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Premio Tenco 2025 day #2

Sul palco Anna Castiglia, Moni Ovadia, La Niña, Omar Pedrini e Massimo Priviero, Simone Cristicchi, Ricky Gianco, Baustelle

L’Ariston è un luogo che si porta dietro una storia troppo grande per non sentirla addosso. È lì, infilata nelle quinte, tra le poltrone rosse, nelle luci che sembrano sempre uguali da cinquant’anni. Difficile varcarne la soglia senza evocare “Sanremo”, quello televisivo, quello dei fiori, delle polemiche, delle standing ovation a comando. Ma quando c’è il Premio Tenco, tutto cambia. Il passo si fa più lento, i suoni più bassi, la soglia d’attenzione più alta. Non ci sono gare, né riflettori da contendersi bensì spazio per ascoltare, per respirare, persino per sbagliare.

Il clima è sereno, mobile, ci si muove con una libertà rara, tra prove e camerini. Si incontrano sguardi amici, qualche nervo teso, com’è giusto che sia prima di una serata importante, ma sempre attraversati da un’umanità semplice e vera. Nessuno si agita per una scaletta che slitta di qualche minuto. Qui si lavora, si canta, si racconta e si ascolta. Il titolo di questa edizione è “Con la Memoria”. Una traccia più che un tema. La memoria non come polveroso esercizio di stile, ma come corpo vivo: collettivo, personale e stratificato. È vero che la musica, come scriveva Proust della sua madeleine, può far scattare in un attimo meccanismi che credevamo sepolti, e anche se non è questo il cuore della rassegna, mi piace pensare che ogni voce sentita stasera abbia fatto qualcosa di simile: riportato a galla pezzi di tempo, sparsi ma ancora nostri.

A presentare la serata di venerdì 24 ottobre ci sono Silvia Boschero e Antonio Silva. La prima con passo sicuro e voce chiara, il secondo, figura storica del Tenco, con quella presenza lieve e inconfondibile che ha qualcosa di familiare, e che a ben guardare forse rappresenta il festival stesso. Non tanto per anzianità, quanto per stile: misurato, ironico, mai fuori posto.

Anna Castiglia
Anna Castiglia

La prima ad aprire il palco per la seconda serata il 24 ottobre (la prima per noi di Rock Nation) è Anna Castiglia, che riceve la Targa Tenco per l’opera prima con “Mi Piace”. Anna Castiglia è giovane, sì, ma sarebbe un errore fermarsi a quello. Ha una presenza scenica che non si appoggia sull’ironia o sul mestiere, ma su qualcosa di più solido: una consapevolezza già lucida e senza smancerie.

Anna Castiglia
Anna Castiglia

Canta con voce piena, con chiarezza. Si muove bene, con naturalezza, ma non per occupare spazio bensì per costruirlo e quando parte in un passo di tip tap, nessuno pensa a un vezzo: è parte di un’idea artistica coerente, leggera e precisa. Il pubblico, adulto e attentissimo, non applaude per educazione: si lascia davvero prendere.

Moni Ovadia

Poi arriva Moni Ovadia, in trio con Giovanna Famulari e Michele Gazich. La memoria, in lui, è una responsabilità. Una cosa che si eredita, sì, ma che si sceglie anche. Parla con voce piena, ferma, e dice con chiarezza che essere lì, per lui, è un privilegio. Un gesto scelto, spinto anche dalla presenza dei due straordinari musicisti che lo accompagnano.

Moni Ovadia

Dedica tre brani al popolo palestinese e non lo fa aggirando l’argomento, ma guardandolo in faccia. Dice che ciò che stiamo vivendo è una delle atrocità più profonde del nostro tempo, e che non possiamo chiamarci fuori. Il suo è un momento denso, sobrio, dove la musica e le parole si tengono per mano, senza retorica ne gerarchie.

La Niña
La Niña

Dopo Ovadia, sale sul palco La Niña, premiata per “Furèsta”, Targa Tenco per il miglior disco in dialetto. La formazione è minimale: solo lei, la sua chitarra e il mandolino di Alfredo Maddaluno. Eppure niente appare ridotto o provvisorio.

La Niña
La Niña

La Niña ha una voce che non spinge mai troppo ma che sa esattamente dove andare. Il dialetto napoletano non diventa estetica, ma radice. Lei racconta che il disco si accompagna a una parte visiva, piccole opere che ne completano il senso. Ma anche da sola, in duo, il concerto ha la forza completa di un lavoro cucito su misura.

Omar Pedrini e Massimo Priviero
Omar Pedrini e Massimo Priviero

Poi, un passaggio emozionante e sincero: Omar Pedrini e Massimo Priviero si uniscono portando sul palco una versione asciutta e sentita di “Helpless” di Neil Young. Non è una cover, né un intermezzo. È un omaggio alla linea sottile che unisce il Rock alla canzone d’autore.

Omar Pedrini
Massimo Priviero
Omar Pedrini
Massimo Priviero

Vedere Omar sul palco, dopo tanto, è toccante. Lui e Priviero si ascoltano e si cercano ma soprattutto si danno spazio. È un momento di fratellanza musicale, senza orpelli. I due si sarebbero poi esibiti in un set di un’ora, il giorno successivo alla Pigna, in un evento che merita un racconto a parte.

Simone Cristicchi
Simone Cristicchi

Simone Cristicchi arriva subito dopo. Porta quattro brani e ognuno è una lama. Inizia con “Magazzino 18”, che racconta l’esodo istriano con una voce che non narra ma diventa corpo e storia. Poi un brano che, da madre, mi ha colpita con violenza: un omaggio alle vittime di bullismo e cyberbullismo. Cristicchi legge i nomi. Tutti. Senza filtro. Senza retorica. Ragazzi e ragazze, troppo fragili per questo mondo e che non ce l’hanno fatta. Nomi veri, storie vere. Piango e non ho alcuna voglia di nasconderlo.

Simone Cristicchi
Simone Cristicchi

La sala è sospesa. Poi arrivano “Ti regalerò una rosa” e “Quando sarai piccola”. Nessuno canta, nessuno si muove. Il silenzio è pieno di cose che non si possono spiegare ma che Cristicchi incarna con voce e talento di straordinaria bellezza.

Poi, un passaggio quasi fulmineo ma necessario: Caroline Pagani riceve la Targa Tenco come miglior album a progetto per “Pagani per Pagani”, dedicato al fratello Herbert. Ricorda, con semplicità, che fu lui l’ultimo a intervistare Luigi Tenco per Radio Monte Carlo. Un frammento privato che si intreccia con la storia pubblica. Ed è proprio questo, in fondo, il senso della serata.

Ricky Gianco

Ricky Gianco è il primo dei due premi alla carriera a salire sul palco. L’età non pesa: arriva con una vitalità che non è nostalgia ma mestiere. Quando canta “Sei rimasta sola”, l’Ariston diventa un coro unico, come in una vecchia piazza di provincia. Non è un’operazione revival ma un momento vero, tenuto in piedi da un artista che ha vissuto tutto senza mai fermarsi davvero.

Baustelle
Baustelle

Chiudono i Baustelle, premiati anche loro con il Premio Tenco alla carriera. Il loro live inizia con un piccolo incidente tecnico: problemi all’audio in cuffia per Bianconi e Bastreghi su “Il Vangelo di Giovanni”. Si guardano, gesticolano ai tecnici ma senza mai fermarsi, con la naturalezza propria dei grandi artisti che sono.

Baustelle
Baustelle


Quello visto all’Ariston non è un set standard bensì un’esibizione preparata appositamente per il Premio Tenco. Una scaletta breve, ma costruita con cura: voci, chitarra, con la solita precisione pulita e fedele di Claudio Brasini e un quartetto d’archi che sostituisce del tutto la batteria. Una scelta che alleggerisce ma non smonta, anzi: mette in risalto le melodie e lascia più spazio alle parole e al respiro delle voci.

Baustelle
Baustelle

Ogni volta che i Baustelle suonano, qualcosa cambia. Mai due live uguali. Non è solo una questione di arrangiamenti: è un modo di stare sul palco che rifugge ogni automatismo e che restituisce, anche in pochi brani, una traiettoria lunga, coerente e in continuo movimento.

Baustelle
Baustelle

Il sodalizio tra i due è rodato, è vero, ma ogni volta sorprende per quanto le voci si incastrino con naturalezza. Non me ne voglia Bianconi, che resta un autore centrale per la musica italiana, ma è Bastreghi a brillare di più, stavolta. Voce piena, controllo assoluto, una presenza scenica magnetica senza bisogno di alzare i toni. Chiude lei la seconda serata, ed è giusto così.

Baustelle
Baustelle

La mia prima sera al Premio Tenco finisce qui. Non avevo ancora del tutto chiaro cosa stessi vivendo, ma ne sentivo il peso giusto. Un festival che ti ascolta mentre ascolti e che chiede solo una cosa: tempo. Per restare, per capire ma soprattutto per ricordare davvero.

Articolo di Silvia Ravenda, foto di Francesca Cecconi

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