Volume #3/2025: Il paradosso della musica moderna
Bentornati a VoxNation, la voce della musica indipendente di Rocknation. Stavolta voglio parlarvi di un tema spinoso, che tocca chiunque provi a fare musica fuori dai circuiti mainstream: il paradosso della sovrapproduzione musicale. In altre parole, mai come oggi chiunque può pubblicare la propria musica, ma mai come oggi è così difficile emergere. E sapete qual è la cosa più assurda? Che non sempre è colpa dell’industria, del pubblico o di qualche entità oscura che trama nell’ombra. Spesso, il problema è dentro la musica stessa.
Streaming e democrazia musicale: opportunità o saturazione?
Oggi bastano pochi clic per caricare una canzone su Spotify, Apple Music o qualsiasi altra piattaforma. Questo, in teoria, è fantastico: la musica non è più vincolata da etichette discografiche, contratti soffocanti o decisioni prese da qualcun altro. Ognuno ha la possibilità di farsi ascoltare. Ma la realtà è meno idilliaca. Ogni giorno vengono caricati oltre 100.000 brani sulle piattaforme di streaming. Cento. Mila. Un oceano di canzoni che rende impossibile anche solo scalfire la superficie. E qui sta il problema: in questo mare di musica, il rischio è che il pubblico venga travolto, perdendo il focus su ciò che realmente merita attenzione. Non tutto ciò che viene prodotto ha valore, e non tutto ciò che viene ignorato è necessariamente un capolavoro incompreso. L’idea romantica dell’artista geniale ma sconosciuto, vittima di un sistema ingiusto, spesso non regge alla prova dei fatti.
Le etichette indipendenti: tra sopravvivenza e scelte facili
E le etichette indipendenti? Quelle che una volta erano il baluardo della sperimentazione e della scoperta di nuovi talenti? Anche loro faticano a rimanere a galla. Il mercato è saturo, il pubblico è distratto e il rischio di fallire è altissimo. Così, molte label indipendenti finiscono per pubblicare gruppi mediocri, più per necessità che per convinzione. Non per cattiveria, non per mancanza di gusto, ma perché lavorare nella musica oggi è diventato un atto di resistenza, e sopravvivere significa spesso scendere a compromessi.
Ma non giriamoci intorno: anche tra gli artisti, la voglia di sperimentare è ai minimi storici. Quanti gruppi, oggi, hanno il coraggio di provare qualcosa di davvero nuovo? Quanti si illudono di essere rivoluzionari mentre ripropongono la solita formula trita e ritrita? Il risultato è un panorama musicale dove si suona per inerzia, dove ci si accontenta di essere “bravini” e si scarica la colpa sul sistema invece di rimboccarsi le maniche e spingersi oltre.
Locali e tribute band: una scelta o una necessità?
C’era un tempo in cui i locali erano il vero motore della scena musicale. Era lì che si scoprivano le band emergenti, che si sperimentava, che si creavano movimenti culturali. Oggi? Oggi molti locali preferiscono far suonare gratis (o quasi) gli artisti emergenti, perché tanto “dovrebbero essere felici di avere un palco”. E quando si paga, si investe sulle tribute band. Non fraintendetemi: molte tribute band sono composte da musicisti di altissimo livello, gente che sa suonare davvero. Ma il problema è un altro: se l’unica possibilità per guadagnarsi da vivere con la musica è imitare qualcun altro, dove finisce la creatività? Dove finisce l’identità artistica? L’ossessione per il revival, per la riproduzione perfetta di qualcosa che già esiste, sta sterilizzando il panorama musicale. Siamo diventati un Paese che suona il passato senza provare a costruire il futuro.
Sperimentazione: la grande assente in italia
E qui arriviamo al punto cruciale: perché in Italia la sperimentazione musicale sembra essere scomparsa?Perché la maggior parte delle produzioni indipendenti suona già sentita, già vecchia nel momento stesso in cui esce? Forse la paura di fallire, di non essere capiti, di non trovare spazio in un mercato già saturo, ha paralizzato la creatività. Oppure la cultura dell’omologazione ha soffocato il desiderio di esplorare nuove sonorità. In passato, l’innovazione è sempre stata il motore della grande musica: dal rock psichedelico ai primi esperimenti elettronici, dagli ibridi tra generi alle contaminazioni più audaci. Oggi, invece, si gioca sul sicuro, cercando di piacere a tutti e finendo per non lasciare il segno a nessuno.
La sperimentazione richiede coraggio, ma anche una profonda comprensione della musica e delle sue possibilità. Serve la voglia di andare oltre la formula consolidata, di osare con strumenti, suoni, strutture, linguaggi. Ma chi è davvero disposto a rischiare? Chi è pronto a fare il salto, senza preoccuparsi del numero di stream o dei like?
Conclusione: serve una scossa
La musica ha bisogno di una scossa. Ha bisogno di coraggio, di visione, di artisti che abbiano il fuoco della creazione e non la paura di fallire. Ha bisogno di chi non si accontenta, di chi sente l’urgenza di scrivere il futuro invece di rimanere intrappolato nel passato. Serve una ribellione contro l’omologazione, un ritorno all’essenza della musica: l’arte di sorprendere, di emozionare, di osare. Se oggi fare musica è più accessibile che mai, è altrettanto vero che il pubblico è più esigente, meno fedele e facilmente distratto. Per farsi ascoltare, non basta lamentarsi: serve un linguaggio nuovo, una direzione precisa e il coraggio di essere un’eccezione.
Quindi, la domanda non è “perché nessuno mi ascolta?”, ma “cosa sto facendo per essere davvero diverso?”
Articolo di Silvia Ravenda
Musica di Minsmà