“analog:ca”, uscito per LaBionda Records il 29 novembre 2024, segna il ritorno della band di origine bolognese fondata da Mirko Di Francescantonio e Fabio Pulcini nel 2007. Un album molto interessante che si presenta, nel panorama vasto delle produzioni indipendenti e minoritarie, come uno dei lavori più originali usciti lo scorso anno solare. Già dagli esordi la band aveva fuso insieme cantautorato e sonorità pop-rock, con contaminazioni blues e trip hop. Un’amalgama che subito aveva collocato il gruppo in quel segmento di musica italiana che guarda oltre la siepe della collina del cantautorato classico. Un’eredità pesante in Italia, con la quale si deve fare i conti, ma che sembra bloccare tutte le infinite possibilità che l’universo musicale possiede.
“analog:ca”, con le sue otto tracce inedite, è un tuffo sia nel passato – e cioè in quel 2014 che è parte strutturale di questo lavoro – sia nell’attualità del 2024 che, appena conclusosi, ci ha regalato un ritorno all’indietro al passato, operazione che è stata di certo positiva per le casse delle major, ma non entusiasmante sul fronte delle novità. Gli iBerlino, invece, hanno calibrato il loro ritorno non tanto sfruttando l’effetto nostalgia, ma guardando al passato come una fonte d’ispirazione, o come voci che sono rimaste vive nel presente. Detto così, non sembra essere nulla di nuovo, se non fosse che c’è sempre da tener presente il contesto e l’ambiente in cui si vive. Ecco che “Analog:ca”, dunque, così spiega la band, è un disco “sviluppato” come un rullino: le canzoni dialogano con l’anno 2014; alcuni suoni ambientali, strumenti e parole, sono stati registrati 10 anni fa e lasciati come un messaggio in una bottiglia da aprire 10 anni dopo. Detto in altre parole, il concept che sta alla base di questo lavoro è una declinazione dell’”Angelus Novus” di Benjamin: uno sguardo al passato, ma con il vento del futuro che spinge in là, in avanti, senza tener nessuno prigioniero nel tempo che fu.
L’album, insomma, contiene tutto quello che gli iBerlino ci hanno già fatto sentire, ma il tutto è stato rielaborato con sapienza, e con il gusto dell’oggi, così da non sembrare né musica stantia, né tanto meno ricerca nostalgica. “Il mare dall’Intercity 611”, brano con il quale si apre questo lavoro, è un ritornello melodico, quasi da carillon, che porta, come un mantra, in una dimensione onirica. “Alba 01424” ricorda subito che lo sguardo è quello del nostro presente, con suoni elettronici, e una voce non-voce che non è fatta per essere cantata. “Cresce grande, doce lua” riporta nel presente il passato con, spiega la band, le cicale registrate nel 2014 montate insieme al vociare di vicini di casa nel 2024. Il tutto mescolato con suoni di chitarra registrati sempre nel presente. Una bella fotografia; un brano speciale che, in modo evocativo, che ci porta diretti a uno pezzi più interessanti di questo lavoro, e cioè “Tekno Bibbia Metropolitana”. Titolo che descrive perfettamente un’atmosfera musicale che oscilla fra il “Nirvana” di Salvatores e gli asettici ambienti post-moderni e non-luoghi di metropoli asiatiche. Una musica da ambiente anonimo, distaccato, dove la realtà smette di essere habitat ed ecosistema, a differenze di quanto descritto dall’arpeggio del pezzo precedente.
Un contrasto che emerge anche negli ultimi brani, dove però la dimensione cantautoriale emerge, con ammiccamenti all’Indie di buona fattura. Altro brano molto interessante, che fa il paio con “Tekno Bibbia Metropolitana”, è infatti “Fantasmi anni ’80 in viale Cappuccini” dove, lo confesso, mi sono sentito a casa, e cioè in quello spaesamento che sapevano regalare certi club musicali della fine degli anni ’80 e ’90, grazie anche a un ottimo sax che emerge in mezzo a suoni elettronici avvolgenti. “Nuvoleh, nuvolah” è l’ultimo mantra di questo bel disco; una canzone che profuma di Samanta con l’“h”, e cioè un’aggiunta che, come per magia, trasforma una semplice melodia in qualcosa di accattivante, che cattura perché si vuol capire dove andrà a parare questa amalgama di suoni melodici e differenti, che stanno molto bene insieme, e che andranno invece a esaurirsi proprio come sono nati.
Una sola battuta mia sia concessa su “Siam segreti d’estate”, brano che chiude questo lavoro. Al primo ascolto – ed è l’unico riferimento che mi permetto di fare – mi ha fatto pensare subito ai lavori di Edda e a quelli di Vinicio Capossela. Per quanto possa valere, Spotify ha confermato il mio sentire, mettendo in coda due brani proprio di questi cantautori. Al netto del gioco dei rimandi, questa è la terza canzone davvero molto interessante dell’album in questione; un brano ricco di suoni, con un bel ritornello, con inserimenti acidi, come colpi d’acciaio e suoni distorti.
Lo ripeto, senza alcuna paura, “analog:ca” è un bell’album che ci regala momenti classici, senza abusarne, con una sapiente ricerca sonora che lo rende così un disco non scontato, non manieristico e senza la voglia imposta di stupire. D’altronde, lo hanno insegnato anche gli U2 con “Achtung Baby”, non serve aggiungere, e tanto meno cercare di stupire, per fare buona musica. Certe volte basta solo guardarsi attorno, con voglia di vedere, sentire e far ascoltare qualcosa di nuovo, che prende spunto, senza restarne schiavi, dal passato. Un disco da far conoscere a chi ama ascoltare buona musica.
Articolo di Luca Cremonesi
Track list “analog:ca”
- Il mare dall’Intercity 611
- Alba 01424
- Cresce grande, doce lua
- Tekno Bibbia Metropolitana
- Nell’ora senza una gravità
- Fantasmi anni ’80 in viale Cappuccini
- Nuvoleh, nuvolah
- Siam segreti d’estate
Line up “Analog:ca”: Mirko Di Francescantonio voce, synth, sample, chitarra acustica, bass guitar, testi (eccetto “Alba 01424”, testi di Luca Di Francescantonio) / Fabio Pulcini chitarra elettrica, chitarra acustica / Mario Sboarina sax in “Fantasmi anni ’80 in viale Cappuccini” / Gabriella Danko viola e violino in “Tekno Bibbia Metropolitana”
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