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Roma Buskers Festival 2025

La rassegna romana, ormai giunta alla sesta edizione, vede sul palco il talento dell’armonica Moses Concas e il giovane cantautore Caffa

Tutti i bambini sono artisti nati; il difficile sta nel restarlo da grandi, disse il geniale Pablo Picasso. E il 5 luglio, mentre mi avvio verso il porto romano di Ostia con l’asfalto che mi mastica le suole come un chewing-gum penso che, sì, aveva proprio ragione. Non sarebbe bello, anche solo per qualche ora, tornare bambini? Colorare il mondo con la fantasia e dimenticarsi di quelle bollette della luce che vi guardano con oltracotanza dalla cassetta delle poste?  E allora vi consiglio un bel giro al Roma Buskers Festival che vi si resetta il sistema nervoso. Endorfine garantite e felicità assicurata. Dai su, scarpe comode e venite con me.

Siamo già alla sesta edizione di questa kermesse geniale, ideata dal brillante Andrea Cicini, CEO del Gruppo Matches, che negli anni ha portato a Ostia una valanga di artisti di strada da ogni angolo del mondo. Volete i circensi? Ci sono. Teatro? Anche. Ma sapete cosa non manca mai, e dico mai, a questa manifestazione? La Musica – sì, con la “M” maiuscola- quella vera, suonata con il cuore. E noi di Rock Nation, quando c’è musica suonata bene, arriviamo come falene d’estate attorno alla luce di una lampadina sul terrazzo.

Dopo la coloratissima parata d’apertura le postazioni spuntano ovunque. Io zigzago come un bambino impazzito nel reparto caramelle. Voglio vedere tutto, mangiarmi ogni nota, ogni applauso, ogni passo di danza, ma ricordate: sono una fottuta falena e anche bella grossa! E appena si accende un palco, io ci vado a schiantare. Con la macchina fotografica al collo, sudato, stropicciato e felice.

E su quel palco, tra un artista e l’altro, c’è sempre lui: Adriano Bono – fondatore ed ex voce di Radici nel Cemento, oggi mattatore di The Reggae Circus – con la sua pulce saltellante pronta a intrattenere, presentare e far danzare il pubblico a ritmo di reggae e calypso. Un maestro di cerimonie vero e proprio.

Stasera aspetto con curiosità Moses Concas, artista sardo che mi intriga da tempo. Definire la sua musica è dura… diciamo che è contaminata, sfugge a ogni etichetta. In fondo, come incasellare la musica di chi ha scelto – come dirà anche stasera – la vita del busker per essere libero, con i paletti di un genere? La sua musica è libertà pura per le orecchie. Chiudete gli occhi. Sentite il soffio della sua armonica. È un viaggio: nessun confine, nessuna bandiera, nessuna religione. Suona tutto un po’ lennoniano, ma è così.

Allora dai partiamo con Moses. Potresti iniziare danzando un tango argentino e, all’improvviso, sentire il profumo del ginepro sardo: e via, ti ritrovi a ballare un ballu tundu. Moses sul palco è un artigiano del suono. Costruisce ogni brano dal nulla: parte dal respiro, con il beatbox crea la base, poi l’armonica fa basso, melodia, linea solista. Un’intera orchestra dentro un soffio. Il looper fa il resto. E tu, che l’ultima volta che hai usato i polmoni era per gonfiare un materassino e sei quasi svenuto, lo guardi e ti chiedi: ma come diamine fa? Non lo so. Mica tutti nascono Moses Concas.

La gente è ipnotizzata. Moses cambia armoniche per ogni brano, come un pittore con la tavolozza. E poi, all’improvviso, si avvolge in una bandiera della Palestina. I colori cambiano. La musica si fa grido, o forse speranza. Suona “Bella Ciao”, la canta, la dipinge con le sue armoniche ti regala il suo Guernica sonoro, un quadro che non vedi, che puoi solo sentire ed immaginare e che ti entra sottopelle. Applausi. Tanti. Il cappello gira. È la regola del busker: l’arte è gratis, ma un piccolo gesto del pubblico vale oro.

Cambio palco, cambio registro. Sale Caffa, giovane cantautore romano anzi, di Ostia, come lo presenta Bono un cantante a km zero. Sale sul palco con la sua band e propone un cantautorato fresco, profuma di musica indie, ma con ritornelli che ti restano in testa e ti ritrovi a cantarli subito. I testi sono diretti, la musica arriva dritta al petto. E poi, gioca in casa: in platea tanti cantano con lui. Sul palco è a suo agio, la band lo segue compatta. Bravo, Caffa. Mi hai convinto, musicalmente e nei testi.

E sapete cosa mi fa impazzire? Che in un mondo dove tutti vogliono lo stage dei talent, le luci finte e i follower comprati, lui è lì. Con la sua urgenza. La sua musica. Il bisogno di raccontarsi, su un palco qualsiasi o su un angolo di strada. Bohémien? Forse. Ma è gente come lui che tiene viva la fiamma della musica.

Io continuo a camminare nel porto, tra spettacoli, turisti e bambini che urlano felici. Il tempo mi è scappato di mano. Le bollette? Dimenticate. Un problema di domani. Questo festival una cosa però me l’ha ricordata, una cosa semplice e potentissima: che siamo umani. Che veniamo da mille posti diversi, ma quando suoniamo, danziamo, dipingiamo, diventiamo una sola cosa. Una sola lingua. Una sola pelle. E in quel momento – seppur breve come un soffio di un’armonica – non ci sono guerre, solo pace e sorrisi.

Articolo e foto Daniele Bianchini

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