Dopo l’ottimo primo disco “Anonymous” del 2024, LeBron Johnson, cantante funk-soul con radici nigeriane, torna in circolazione con il secondo album della sua carriera. “Strong Men Still Human” è uscito il 3 ottobre sulle piattaforme digitali, grazie alla label indipendente Bajun Records, ed è prodotto da Riccardo Rinaldi e arrangiato da Marco Cinelli, frontman dei The Cinelli Brothers, una delle band di punta della scena blues europea e internazionale.
Un disco che nasce dopo la crisi esistenziale di Johnson. Dopo molte date suonate live fra il 2024 e il 2025, il cantante ha confessato, in varie interviste, di essere stato vittima del vuoto che attanaglia molti artisti. L’occasione di ripresa è arrivata grazie a una foto che mostra uno schiavo afroamericano di schiena, con segni evidenti di torture. Quella è una fotografia del XIX secolo che ritraeva un uomo chiamato “Peter”, scattata in Louisiana dai fotografi William D. McPherson e J. Oliver. Peter era uno schiavo e subì violenze fisiche da parte del suo sorvegliante, Artayon Carrier. Ma quando ho visto questa immagine, non ho riconosciuto uno schiavo debole o il “povero Peter”, come veniva chiamato: ho visto invece un uomo forte, abbastanza coraggioso da mostrare al mondo le proprie cicatrici. In quella posa, con la schiena nuda e l’atteggiamento fiero, ho colto la bellezza della vulnerabilità. Ed è stato proprio quello lo stimolo di cui avevo bisogno per dare inizio al nostro nuovo album. Fin qui il racconto del cantante, parole utili però per entrare dentro a un disco di certo non innovativo nel suono, dato che si inserisce nel filone della musica Soul, Funk e Blues, il tutto ovviamente in varie commistioni di generi, ma che è capace di regalare 11 brani (10 con una intro d’unione musicale) per 35 minuti di vera buona musica inattuale.

O meglio, per chi ha macinato (come il sottoscritto) “Anonymous”, bello proprio perché gemma grezza, questo “Strong Men Still Human” è senza dubbio un lavoro che rimanda a un passato glorioso, ma è anche un disco maturo, compatto, coerente, dove il concept è chiaro dall’inizio alla fine. C’è la gioia del ringraziamento per quanto si è ottenuto in vita, e allo stesso tempo la confessione di paure e ansie di fallire, come racconta il brano di apertura, “Worries”, dove il giro di chitarra di Andrea Pititto fa capire subito che il mood funk avrà molta importanza in questo lavoro. Da qui in poi, il disco racconta la vita di un uomo che è fragile, consapevole dei suoi errori e difetti, ossatura del brano “The Price”, passando per la vulnerabilità di “Let Me Breathe”, brano con un buon inizio di chitarra distorta e un’ottima batteria martellante, con un cantato che mescola Hip-Hop e Blues. Il resto del disco, per evitare il track by track, tocca temi che mescolano, con sapienza, fragilità e coraggio, ansie e gioie, speranza e gratitudine, fino alla canzone d’amore che chiude il disco. “One In A Million” è un brano da radicale cambio di ritmo, dove il funk-soul ascoltato fin lì, lascia spazio alla preghiera, al canto solitario tipico di alcune zone dell’America profonda. Una canzone che, per cambio di ritmo, ricorda “Love Is Blindness” degli U2, in chiusura di “Achtung Baby”.
Tutta la band suona in modo molto rodato, segno che l’importante gavetta fatta in questi anni, che ha portato la band in giro per l’Italia e l’Europa, ha dato buoni frutti. Tutto suona molto compatto, con un ottimo Pititto alle chitarre, e una sezione ritmica davvero ben oliata. Un disco maturo, che merita attenzione per la freschezza con la quale rilegge e propone generi di certo inattuali, fuori moda ma che, proprio nel loro essere lontani dal circuito dominante, possono ancora raccontare molto del mondo e dell’umano. Così il coraggio e la fierezza di un uomo schiavo, capace di mettere a nudo la sua vulnerabilità, diventano il motore capace di dare energia a un artista che si guarda nel profondo e trova il linguaggio giusto per raccontare se stesso. Da questo punto di vista, pur se non si tratta del brano che meglio racconta il mood di questo disco, “April 16th” è significativa proprio per questa capacità che LeBron Johnson ha dimostrato di avere nel costruire questo disco. La voce, fuori dallo schema funky, dimostra ampie capacità di attraversare anche altri generi. Cosa che in futuro potrà di certo interessare il Nostro, artista completo oggi, grazie anche a questo buon secondo album.
In un mondo che ci ha abituato a secondi dischi che sono copie mal riuscite dei primi lavori, il progetto LeBron Johnson invece ci consegna un disco maturo, ricco di emozioni, al quale dedicare tempo per entrare in profondità nei contenuti proposti. Poi va detto, questa è, e resta comunque, una bella musica che fa muovere il corpo, fa battere il tempo mentre la si ascolta, e che avrà piena realizzazione nei concerti live. Un disco e un progetto, insomma, che consiglio di tenere in considerazione.
Articolo di Luca Cremonesi
Track list “Strong Men Still Human”
- Intro: Have Mercy
- Worries
- The Price
- Let Me Breathe
- What You Don’T See
- Pandemonium
- Way To Live
- Strong Men Still Cry
- April 16th
- Another Day
- One In A Million
Line up: Lebron Johnson voce / Andrea Pititto chitarre / Davide Medicina basso / Filippo Romano tastiere/organo / Alberto Pavesi batteria
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