
Aria fresca e sold out: sono due dei doni preziosi che Carlos Santana ha portato in piazza Sordello il 2 luglio al debutto del Mantova Summer Festival, prima delle due tappe dell’”Oneness Tour” del chitarrista messicano nel Belpaese, da dove mancava dal 2018 (nel 2020 i concerti, infatti, furono infatti sospesi a causa Covid).

L’attesa dunque era tanta e Santana, complice anche una calura pesante, con punte di afa che nel pomeriggio spaventavano, non si è fatto attendere, regalando emozioni con una scaletta rodata di successi che hanno pescato in cinque decenni di carriera. La sua sola presenza sul palco ha fatto sollevare una dolce brezza che ha reso comunque sopportabile lo spettacolo in una piazza davvero piena in ogni ordine di posto. Potere dello sciamano messicano. Insomma, un vero sold out, e di questi tempi non è un’affermazione di poco conto.

Chi aveva avuto modo di sbirciare la scaletta su Spotify, dove ormai ogni artista rende pubblica la playlist del live, sapeva che Santana avrebbe iniziato il concerto con un tuffo nel passato. Il viaggio nel tempo che ha proposto al pubblico, infatti, è partito dal 1969, e cioè dal primo e omonimo album della sua produzione.

Sugli schermi, a mo’ di rito propiziatorio, sono apparse immagini di riti iniziatici africani, mescolati con le immagini storiche di Woodstock, là dove il mito è iniziato. La musica africana è nel Dna del mix che ha reso unico il sound di Santana, oltre a essere protagonista di un recente album del chitarrista sudamericano. A seguito di questa intro, Santana ha aperto lo spettacolo con “Soul Sacrifice”, brano con il quale il chitarrista ottenne una lunga ovazione proprio nel grande raduno della controcultura americana.

A seguire è arrivato un’altra canzone del 1969, “Jingo”, a rafforzare il fatto che questo “Oneness Tour” 2025, partito in inverno in Sud America, è di fatto un viaggio a doppio binario nei decenni della sua lunga produzione, caratterizzata da uno stile che fonde insieme blues, rock e ritmi latini e africani. “Evil Ways” chiude il primo trittico del passato. Da subito però sono evidenti le molte luci di questo spettacolo e, purtroppo, l’unica ombra della serata. Partiamo, ovviamente, dalle luci, dato che, per fortuna, sono ancora tante.

La band che affianca Santana è semplicemente perfetta. Su tutti si erge Narada Michael Walden alla batteria, una delle due presenti sul palco. Musicista raffinata, con capacità di picchiare senza sosta. A fine serata sarà la più applaudita insieme a David Margen al basso, che ha anche il merito di regalarci, nel suo spazio di basso solo, il ritornello di “Seven Nation Army” degli White Stripes. Altra sorpresa della serata è Chris Rhyne alle tastiere che, quanto meno negli ultimi tour di Santana, non sono mai state così presenti negli arrangiamenti. Confesso che in prima istanza non mi convincevano, ma ripensandoci, e ascoltando le registrazioni originarie dei brani presenti in scaletta, devo dire che c’è stata una precisa volontà, almeno per i pezzi vecchi, di riproporre il sound degli anni ’70, anche se rinfrescato con molte percussioni.

Ne hanno beneficiato i brani del primo album, ma anche “She’s Not There”, canzone del 1977, e “Hope You’re Feeling Better”, presa dallo splendido “Abraxas” del 1970. Per non parlare della perfezione di “Samba pa ti”, che manda in estasi non di certo chi era lì per ballare i pezzi di “Supernatural”. Quando sono partite le note del grande classico – anche questo sempre da “Abraxas” – sulla piazza è spuntata la luna, l’aria è ormai presenza costante e anche la calura sembra inchinarsi a questo capolavoro della musica contemporanea. Qui le tastiere fanno la differenza, e sembra davvero di essere tornati indietro nel tempo. Lo sciamano, una delle tante incarnazioni di Santana, ha fatto la magia, coadiuvato dallo spirito di Bob Marley, presente sulla t-shirt del Nostro.

Dagli anni ’70 arriva anche “Everybody’s Everything”, e anche in questo caso il brano è per intenditori, con un’intro dove le batterie rullano, le tastiere macinano, e il ritmo diventa una perfetta fusione dei generi che sono l’anima della musica di Santana. Non va dimenticato “Black Magic Woman / Gypsy Queen”, altro momento sciamanico, con relativo viaggio nel tempo, che regala emozioni proprio grazie a tastiere molto presenti che sorreggono le trame della chitarra di un Santana, che in queste prime fasi del concerto suona ancora restando in piedi.

Se tutti i brani del passato sono stati eseguiti con una precisa identità, pur se rinfrescati, “Everybody’s Everything” è quello che ha fatto da vero collante fra il passato antico e sperimentale, e il più recente passato, quello che ha reso Santana così popolare da vederlo anche come produttore di tormentoni.

Il contrappunto della musica anni ’70, e cioè il primo binario dello spettacolo, sono dunque le hit del grande classico contemporaneo “Supernatural”, seconda traiettoria dello show, album del 1999 che, però, sembra uscito un anno fa. Un disco che non ha mai smesso di camminare, di far ballare e di divertire. Così fresco da essere sempre contemporaneo, e così qualificante da aver forgiato un nuovo suono del Nostro, quello cioè più latino.

“Maria Maria” e il tormentone “Corazon Espinado” non possono mancare. La prima, come succede da 20 anni a questa parte, eseguita con doppia chitarra momento che personalmente mi fa impazzire. Adoro quell’arpeggio piccato dell’intro, per poi passare alla chitarra elettrica. Splendido. “Corazon Espinado” è ormai talmente popolare che ha travalicato i limiti, oggettivi, del tormentone, per diventare patrimonio collettivo. Spazio anche a “Foo Foo”, unico brano dell’album “Shaman” del 2002 (che arriva dopo il trionfo di “Supernatural”), un disco sottovalutato da troppe persone. A seguire arrivano “(Da le) Yaleo”, “Put Your Lights On” e, in chiusura, Santana ha salutato la città dei Gonzaga con “Smooth”.

Si è arrivati al finale, e con esso l’ombra di cui si diceva. Rispetto all’ultimo passaggio in Italia, nel 2018 appunto, Santana è apparso purtroppo molto invecchiato. Suona in piedi fino a quando può, complice anche il caldo (non so quanta aria sia arrivata sul palco), le luci e un’afa perforante. La maggior parte del concerto lo ha fatto seduto, senza ovviamente che questo abbia minimamente inciso sulla qualità della sua esibizione. Interviene in tutto tre volte, per salutare, per ricordare gli amici Miles Davis e Chick Corea, e la necessità della pace come gesto d’amore, prima di far sognare tutti con “Samba pa ti”.

Taglia corto troppo spesso, nel senso che sembra avere fretta di arrivare alla fine, e così il concerto vola via in meno di un’ora e quaranta minuti. Anche il rito dei bis viene sforbiciato. Tutto questo è legittimo, e ci mancherebbe, ma quello che passa al pubblico è il fatto che se è pur vero che il palco rigenera sempre gli eroi, purtroppo non sempre questo permette di cancellare gli anni della biografia degli uomini e delle donne che lo stanno calpestando. Non tutti hanno la stessa fibra passati i 75, ed è anche normale che sia così. Questa è l’unica ombra, dunque, di una serata splendida, luminosa e di grande qualità.

L’abilità di questo Santana sta anche nell’essere capace di circondarsi di grandi musicisti, che sostengono il live con grandi capacità. Tuttavia, un pensiero si inabissa nella mente, e cioè che potrebbe essere dura rivederlo in forma, come è accaduto nelle 10 volte precedenti che, dal 1999 a oggi, mi ha permesso di vederlo sempre domare palco e pubblico, da vero mattatore e sciamano, senza mai una sosta ai box.
Articolo di Luca Cremonesi, foto di Roberto Fontana



Set list Santana Mantova 2 luglio 2025
- Soul Sacrifice
- Jingo
- Evil Ways
- Black Magic Woman / Gypsy Queen
- Oye cómo va
- Maria Maria
- Foo Foo
- Everybody’s Everything
- Bass Solo
- Samba pa ti
- She’s Not There
- Hope You’re Feeling Better
- The Game of Love
- (Da le) Yaleo
- Put Your Lights On
- Corazón espinado
- Toussaint L’Ouverture
- Smooth