Volume #2/2025: Perché il panorama musicale commerciale in Italia sembra bloccato?
Oggi vogliamo affrontare un tema cruciale: perché il panorama musicale commerciale in Italia sembra bloccato? Non accuseremo gli artisti: il problema è sistemico. Parleremo delle piattaforme streaming, delle radio, del ruolo delle major discografiche, e di come il contesto economico, sociale ed educativo influenzi ciò che ascoltiamo. E sì, faremo anche un accenno a Sanremo 2025, il festival che ogni anno racconta qualcosa di noi, ma che troppo spesso riflette le stesse dinamiche di un’industria chiusa e ripetitiva. Andiamo!
1. Una fotografia della musica italiana: cosa ci raccontano le classifiche?
Guardando la lista degli album più venduti del 2024, ci troviamo davanti a una realtà interessante, ma poco incoraggiante: il dominio assoluto di un pop-rap sempre più omologato. Tony Effe, Geolier, Anna… artisti che rappresentano una parte importante del mercato, ma che sembrano raccontare sempre la stessa storia musicale. Perché? Perché le major puntano su ciò che vende, non su ciò che osa. Producono musica che non disturba, che non rischia, ma che può funzionare perfettamente su TikTok o nelle playlist Spotify. Questo però ci porta a un impoverimento del panorama musicale, dove la sperimentazione è relegata ai margini.
2. Sanremo 2025: una fotografia dell’industria musicale
Parlando di industria musicale, non possiamo non citare Sanremo 2025, l’evento che dovrebbe rappresentare la musica italiana a 360°. Quest’anno troviamo un mix di grandi nomi – come Giorgia e Massimo Ranieri – insieme a giovani che stanno emergendo, come Rose Villain o Olly. Ma c’è un problema: molti brani sono scritti dagli stessi autori e prodotti dalle stesse case discografiche. Per esempio, artisti diversi condividono produttori e autori, creando un suono omogeneo che rende difficile distinguere un progetto dall’altro. Sanremo, invece di essere un laboratorio creativo, rischia di diventare una vetrina per consolidare quello che le major vogliono promuovere.
E poi c’è il rapporto con le radio. Sapete quanti dei brani in gara entreranno nelle rotazioni radiofoniche dopo il festival? Tanti, ma solo quelli che sono stati creati per ‘funzionare’. E gli altri? Spariranno, dimenticati dal pubblico e dall’industria. Sanremo potrebbe essere un’occasione per dare spazio a veri outsider, ma le dinamiche di mercato spesso lo trasformano in una celebrazione del sistema esistente.
3. Le piattaforme streaming: l’algoritmo decide per noi
Oggi la musica la scopriamo su Spotify, Apple Music o TikTok. E non è un caso. Le piattaforme streaming hanno completamente ribaltato il modo in cui ascoltiamo e scegliamo le canzoni. Ma il punto è: siamo davvero noi a scegliere? L’algoritmo ci propone ciò che ‘piace di più, ovvero ciò che funziona secondo i dati delle major. E queste ultime investono milioni per piazzare i loro artisti nelle playlist più ascoltate. È un circolo chiuso: i grandi continuano a crescere, mentre gli indipendenti rimangono schiacciati.
Il risultato? Brani costruiti per essere consumati velocemente, senza lasciare un segno. Pensateci: quante hit del 2023 o 2024 vi sono rimaste davvero in testa? Quante hanno segnato un’epoca? Poche, perché la musica è diventata sempre più simile a un prodotto usa e getta.
4. Le radio e le opportunità mancate
Le radio, che un tempo erano il baluardo della scoperta musicale, oggi seguono le playlist delle piattaforme. Lo vediamo chiaramente con Sanremo: gli stessi brani, gli stessi artisti passano in loop, quasi come se fossero scelte obbligate. Questa mancanza di coraggio penalizza soprattutto gli emergenti. Un giovane artista senza il supporto di una major ha pochissime possibilità di essere trasmesso. Eppure, le radio potrebbero essere il vero antidoto all’omologazione musicale, se solo decidessero di rischiare di più.
5. Le major discografiche: tra potere e conservazione
Le case discografiche – o meglio, le major – sono il cuore pulsante dell’industria musicale. Hanno il potere di decidere chi emerge e chi no. Investono milioni sugli artisti, ma spesso con l’obiettivo di creare successi immediati, non di costruire carriere durature. Un esempio lampante? Gli autori che lavorano per più artisti, creando una catena di montaggio musicale. È una strategia sicura: se un autore ha funzionato con un artista, perché non replicare la formula con un altro? Ma questo limita enormemente la varietà e la creatività. Eppure, le major non sono solo “il cattivo” della storia. Hanno risorse, connessioni, e capacità che potrebbero essere usate per innovare. La domanda è: avranno il coraggio di farlo? Finché il pubblico si accontenta, probabilmente no.
6. La crisi culturale: educazione musicale e società
Non possiamo ignorare il contesto culturale ed educativo in cui tutto questo avviene. L’Italia ha progressivamente abbandonato l’educazione musicale nelle scuole. La musica, come forma d’arte e di espressione, è diventata marginale. Se i giovani crescono senza un’educazione musicale solida, come possiamo aspettarci che abbiano gli strumenti per cercare, apprezzare e sostenere musica di qualità? È un problema che riguarda tutta la società, non solo l’industria musicale. Se le scuole non insegnano ad apprezzare la musica come forma d’arte, se non si educa all’ascolto critico, il pubblico finirà per consumare ciò che è più immediato e accessibile. La musica perde il suo ruolo educativo e diventa intrattenimento superficiale.
In passato, la musica italiana era una lente attraverso cui guardare la società: pensiamo a De André o Gaber. Oggi, molti testi si limitano a raccontare un’estetica vuota, fatta di lusso, fama e apparenze. Questo impoverisce non solo la musica, ma anche chi la ascolta
7. Il ruolo del pubblico: possiamo cambiare le cose?
E allora, cosa possiamo fare noi? Il pubblico ha un potere enorme, ma spesso lo sottovaluta. Sanremo, le classifiche, le playlist: tutto questo può cambiare se noi iniziamo a cercare attivamente alternative, a supportare artisti indipendenti, a chiedere più varietà e qualità. Le major, le piattaforme, le radio seguono i numeri. Se mostriamo interesse per qualcosa di diverso, loro dovranno adattarsi. Il cambiamento parte da noi, da ciò che scegliamo di ascoltare e condividere. La musica è lo specchio della società, ma anche un mezzo per cambiarla. Dalle major alle piattaforme, passando per Sanremo, c’è molto lavoro da fare. Ma ricordate: il cambiamento comincia sempre dal basso, da noi.
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Articolo di Silvia Ravenda
Musica di Minsmà