C’è qualcosa di diverso nell’aria, la sera del 25 ottobre, quando il sipario del Teatro Ariston si apre sull’ultima delle tre serate del Premio Tenco 2025. Dopo due giorni intensi di parole, incontri e musica, sembra quasi che il teatro abbia imparato a parlare la lingua di chi lo ha vissuto. I mormorii in platea, i sorrisi di chi ritorna, l’emozione composta ma viva: tutto racconta una familiarità nuova. Non è più la solennità dell’inizio ma una complicità che cresce col tempo e chi è lì sa che sta assistendo a qualcosa che unisce il presente alla memoria. Sul palco, a condurre la serata, ci sono Andrea Scanzi e Antonio Silva. La loro alchimia funziona per contrasto. Silva, padrone di casa ormai storico, mantiene un tono cordiale e ironico; Scanzi, invece, porta con sé la libertà e l’imprevedibilità del teatro. Non legge, non segue un copione: improvvisa, come nei suoi spettacoli, trasformando ogni passaggio in un racconto. Il suo approccio mantiene la serata dinamica, viva, in equilibrio costante tra cultura e scena.

La serata si apre con l’assegnazione del Premio “Yorum”, riconoscimento istituito in collaborazione con Amnesty International Italia per dare voce agli artisti che nel mondo pagano un prezzo altissimo per la libertà d’espressione. A presentarlo è Steven Forti, membro del Direttivo del Club Tenco. Forti racconta la nascita del premio, il suo significato profondo e introduce il Grup Yorum, band storica della canzone di protesta turca, che da molto tempo è simbolo di resistenza.

In Turchia, sotto il regime di Erdogan, il loro nome è censurato, le canzoni bandite da radio, piattaforme e social network. Ventuno membri del collettivo sono attualmente detenuti con accuse di terrorismo. La loro musica, agli occhi del regime, è pericolosa: perché parla e denuncia. Al Premio Tenco eseguono, tra gli altri, un brano scritto in isolamento da prigionieri politici durante la detenzione, un canto nato nel silenzio e nella solitudine della cella, dedicato “a tutti i prigionieri politici del mondo”. Non è solo un’esibizione, ma un atto di resistenza. Il pubblico ascolta in un silenzio teso, partecipe, che restituisce il senso profondo di quel momento.
Il premio Yorum è dedicato alla memoria di Refaat Alareer, poeta e attivista palestinese, ucciso insieme alla sua famiglia in un bombardamento israeliano a Gaza nel dicembre 2023. Alareer aveva studiato John Donne, insegnato Shakespeare e fondato l’organizzazione We Are Not Numbers, nata per mettere in contatto giovani autori palestinesi con scrittori internazionali. Credeva nella narrazione come forma di resistenza. A ritirare il premio è Nabil Bey Salameh, co-fondatore dei Radiodervish, che legge la poesia più nota di Alareer, “If I Must Die”. La voce è ferma, intensa. La sala si alza in piedi. L’applauso è lungo e consapevole.



Subito dopo, Paolo Angeli ne traduce il senso in musica con “Nabka”, un brano in cui il suono sardo delle corde preparate si intreccia con il dolore universale. Un vertice emotivo della serata, in cui parola e musica trovano un punto di fusione. La sua è una chitarra auto-costruita, un pezzo quasi unico, perché ne ha preparata una anche per Pat Metheny.


A seguire, il palco si apre a un’altra forma di narrazione, più personale ma non meno intensa. Mimmo Locasciulli riceve il Premio SIAE per i suoi cinquant’anni d’iscrizione come autore. Gli viene consegnata una targa che riproduce la prima canzone depositata cinquant’anni fa: un gesto semplice e affettuoso che riconosce una carriera costruita con coerenza e curiosità.

Locasciulli ringrazia con sobrietà, con il garbo di chi ha fatto della discrezione un segno distintivo. Il suo modo di stare sul palco riflette perfettamente il suo modo di fare musica: asciutto, essenziale e profondo.

Poi è la volta di Tito Schipa Jr, vincitore del Premio Tenco come Operatore Culturale 2025. Autore di “Orfeo 9” e pioniere dell’Opera Rock in Italia, Schipa prende posto al pianoforte e propone una versione italiana di “Masters of War” di Bob Dylan. Prima di terminare interviene con parole già accennate in conferenza stampa: Sono una delle persone più censurate d’Italia. Grazie a chi continua a seguirmi nonostante tutto. Nessuna polemica, solo un’affermazione netta, detta con tono pacato. La sua esibizione è lucida, colta, radicata in una conoscenza profonda delle genealogie musicali e teatrali in un momento che unisce storia e visione.
Scanzi torna sul palco per un omaggio breve ma sentito a Ernesto Assante e Massimo Cotto, due voci centrali del giornalismo musicale italiano. Il saluto è essenziale, ma arriva dritto, attraversando la sala con forza.

La Scraps Orchestra è chiamata a un compito non semplice: riassumere cinquant’anni di resistenza musicale in pochi minuti. In conferenza stampa avevano scherzato: Due ore non basterebbero, figurarsi venti minuti. Eppure ci riescono. Con un set serrato che attraversa brani come “Bella Ciao” e “La Storia” di De Gregori, costruiscono un racconto musicale compatto, fluido e mai retorico. Non un tributo ma un atto di memoria attiva, dove il passato interroga il presente.


Poi arriva Tosca, Premio Tenco alla carriera. La sua presenza cambia l’atmosfera. Tosca è un’artista che attraversa culture e lingue, che tiene insieme eleganza e ricerca. Racconta di una telefonata ricevuta anni fa da César Mendes e Arnaldo Antunes: volevano affidarle un brano come omaggio a João Gilberto. Lei aveva esitato: La mia pronuncia brasiliana non è perfetta.


Ma loro cercavano proprio quella voce. Il brano entra nel suo repertorio e diventa simbolo di un’estetica costruita sul confine. Tosca lo racconta e lo canta, accompagnata da musicisti e musiciste straordinari, costruendo un set che si sviluppa come un racconto in movimento. La sua è una poetica che si muove tra le soglie, costruita con intelligenza musicale e una presenza scenica che mescola eleganza, ritmo ed energia. Il suo set è travolgente, curato nei dettagli e capace di tenere insieme intensità e leggerezza.


David Riondino e Sara Jane Ceccarelli alleggeriscono i toni, eseguono un solo brano e scherzano sui tempi stretti. Ma Riondino, prima di lasciare il palco, si prende poi qualche minuto per leggere “La riviera dei fantasmi”, testo grottesco e tagliente in cui immagina Gaza trasformata da Trump in un luogo di villeggiatura abitato dagli spettri delle guerre. È un momento di grande teatro civile, di ironia non salvifica ma illuminate. La leggerezza di Riondino non è evasione è il contrario: è precisione che ferisce.
Scanzi torna ancora sul palco per un ricordo di Paolo Benvegnù, vincitore della Targa Tenco 2024 per il miglior album, venuto a mancare pochi mesi dopo. Il saluto è misurato, affettuoso, fatto anche di silenzi commossi per un artista meraviglioso scomparso troppo presto.


A chiudere la serata è Daniele Silvestri, Premio Tenco alla carriera. Nonostante l’orario avanzato, nessuno lascia la sala. Silvestri entra con la leggerezza che lo contraddistingue. Alterna brani e riflessioni, da “Le cose che abbiamo in comune”, fino a “A bocca chiusa”, brano scelto da Paola Cortellesi per il finale di “C’è ancora domani”.


È una chiusura coerente: ironica, lucida, mai enfatica. Silvestri resta fedele al suo tono: mai retorico, sempre umano, capace di parlare di politica, amore e quotidiano con lo stesso sguardo lucido e ironico. Fa ridere, commuove, osserva il mondo da una prospettiva in diagonale. Silvestri non rincorre l’attualità, la racconta con quel disincanto sornione che appartiene alla grande scuola cantautorale romana.


L’ultimo gesto è affidato ad Antonio Silva, che chiede silenzio e legge “Itaca” di Kavafis. La voce si incrina leggermente. Il pubblico ascolta. Nessuna conclusione, nessuna spiegazione. Solo parole e applausi riconoscenti. Il sipario si abbassa su un Ariston ancora vigile e partecipe. Resta nell’aria un senso di necessità. La cultura, oggi più che mai, non è un ornamento ma un atto civile. In quella sala, la parola “genocidio”, che pochi mesi prima durante “l’altro festival” ha suscitato scandalo e clamore, è stata pronunciata con chiarezza e soprattutto senza paura. Perché ricordare non basta: bisogna nominare.
E forse è proprio questo il significato profondo del Premio Tenco 2025: la memoria come strumento per guardare avanti, come responsabilità pubblica, come lente con cui leggere il presente e continuare, ostinatamente, a immaginare il futuro.
Articolo di Silvia Ravenda, foto di Francesca Cecconi
