nella loro musica.

Resolve

Sia che si tratti di battute potenti, o delicati momenti di introspezione, questi artisti dominano il palco e la passerella con energia e professionalità incrollabili, con ogni membro che mette in scena il proprio spettacolo, saltellando con innegabile carisma, lasciando una innegabile impressione duratura specialmente tra coloro che li vedono live per la prima volta, me inclusa. I Resolve sono un’unità affiatata che sgomma e si muove impeccabilmente in quella che è una dimostrazione di Metalcore puro, con frequenti cambi di tempo e sbalzi atmosferici che fanno ballare e ondeggiare l’intera sala tra i riff devastanti.

Resolve

In apertura, con la title track del tour e dell’ultimo album, “Human”, si lanciano a capofitto nei loro riff metal moderni e bassi potenti, con la voce ampia e articolata di Diliberto, che si lancia tra growl bassi e clean quasi virtuosistici, con una chiara sensibilità pop nelle sue melodie. Si concede spesso momenti per interagire e parlare ai suoi fan adoranti, mostrando un sincero livello di gratitudine per ogni anima in sala, quasi commosso dalla risposta alla loro musica. Uno dei brani preferiti dai fan, “Death Awaits”, non fa che accrescere ulteriormente la loro connessione, con braccia costantemente alzate, torce dei cellulari accese e corse sfrenate in un circle pit sudatissimo.

Sudore, una costante tra tutti noi, sudore che gocciola a terra, sulle lenti, sugli strumenti degli artisti, e c’è un bel da fare ad asciugarli con asciugamani forniti apposta. Farebbe invidia a qualsiasi gruppo la dimostrazione di vero amore del pubblico per il quartetto francese, dimostrato con pogo selvaggio, vari crowdsurfer che mi fanno pregare  Speriamo di uscire vivi di qui  a ogni suola che mi sfiora la faccia, un muro della morte che ha fatto tremare il locale, e fervidi cori.


Diliberto torna poi con le aggressive note rap del brano di chiusura “Older Days”; dopo il breakdown martellante e i ritornelli finali incalzanti con un mare ondeggiante di braccia al cielo, i Resolve si sono dimostrati di essere a livello da headliner. Difficilmente qualcuno può andarci vicino, per quanto riguarda il Metalcore moderno raffinato. Sudati e felici, stringono mani e promettono che torneranno tutte le volte necessarie per esaurire i biglietti, e grazie alla loro professionalità, siamo certi che non ci vorranno chissà quanti tentativi.

Make Them Suffer

L’avvicinarsi del momento degli headliner rende tutti se possibile ancora più di giri; la preparazione del palco si dilunga suscitando qualche mormorio, si osservano i roadie preparare e accordare strumenti e chitarre, fino al momento in cui cala il buio e il grido del popolo del Legend si potrebbe sentire fino in Duomo. Signore e signori, ecco a voi i sovrani della serata, i Make Them Suffer, gruppo metalcore originario di Perth, Australia, attivo dal 2008 con 5 album in studio, 2 ep, e innumerevoli singoli nel curriculum. L’album di debutto, “Neverbloom”, rilasciato il 25 maggio 2012, mostra in pieno il precedente stampo della band, fatto di Metalcore, Blackened Death Metal e Symphonic Metal. La transizione verso un Progressive Metalcore la si nota a partire dall’album successivo, “Old Souls”, uscito il 28 maggio 2015 sempre via Roadrunner.

Make Them Suffer

Quando i Make Them Suffer prendono possesso dello stage, osannati e incensati, era chiaro che sapevano esattamente cosa fare: offrire un’esibizione indimenticabile. L’ interazione tra voci maschili e femminili è stata a dir poco sbalorditiva, con ritornelli maestosi e breakdown devastanti; ogni membro della band ha dominato il palco, sfruttando appieno tutto lo spazio disponibile per entrare in contatto col pubblico. L’esplosiva band australiana apre la scaletta con “Epitaph”, dal loro album omonimo uscito il 8 novembre 2024, un brano veloce e potente che ha dato il tono alla loro attesissima performance. Adoro che questo brano dia l’opportunità alla tastierista e vocalist Alex Reade di mostrare le sue straordinarie doti vocali e clean durante il ritornello, mentre le doti di tastierista spiccano in “Uncharted”.

Make Them Suffer

Sono sicuramente la band più massiccia e impenitentemente brutale in programma stasera, e l’intensità aumenta senza mai scemare per tutta la durata del concerto: persino i roadie, sempre presenti e attivi sul palco, si mettono le mani nei capelli, come se fosse la prima volta che assistono a tanta potenza devastante. Musicalmente, hanno subito notevoli cambiamenti nei loro 17 anni di attività; il loro album omonimo li vede spostarsi verso un sound più elettronico che introduce influenze EDM nella loro variopinta tavolozza. Alex Reade viene introdotta alle tastiere e ai sequencer proprio per favorire questa transizione.

Make Them Suffer

La potenza è ormai elevata all’ennesima potenza, rimango costantemente premuta contro il ferro della transenna mentre alle mie spalle si scatena un’apocalisse di pogo e wall of death. Mai nome fu più adatto per una band in una serata del genere! Se sopravvivo accendo un cero in Duomo,  spero vivamente, mentre osservo tra il divertito e lo spaventato il putiferio dietro di me.

Make Them Suffer

Tutti sudano copiosamente, le lenti delle macchine fotografiche sono costantemente appannate, il pavimento inondato, e i roadie hanno il loro bel da fare ad asciugare a terra, così come gli artisti strofinano spesso i loro strumenti, resi lucidi e scivolosi dal loro stesso sudore. Indomabili, danno il massimo con brani come “Oscillator” e “Bones”, tratto dal loro album del 2020 “How To Survive A Funeral”, con il pubblico che reagisce e si infiamma all’unisono con le loro scariche di adrenalina pura. Memorabile il momento durante “Soul Decay”, quando il vocalist Sean Harmanis annuncia il primo wall of death ufficiale.

Make Them Suffer

I fan reagiscono con ferocia, creando uno dei più scatenati e letali wall che si siano mai visti nella sala del Legend. Mentre il set si avvicina al culmine, i Make Them Suffer riaccendono l’energia del pubblico con “Hollowed Heart” prima di chiudere con “Doomswitch”, un brano che la stessa band ha definito simbolo della propria resilienza, perfetta rappresentazione del loro percorso, mentre Harmanis si china dall’alto della passerella su di me, gocciolando sudore sulla lente.

Make Them Suffer

Proprio quando sembrava che la serata fosse finita, la band presenta a sorpresa il brano “Widower”, dal loro album di debutto “Neverbloom”. Il nostalgico ritorno al loro sound precedente è stato assolutamente perfetto per concludere la serata. Fuck, you can keep time, ci apostrofa Harmanis mentre tutte le braccia al vento ondeggiano all’unisono comese fossero a tempo di metronomo: There’s only one reason why, after everything, we still exist: it’s all because of you. La band si prende la prima pausa della serata e si concede il tempo di guardare il suo pubblico, le emozioni sono percepite a fior di pelle e condivise. Per qualcuno potrà anche essere un’esibizione tra tante, per tutti un’altra da aggiungere al libro di storie della vita straordinaria e in continua evoluzione dei Make Them Suffer. Senza bisogno di tante parole, lo sapevamo fin dall’inizio: Always together, we will Suffer Forever.

Articolo e foto di Simona Isonni

Make Them Suffer


Set list Make Them Suffer Milano 3 maggio 2025

  1. Epithaph
  2. Bones
  3. Uncharted
  4. Ether
  5. Mana God
  6. Ghost Of Me
  7. Oscillator
  8. Weaponized
  9. Hollowed Heart
  10. Soul Decay
  11. Erase Me
  12. Doomswitch
  13. Widower

© Riproduzione vietata

Iscriviti alla newsletter

Condividi il post!