Fuori il 10 ottobre per Telmavar Records il nuovo lavoro da studio del poliedrico cantautore e polistrumentista Asaf Avidan, intitolato “Unfurl”; a cinque anni di distanza dal precedente “Anagnorisis”, gli appassionati hanno quindi di nuovo la possibilità di immergersi nelle atmosfere intime e surreali dell’artista con le otto tracce contenute nell’album. Lo scrivo qui, per togliermi il dente sin dall’inizio: Asaf Avidan è israeliano. Sì, israeliano. Non dovrebbe essere necessario metterlo in chiaro se non come semplice dato biografico, ma in questi tempi cupi è facile scambiare l’origine di una persona con le idee malate di pazzi che, incidentalmente, hanno lo stesso passaporto. Sarebbe come definire Joan Baez una sostenitrice della guerra in Vietnam perché statunitense. Bah.
Asaf Avidan, pur non avendo recentemente rilasciato dichiarazioni in merito alla questione israelo-palestinese, ha aspramente criticato il governo di Netanyahu in più occasioni, venendo tacciato da una parte dei suoi connazionali di essere antisionista e sovversivo per le sue prese di posizione. Ha più volte dichiarato – come in una lunga intervista rilasciata a “Le Monde” nel 2015 – di non essere un artista israeliano, bensì un artista proveniente da Israele, e vive in Italia da ormai più di dieci anni, in una sorta di esilio autoimposto. I temi ricorrenti nel suo lavoro sono quelli universali di paura, amore e speranza, convinto del fatto che l’arte sia lo strumento migliore per cancellare le superficiali, immaginarie differenze tra le persone. Bene, dopo questo breve ma doveroso preambolo, torniamo a parlare di musica.

La caratteristica principale di questo artista è il suo modo di cantare, immediatamente riconoscibile, in grado di passare da un velocissimo flow da far impallidire i contendenti di qualsiasi contest freestyle a linee melodiche dal sapore bluesy, che sembrano infrangersi come onde sugli scogli quando la voce raggiunge il punto di rottura toccando note impossibilmente alte. Interpreta i brani con lo stesso approccio di un consumato attore teatrale, trasformando il suo tono da quello magniloquente del protagonista di uno spettacolo di Broadway, a parti in spoken word enunciate con sarcasmo, fino a un dolente cantato dalle evidenti influenze Soul, il tutto spesso nella manciata di minuti di un solo brano.
L’opener “I Don’t Know When, I Don’t Know How, I Don’t Know Why” è la perfetta sintesi di tutto questo: una ballata a tempo di valzer in cui il Pop della strofa si miscela naturalmente con il cantato enfatico del ritornello, finché a metà brano il mood cambia in modo repentino e Avidan decide di dimostrare tutto il suo virtuosismo, sciorinando rime a una velocità che farebbe annodare la lingua al più agguerrito degli MC, mentre l’accompagnamento strumentale da pomposo si fa enigmatico. “Unfurling Dream” è un tango decisamente atipico, anche qui caratterizzato dal rapping nasale del cantante almeno fino al chorus, dove la melodia diventa sofferta, avvolta come una coperta dal suono degli archi e degli ottoni; “Haunted” è invece un brano dal feel drammatico, guidato dalla pulsazione ritmica dell’orchestra e da un raffinato gusto per l’eclettismo musicale, con un arrangiamento in costante metamorfosi che non può che lasciare spiazzato chi ascolta, fino alle vette celestiali raggiunte dalla voce nella parte finale.
Una chitarra acustica in fingerpicking è la colonna portante di “Sixteen Hooves”: qui, il compito degli archi è quello di far montare la tensione di battuta in battuta fino allo STOP! che chiude il pezzo, invocato improvvisamente dalla voce di Asaf Avidan, mentre nel breve intermezzo per chitarra e voce di “The Great Abyss”, che in qualche modo chiude il cerchio lasciato aperto dalla repentina interruzione della traccia precedente, ci ritroviamo invischiati come insetti nella carta moschicida di un’atmosfera oppressiva e piena di tensione. Un pianoforte solitario suona il tema principale di “The Call of the Flow” prima che il brano entri nel vivo, e il flow dell’artista nelle strofe è proprio ciò che attira da subito l’attenzione, fino a che il ritornello non ci mette davanti agli occhi una rapida sequenza di fotogrammi appartenenti a qualche pellicola della Golden Age di Hollywood.
In “Serenity” Avidan costruisce con estrema perizia un patchwork di generi musicali diversi, riuscendo miracolosamente a creare un discorso non frammentato ma coerente: si passa dall’ atteggiamento roboante che pervade la strofa ad un ritornello delicato che abbraccia l’ascoltatore come un vecchio amico, fino a che lo spirito di una certa vocalist texana degli anni ’60 non si impossessa delle corde vocali del cantante, facendolo ruggire ferocemente nel microfono per un outro dalle forti tinte blues. L’album si conclude con la title track “Unfurl”, ideale colonna sonora di una spy story con licenza di uccidere ancora imprigionata nella penna di qualche sceneggiatore, almeno fino all’ingresso di un theremin sibilante che inscrive direttamente nella corteccia cerebrale asettiche immagini di praterie marziane.
“Unfu” è un album complesso, stratificato come una torta nuziale, meritevole di essere esaminato con la lente d’ingrandimento perché pieno di dettagli che, ad ogni ascolto, sembrano assumere sempre più rilevanza. È musica in Technicolor: come un uragano travolge l’ascoltatore e lo trasporta in un’altra dimensione, uno scintillante e vivido Mondo di Oz così distante dalla realtà grigia e dolorosa che stiamo tutti sperimentando in questo secondo decennio del nuovo millennio.
Articolo di Alberto Pani
Track list “Unfurl”
- I Don’t Know When, I Don’t Know How, I Don’t Know Why
- Unfurling Dream
- Haunted
- Sixteen Hooves
- The Great Abyss
- The Call of the Flow
- Serenity
- Unfurl
Asaf Avidan online:
Instagram: https://www.instagram.com/asafavidanmusic
Youtube: https://youtube.com/@asafavidan?si=fS6gbzkOgQ1-b0sj
