
Ottimo battesimo per il festival “Sottobosco” che si è tenuto a Marmirolo (MN), alle porte della città dei nobili Gonzaga, sabato 17 maggio. Un evento nato da un’idea dell’Arci Birillistica di Marmirolo, prodotto da Strongville, e che ha visto unite molte associazioni del mantovano, per dare vita a questo concerto di quattro esperienze musicali diverse, ma affini per tipologie di sonorità.


Ad aprire il lungo pomeriggio sono stati gli Analitica, seguiti dal trio Casta, musicisti di ambito mantovano ed emiliano, tra le più interessanti produzioni locali. In particolare, Casta è la nuova esperienza musicale di Alessandro Castagnoli, che, dopo aver fatto parte dei Two Hicks One Cityman, si è messo in gioco con il batterista Giorgio Caiazzo e il bassista Giovanni Scarduelli in questo nuovo progetto musicale.


Il set di sabato ha pescato dalle tracce di “Noise in the Hood” e dai singoli usciti negli ultimi anni (tra cui “Burning Eyes”), brani con sonorità che spaziano dall’Hip Hop al R’N’B, con suoni di synth e chitarre alla Tom Misch, fino ad atmosfere astratte e malinconiche in stile Porches. Un bel set, che ha fatto percepire a tutti l’ottimo potenziale di questa band.

A seguire, Ride The Noise, progetto solista del reggiano Dan Cavalca, batterista e produttore. Il set è stato costruito principalmente sul suo nuovo lavoro, “Waves on The Mind”, cinque tracce intime che hanno dato vita a un viaggio introspettivo, riuscendo a creare la giusta atmosfera per introdurre Max Casacci.

Il pubblico, attento anche se non numeroso, ha dato il giusto contributo a un’esibizione che si è inserita perfettamente nel mood di questo festival, interamente realizzato sotto le piante dello spazio aperto dell’Arci Birillistica. Ride The Noise merita davvero di essere ascoltato e di essere visto dal vivo, per il tipo di performance che regala al pubblico.

A chiudere la serata è stato Max Casacci, produttore e fondatore, oltre che musicista, dei Subsonica. Prima del concerto, Casacci ha dialogato con i fan, e con gli altri musicisti, in uno spazio all’aperto, dove era possibile mangiare in compagnia e gustare le polpette della Birillistica, specialità del luogo e della casa.

Anche noi abbiamo avuto modo di parlare con Casacci, a conferma che queste dimensioni permettono ai musicisti di essere più liberi da ruoli e schemi che altre situazioni non rendono più possibili: Mi sto divertendo molto con questo progetto dei suoni della terra. Sono partito con alcune suggestioni avute da Stefano Mancuso, ai tempi del progetto con i Deproducers. Poi i miei tempi di lavoro sono diversi, e ho voluto procedere da solo, su una strada nuova. Sto facendo esperienze bellissime, ne sono felice. In Africa, a Dakar, ho fatto ballare una bella platea di persone, e tutto con la musica che ho creato partendo dai suoni che catturo in varie situazioni, ci confessa in una bella e lunga conversazione, mentre mi firma alcuni suoi lavori da solista.

Il clima è rilassato, e Casacci sale sul palco alle 22.30, come da programma. A quel punto, la location è davvero splendida: un bosco leggermente illuminato, pronto ad accogliere i suoni delle radici. Il primo brano che apre la serata nasce appunto da un suono catturato, in profondità, nel terreno da Stefano Mancuso, neurobiologo che studia l’intelligenza delle piante. Casacci si prende qualche minuto per spiegare il suo progetto nel suo insieme, arrivato oggi a tre album (dell’ultimo, dedicato al mondo delle cantine, potete leggere la nostra recensione) e a vari esperimenti. In sintesi estrema, con un campionatore Casacci lavora i suoni catturati dalla natura, dalle città, da contesti metropolitani o agricoli, e li compone ed elabora. Una sperimentazione che è nel DNA di Casacci, da sempre, fin dai tempi dei primi lavori dei Subsonica, anche se qui, ovviamente, il risultato è stato, ed è, di natura diversa.

Il viaggio sonoro – perché di questo si è trattato – ha visto Casacci partire dalla rielaborazione dei suoni delle radici – le piante dialogano, sottoterra, e noi ci camminiamo sopra – per arrivare ai vulcani, ai cieli e poi alle dimensioni metropolitane. Il filo rosso che lega questa performance è una visione etica della natura. Meglio ancora, questo dovrebbe essere il modo normale di vivere con la natura, in una società che si proclama evoluta. Invece, sappiamo bene che evoluzione non vuol dire prendere consapevolezza, ma semmai perderla del tutto. Casacci torna più volte su questi concetti, forte di un lavoro fatto, nella prima parte della sua esibizione, con i suoni delle radici, dell’aria, delle api e del lupo, della montagna e del vulcano. Brani che sono all’origine del suo progetto, cioè “Earthphonia – Le voci della terra”, CD e libro di Casacci e Mario Tozzi.

I pezzi che colpiscono di più sono l’elaborazione del suono delle radici, un piccolo suono stridente che, elaborato, diventa un brano a tratti psichedelico; la composizione dedicata ai suoni dello Stromboli, con tanto di canto in siciliano al vulcano, potenza viva della terra; e, infine, la composizione nata dai suoni della montagna e dagli ululati del lupo. Un brano davvero speciale, che, come ha spiegato Casacci, è poco rielaborata perché si tratta di suoni già pronti.

La seconda parte è dedicata alla città, agli spazi urbani e alle loro sonorità. Qui Casacci pesca da lavori come “Urban Groovescapes” e “The City”, e così dagli ambienti naturali si passa a quelli artificiali, sempre con la consapevolezza che un modo diverso di vivere si potrebbe realizzare anche nelle nostre città. La musica aiuta a pensare a queste dimensioni, ascoltando bene e con attenzione i suoni della nostra quotidianità: da quelli delle stazioni ai quartieri difficili delle città del Sud Italia, passando per i cocktail bar, le biciclette, i tram e i trasporti pubblici. Questa parte è meno riflessiva, meno carnale e meno desiderosa di attenzione. Casacci invita a ballare e, anche se non succede come a Dakar, c’è una parte di pubblico che, sotto le piante, si lascia catturare da sonorità che un po’ rimandano agli ultimi Subsonica, ma che in tutto e per tutto sono comunque spazi musicali fatti e pensati per l’essere umano metropolitano. Un blocco musicale che movimenta, ma che con coerenza fa capire come l’ascolto della natura sia necessario anche per (saper) vivere in questi contesti.

Nel terzo blocco si arriva all’ultimo lavoro, “Through the grapevine, in Franciacorta”, con la prima esecuzione live di “Trattore”, come annunciato già sui social nel pomeriggio, per poi passare all’esperimento sonoro di cattura e rielaborazione dei suoni delle Finals di tennis di Torino. Fra questi suoni c’è anche Sinner, anche se lui non lo sa, ricorda con una battuta Casacci. Il pubblico comincia a scemare, non perché la serata annoi, ma perché è chiaro che una proposta alta, di musica d’ascolto, anche se più volte viene fatto l’invito a ballare, è comunque impegnativa in contesti di (piccola) provincia. In realtà, sarei rimasto in quella condizione di grazia ancora per parecchio tempo: un leggero vento, un bosco e musica capace di far pensare, senza bisogno di inseguire pensieri.

Quanti suoni ci sono attorno a noi, è la sintesi di questo percorso, e del viaggio di un’ora e mezza, con il quale Casacci saluta il pubblico mantovano, quello che aveva tenuto a battesimo l’ultimo tour dei suoi Subsonica al Palabam (la nostra recensione). Mi vengono in mente le parole di Umberto Eco e Alessandro Baricco, e cioè — faccio sintesi — che le storie sono tutte attorno a noi, basta saperle catturare. Poi penso ai 4’33’’ di Cage, e sono convinto che Casacci abbia fatto sua quella lezione. Fatto il silenzio, creata la pagina bianca, cioè liberata da cliché e dal già detto e sentito, ha fatto quello che ogni artista dovrebbe fare: si è messo in ascolto. Da questo gesto, quanto mai rivoluzionario oggi, Casacci ha intrapreso un viaggio che prevede tappe diverse, e quella di Marmirolo è stata una di queste.
Articolo di Luca Cremonesi, foto di Roberto Fontana
