
Da qualche tempo ho un modo bellissimo di trascorrere l’8 marzo, altro che mimose, feste, ristoranti e cenette: è sotto il palco la vera festa, e che festa! In questo caso ancora di più, per quanto mi riguarda, perché questo 8 marzo lo trascorrerò in un locale che adoro, ovvero il Phenomenon di Fontaneto d’Agogna in provincia di Novara. Non solo: gli headliner di stasera sono gli stessi del mio battesimo con Rock Nation (il nostro live report), anche se la line up è cambiata molto. Del resto, la natura estremamente mutevole è uno dei segni distintivi di questi sacri mostri del Rock di cui vi parlerò a breve.
Davanti alle porte chiuse del locale, da dove si sente forte e chiaro il soundcheck degli artisti e l’aria tiepida profuma già di primavera, incontro fan conosciuti in altre occasioni, arrivati già dalla mattina, quindi l’attesa è meno lunga del solito. Entrata nella grande, familiare sala, abbraccio con gli occhi quello è uno dei migliori palchi in circolazione, talmente grande da poter essere allestito con la strumentazione di tre band, incluse tre batterie, senza dare la sensazione confusionaria di un ripostiglio: ogni cosa al suo posto e un posto per ogni cosa. Sullo sfondo campeggia, enorme, la copertina dell’ultimo album degli headliner.

La zona mixer, stasera, sembra la sala comandi dell’astronave Enterprise: segno inequivocabile che l’ottimo impianto luci, i fonici e i tecnici daranno il massimo. Tre le band sul menu, e l’inizio è orgogliosamente italiano, con l’ingresso al buio dei Nastyville, gruppo hard rock con quattro album all’attivo, nato nel 2012 grazie al lavoro di Danny Boy, batterista e compositore, forte dell’esperienza di aver suonato con personaggi di spicco come Gilby Clark.

Questa energica formazione non è nuova al ruolo di opener per grandi nomi prestigiosi, li troviamo infatti a calcare i palchi di, per citarne alcuni, Skid Row, Steel Panther, Enuff Z’Nuff, Crazy Lixx. Anche sul palco del Phenomenon, la band nostrana ha dimostrato di essere una forza della natura, con il suo Hard Rock muscolare, grintoso, e con la sua energia contagiosa riversata a pieni decibel sul pubblico; nonostante la sala non fosse ancora particolarmente affollata, le persone in transenna, tra cui un buon numero di fan riconoscibili dalla t-shirt, sono scatenate e applaudono senza sosta.

La strada è ancora lunga, e in salita, queste le parole del super carismatico frontman Mark Lee, un invito a seguirli e sostenere la loro musica; con la sua voce potente e magnetica, ha dominato il palco per la mezz’ora a loro disposizione, interagendo vivacemente col pubblico e anche con la mia lente, mentre lo scatenato chitarrista Dave Wild sfodera riff da brivido e assoli di fuoco.

Un groove irresistibile è garantito dalla sezione ritmica, precisa e pulita; la scaletta ripercorre i loro brani più iconici, eseguiti con passione e fisica intensità, dimostrando sì tutto il loro sangue caldo e affiatamento tra i membri, ma anche di essere capaci di tenere testa a band di fama internazionale.

Un concentrato di talento e passione che conferma il loro status di una delle migliori band hard rock italiane sulla piazza, che ha tutti i crismi in regola per conquistare un pubblico sempre più vasto, e speriamo di vederli in un prossimo futuro da headliner. Mark Lee e i Nastyville sono una partenza col botto per quella che sarà sicuramente una serata da ricordare.

Si prepara ora lo stage per il secondo gruppo, e questo prevede fumo, tanto fumo sul palco, in tempo zero siamo immersi in una nebbia che fa un tantino rimpiangere le luci elettriche e frizzanti di prima, fotograficamente parlando. Questo è il momento dei The Treatment, direttamente dal Regno Unito, più precisamente da Cambridge, anche se il loro abbigliamento e le loro lunghe chiome li renderebbero ideali anche per una rivisitazione di Woodstock.

Quintetto hard rock vivace, deciso e melodico insieme, viene fondato nel 2008 dal batterista Dhani Mansworth mentre ancora andava a scuola; sei gli album in studio per loro, oltre a svariati EP e singoli. Sin dal loro esordio, i The Treatment hanno offerto costantemente performance a elevato numero di ottani e testi contagiosi che li contraddistinguono. Il loro lavoro più recente, “Wake Up The Neighbourhood”, uscito il 10 maggio 2024 per Frontiers, è una testimonianza della loro evoluzione come musicisti e mette in luce la loro instancabile spinta e passione per il Rock.

I primi con cui ho un incontro ravvicinato, molto ravvicinato, sono i due fratelli chitarristi Tao e Tagore Grey: dalla forte personalità, prorompenti e forgiati nell’argento vivo, ce li ritroviamo più e più volte a pochi centimetri di distanza tra noi e loro mentre si portano a suonare sulle casse presenti nel pit. Devi essere veloce quanto loro per spostarti quando, del tutto imprevedibilmente, decidono di saltare in avanti, spavaldi, a volte in simultanea: rischi di ritrovarti incastrato tra il manico delle chitarre e le loro dita. Sembrano amare questo giochetto con noi fotografi, dato che lo ripropongono più volte, di sicuro si divertono come matti.

I loro assoli, carichi di feeling e tecnica, hanno conquistato il cuore dei presenti. Tale è la forza del loro live, la loro avvincente scaletta e le interazioni genuine con la folla, nel frattempo già raddoppiata – seppur non fino a riempire la sala – che si potrebbero benissimo scambiare per gli headliner di turno. C’è così tanto in loro da amare, per quello che fanno e come lo fanno; magari non sarà niente di esclusivo o innovativo, ma non si può evitare di rimanere letteralmente travolti dal loro entusiasmo e dalla passione per la musica che suonano.

La musica, specialmente quella dal vivo, dovrebbe trasmettere qualcosa: gioia, rabbia, tristezza, qualunque cosa, purché provochi una reazione. Quello che ci fanno provare i The Treatment è divertimento allo stato puro; il cantante Tom Rampton è maestro nell’interazione con i fan, l’esperienza è innegabile, la presenza scenica pure, la voce graffiante. In contrasto con il moto perpetuo dei due chitarristi, più statico e riservato, c’è il nuovo bassista che sostituisce Andy Milburn, passato da poco tempo agli Hellripper. Dai delicati lineamenti quasi adolescenziali e i lunghi capelli lisci, sembra debba ancora amalgamarsi bene con il resto del gruppo, e Tao fa sempre il suo meglio per coinvolgerlo durante la performance. Non fatevi ingannare, però, dal suo sguardo angelico: insieme a Mansworth alla batteria ha saputo creare un muro sonoro inarrestabile, base perfetta per i virtuosismi dei fratelli Grey.

Se già conoscete questo gruppo, saprete anche che sanno esattamente come scegliere una scaletta, stasera concentrata sul loro ultimo album: le teste annuiscono, i piedi battono il tempo, e qua e là qualcuno si muove in un piccolo accenno di ballo. Finalmente, direi io: con una band così anche i tavoli vorrebbero scatenarsi. Ci guarda dritto negli occhi Tao, che intanto è rimasto a petto nudo, mostrando un grande tatuaggio e raccogliendo approvazioni femminili. Loro sono così, se li osservi ricambiano lo sguardo, dritto nelle pupille, e potrebbero sostenere il tutto a oltranza. Se amate il Rock’n’Roll senza compromessi, non perdete l’occasione di vederli live, non potrete fare a meno di lasciarvi trasportare dal loro entusiasmo contagioso.

Sempre immersi in un fumo costante, attendiamo che il palco venga sistemato di tutto punto per gli headliner: la sala ora è satura di fan, l’aria elettrica e piena di attesa. Improvvisamente si abbassano le luci: è il momento dei The Dead Daisies, stellare supergruppo hard rock australiano – statunitense nato nel 2012 dall’ex vocalist Jon Stevens e dal chitarrista David Lowy, unico membro rimasto fisso negli anni, testimone di innumerevoli andirivieni e cambi di line up.

Attualmente i The Dead Daisies vedono nelle loro file, oltre a Lowy alla chitarra ritmica, anche il biondo e acclamatissimo Doug Aldrich, chitarrista solista reduce da un recente intervento chirurgico alla gola, che ha militato nientemeno in gruppi come Whitesnake, Dio, Bad Moon Rising, e altri ancora. Dopo l’uscita dal gruppo del leggendario Glenn Hughes nel 2023, torna in scuderia John Corabi alla voce: ex frontman dei The Scream nel 1989 e dei Motley Crue tra il 1992 e il 1996, durante la “pausa” di Vince Neil, è stato definito “a Rock journeyman”: un mitologico incrocio tra Steven Tyler, Ronnie James Dio e David Lee Roth con alle spalle una lunga e nutrita lista di collaborazioni con vari artisti affermati. La sua voce è ancora micidiale, oltre a saper trascinare il pubblico con la sua personalità magnetica e prorompente.

Sempre a sostituire Glenn Hughes, per quanto riguarda il basso, abbiamo Michael Devin, meglio conosciuto per l’esperienza decennale con i Whitesnake e per aver suonato e registrato con artisti come Kenny Wayne Shepherd, Sass Jordan, The Guess Who, oltre al suo progetto From The Earth. Che dire della presenza discreta, quasi timida, di Lowy? Lui non è neanche lontanamente il “solito” musicista rock; campione di volo acrobatico, collezionista di aerei d’epoca tra cui gli Spitfire, è l’uomo più umile e alla mano che si possa incontrare, e ha iniziato la sua carriera suonando il basso da adolescente. Il brano “Born To Fly” del 2022, nato da lui e Aldrich, è una canzone rock pura e semplice che celebra questa sua passione. I was born to fly, however, we’re all born to fly in our own way, dichiarerà Lowy al riguardo.

Dietro alla batteria, da Detroit con furore, c’è colui che lo stesso Corabi definirà, durante il concerto, the drum punisher : macchina infallibile e indomabile, Tommy Clufetos sfoggia il suo drumming selvaggio e movimentato. Noto per aver suonato con Alice Cooper e Rob Zombie, è stato turnista per i Black Sabbath e dal 2010 è il sostituto di Mike Bordin per Ozzy Osbourne. L’atmosfera è quasi sacra davanti al palco, mentre mi ritrovo proprio a tu per tu con Lowy che emerge dal fumo e dai potentissimi fasci di luce bianca alla mia destra; alla mia sinistra mi accorgo di avere Doug Aldrich dalle grida dei fan che lo invocano, ancor prima di vederlo.

Corabi entra per ultimo e attacca subito la sua esibizione senza perdersi in fronzoli, conquistando gli astanti con simpatia, facendo il segno delle corna del toro, o posando davanti alle lenti, avvicinandosi sotto la sua chioma piratesca e fissando dritto dritto in camera. Dopo l’era di Hughes, Corabi riporta un tocco ruvido, “sporco”, pericoloso, alla band, ritornando a un sound che si addice di più all’essenza dei The Dead Daisies: il Re è tornato, lunga vita al Re.

Una formazione nata per essere vissuta live, qui le scintille volano davvero e gli occhi dei fan brillano di emozione; in scaletta, ovviamente, brani dal loro ultimo album, che dà il nome al tour “Light ‘Em Up”, uscito il 6 settembre 2024 via SPV Records, oltre ad altri evergreen e cover che dimostrano tutta la loro capacità di imbrigliare la pura potenza del Rock.

Audaci, spavaldi, dotati di un groove grande e grosso come un canyon, i cinque trasudano la sicurezza di un collettivo che ha suonato con le più grandi e leggendarie rock band del mondo.

Solitamente, ogni band ha il suo tratto distintivo, il suo modo unico di suonare, ma come possiamo definire il sound dei The Dead Daisies? Questa immensa giostra, this circus come lo chiama Corabi, ha creato qualcosa di unico, in una serie di eventi che per altri gruppi avrebbero significato la fine. I nostri cinque, invece, sembrano prosperare sul frequente cambio di line up, abbracciandone le diversità e creando suoni e album genuinamente unici, un’evoluzione che concepisce materiale fresco fresco, e il nuovo disco non fa eccezione.

La loro è un’esibizione senza fronzoli, pedal – to -the -metal, che ha attinto fino all’ultimo secondo all’essenza pura e primordiale del Rock’n’Roll. Raise your hands if you like to ride motorcycles! Ringhia Corabi ai fan per presentare il brano “I’m Gonna Ride”, canzone che invita a saltare in sella alla propria moto e lasciarsi alle spalle, almeno per un po’, le ansie della vita.

Sublimi su “Love That’ll Never Be”, unico momento lento dove il vocalist sfodera le sue capacità di chitarrista e dove il suo passato nei Motley Crue riaffiora con decisione, in modalità rallentata: ballata rock blues stile anni ‘70, al profumo di The Allman Brothers, è un promemoria per essere felici di ciò che si ha e per amare chi abbiamo al nostro fianco. In linea di massima, siamo tutti felici di riavere Corabi al microfono, la sua voce potente ed espressiva si libra sopra il lavoro bruciante e affiatato di Lowy e Aldrich.

Il pubblico è sempre rapito e partecipe, ma personalmente mi aspettavo un po’ più di movimento, qualche ballo sotto le note di canzoni che non chiedevano altro. Persino John li richiama abbastanza spesso: My grandmother used to say, are you still with us?

Altro momento clou della serata è la presentazione creativa della band, dove tutti e cinque hanno fornito un esempio di un’influenza di altre band sul loro stile di esecuzione, mentre John dedica a ognuno dei suoi compagni di viaggio una parola di affetto o un aneddoto divertente, come quando abbraccia Devin e ride divertito: the trouble here is when the lights turn off, and people mistake him for my wife. Pazzesco, come predevo, il lavoro di luci del Phenomenon, che vengono programmate anche per illuminarsi con i colori della bandiera italiana.

Don’t trust the quiet ones, dice poi John indicando Lowy, che ci canta una incantevole cover di “Get A Haircut” di George Thorogood : muovete quei sederini, mi lamentavo io col pubblico dal fondo della sala, stare fermi era impossibile, eppure vedevo per lo più braccia al vento.

Un concerto che è stato il trionfo della musica rock, con la band intera che ha continuato a mandare avanti la festa, dando il loro massimo per tutta la durata del live, facendo in modo che il pubblico potesse tornare a casa sazio e felice, chiudendo la serata con una potente cover di “Helter Skelter” dei Beatles. Se per un motivo o per l’altro non avete ancora visto i The Dead Daisies esibirsi, beh, fatelo! Vi divertirete un mondo, e come ci ricorda il buon Corabi, wait for us, we’ll be right back, right here!
Articolo e foto di Simona Isonni
Set list The Dead Daisies Novara 8 marzo 2025
- Long Way To Go
- Rise Up
- Dead And Gone
- Last Time I Saw The Sun
- Light ‘Em Up
- Love That’ll Never Be
- With You And I
- I’m Gonna Ride
- Take A Long Line (The Angels cover)
- Cross Road Blues (Robert Johnson cover)
- Goin’ Down (Freddie King cover)
- Fortunate Son (Creedence Clearwater Revival cover)
- Get A Haircut (George Thorogood cover)
- Mexico
- Midnight Moses (The Sensational Alex Harvey Band cover)
- Resurrected
- Helter Skelter (The Beatles cover)