22/06/2025

Vasco Rossi, Messina

22/06/2025

Alanis Morisette, Codroipo (UD)

22/06/2025

Trophy Eyes, Piacenza

22/06/2025

Massive Attack, Napoli

22/06/2025

Exodus, Bellaria Igea Marina (RN)

22/06/2025

Dissonance Festival, Milano

22/06/2025

Roberto Angelini e Rodrigo D’Erasmo, Tuoro sul Trasimeno (PG)

23/06/2025

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23/06/2025

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Vox Nation #04

Volume #4/2025: Donne e Musica: una battaglia lunga decenni

Una fotografia, non un manifesto

Benvenuti a Voxnation, la voce della musica indipendente di Rock Nation. Questo mese analizzeremo il ruolo delle donne nella musica ma attenzione: questo non sarà un podcast militante, né un manifesto ideologico. Sarà una fotografia. Una messa a fuoco, lucida e il più possibile imparziale, sulle dinamiche di genere che attraversano da oltre settant’anni il mondo della musica. Partiremo dagli anni ’50 fino ad arrivare all’ecosistema digitale odierno, passando per chi sta sul palco, chi lavora dietro il mixer, chi scrive e racconta la musica, e chi la promuove nei social. Raccoglieremo numeri, confronti e testimonianze per capire: le cose sono cambiate? E se sì, quanto? Perché in musica, come in società, alle donne non viene mai concesso l’errore, il dubbio o l’eccezione. È come se dovessero sempre dimostrare il doppio per ottenere la metà.

Dalle dive silenziate al grido punk: le lotte di genere nella storia della musica

Negli anni ’50, la donna nella musica era o musa o cantante di grazia. Una figura decorativa o, al massimo, interpretativa. Gli uomini scrivevano, producevano, decidevano. Le donne cantavano. Basta pensare a Doris Day, Connie Francis o Brenda Lee: voci splendide, ma repertori spesso imposti da direttori artistici maschi. Ma mentre Elvis Presley diventa il Re, Sister Rosetta Tharpe – nera, virtuosa, chitarrista gospel e madre spirituale del Rock’n’Roll – viene ignorata dalla narrazione mainstream per decenni.

Negli anni ’60 emergono figure più complesse: Nina Simone porta nella musica la lotta per i diritti civili, Joan Baez unisce pacifismo e femminismo, Janis Joplin si impone come anti-diva bruciante. Ma ancora una volta, sono eccezioni in un sistema strutturalmente patriarcale. Il primo vero scossone sistemico arriva negli anni ’70: la seconda ondata femminista dialoga con il Rock, il Punk, il Soul. Patti Smith, Chrissie Hynde, Poly Styrene: donne che scrivono, suonano, comandano. E soprattutto: non chiedono il permesso.

Negli anni ’90, con il movimento Riot Grrrl (Bikini Kill, Sleater-Kinney), il Rock femminile diventa apertamente politico. Si parla di stupro, di sessismo, di aborto, di rabbia. Ma la grande industria? Le lascia ai margini. Perché “non vendono abbastanza”, “non sono radiofoniche”.

I numeri non mentono: la disparità nei ruoli musicali

Arriviamo a oggi. I riflettori ci raccontano un mondo più inclusivo: artiste come Beyoncé, Billie Eilish, Rosalía o Taylor Swift sembrano dominare le classifiche, con controllo diretto su contenuti, produzione e immagine. Ma basta guardare i numeri per capire che la facciata non racconta tutta la storia.

Secondo l’Annenberg Inclusion Initiative (USC, 2024):

  • Solo il 37,7% degli artisti nella Billboard Hot 100 Year-End Chart erano donne.
  • Solo il 5,9% dei produttori musicali erano donne.
  • Tra oltre 1600 canzoni analizzate, il 51% non include nemmeno una autrice donna nei crediti.

Questo significa che, nonostante la visibilità crescente delle interpreti, le donne non partecipano ancora attivamente alla costruzione strutturale della musica popolare. I ruoli tecnici – produzione, mix, mastering, arrangiamento – restano saldamente in mani maschili.

Un altro dato importante: le donne compositrici iscritte alla SIAE in Italia sono circa il 13% del totale. Un numero allarmante. E quando una donna occupa una posizione di potere creativo, viene spesso presentata come eccezione miracolosa, invece che come indicatore di sistema.

Il mondo invisibile della musica: produzione, ingegneria, giornalismo

Parliamo ora dei ruoli che non si vedono, ma che determinano tutto.
Produzione musicale: Le donne produttrici nel 2024 sono meno del 6% a livello globale. Di queste, pochissime hanno lavorato su hit da classifica. Marta Salogni, italiana, è un nome che spicca: ha prodotto Björk, Depeche Mode e Bon Iver. Ma lei stessa ha dichiarato di aver dovuto lottare il doppio per ottenere credibilità in studio, in un ambiente ancora ostile.
Ingegneria del suono: peggio ancora. Secondo la Women’s Audio Mission, meno del 3% degli ingegneri del suono nei grandi studi di registrazione sono donne.
Giornalismo musicale: le donne sono ancora sottorappresentate, soprattutto nei ruoli di direzione e critica “seria”. Molto spesso vengono confinate a rubriche lifestyle, pop o interviste soft. Recensire un disco metal o scrivere un’analisi di Miles Davis? Ancora oggi, spesso tocca a uomini. Perché la competenza femminile, in ambito tecnico, viene sistematicamente messa in dubbio.

Social media e sessismo: l’immagine prima della musica

I social media hanno dato potere alle artiste, certo. Ma li hanno anche resi il nuovo ring del sessismo. La visibilità è diventata un’arma a doppio taglio. Le piattaforme come TikTok e Instagram possono lanciare carriere, ma spesso al prezzo della propria immagine: il corpo viene monetizzato, la sessualizzazione è algoritmica, e l’estetica precede la voce. Basta confrontare i commenti sotto un video di una chitarrista donna rispetto a un chitarrista uomo: le donne ricevono più giudizi sul fisico che sulla tecnica. Non è un’opinione: è un dato misurabile. Il problema non è solo l’hate speech, ma l’intero sistema algoritmico che premia contenuti visuali e immagini conformi alla desiderabilità dominante. Così anche chi vorrebbe “solo suonare” è costretta a pensare a filtri, trucco, luci. Questo non è empowerment. Questo è marketing del corpo femminile travestito da libertà.

Cosa fare? Dalla musica alla società

Non possiamo aspettarci che sia l’industria musicale a cambiare da sola. È la cultura a dover mutare. E questo significa:

  • Investire in educazione musicale tecnica per le bambine fin dalla scuola primaria.
  • Finanziare incubatori creativi femminili: studi di registrazione, etichette indipendenti, programmi di mentorship.
  • Imparare a leggere i media con spirito critico, analizzando come viene raccontata una musicista, quali parole vengono usate.
  • Uomini e alleati che non si limitino a “lasciare spazio”, ma che mettano in discussione i propri privilegi e pregiudizi.

Solo così potremo costruire un ecosistema musicale in cui il talento venga riconosciuto per quello che è: talento. E non genere.

Conclusione

La musica è sempre stata uno specchio della società. E se quel riflesso ci restituisce una donna invisibile dietro la consolle, marginalizzata in redazione, giudicata prima per il corpo che per la voce… allora è il momento di cambiare l’inquadratura.

Articolo di Silvia Ravenda
Musica di Minsmà

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