Un album difficile da inquadrare, e proprio per questo un lavoro molto interessante. Si tratta del disco di Vittorio Nistri e Filippo Panichi, opera che porta, come titolo, il nome e il cognome dei due compositori ed esecutori, e che è stata pubblicata da Snowdonia il 1 novembre. Una sfida che la piccola casa discografica ha lanciato sul mercato, con tanto coraggio, ma non senza la consapevolezza dell’esistenza di un terreno dissodato da esperienze sonore che, carsiche e minoritarie, si muovono da tempo lungo lo Stivale.
Vittorio Nistri, attivo da anni nel campo del Rock sperimentale, e Filippo Panichi, chitarrista che opera anche nel mondo della performances e dell’improvvisazione radicale, sperimentano suoni, composizioni e strumenti, con tanto di invenzioni artigianali. Un lavoro figlio di anni difficili – così ci fanno sapere – che, però, a un ascolto attento, se non fosse per alcune atmosfere non di certo festaiole e modaiole, tutto appare, ma non triste. O meglio, per fare un esempio, “La risacca dell’alba”, rimanda al mondo sonoro di Vangelis, dei Pink Floyd dei tempi migliori, qualche sonorità degli ultimi Einstürzende Neubauten (pur se questo lavoro non è così radicale e tranchant), passando poi per le esperienze sonore dell’ultimo Gianni Maroccolo e IOSONOUNCANE. Tuttavia, dato che il gioco dei rimandi finirà qua, perché è pratica fastidiosa, e che denigra il lavoro di chi, come in questo caso, ha messo in campo tanto, va detto subito che i due musicisti, o meglio, i due produttori di suoni, qui si sono cimentati in un lavoro artigianale e manipolato, che travalica volontariamente generi e tradizioni.
Non aspettatevi un lavoro Rock sperimentale; tanto meno un disco di Elettronica; e ancor più un’opera che abusa dell’uso dei computer. Qui c’è tanta manualità, che passa dalla costruzione di aggeggi che producono strani suoni, fino a macchine sonore inventate, oltre torsioni e ritorsioni di strumenti e suoni, fino alla messa insieme di esperienze, suggestioni, rumori, generati da strumenti classici, fiati e archi; altri ancora prodotti a strumentazioni fatte a mano; fino ad arrivare all’inserimento di rumori e canti della natura.
Tuttavia non ci si deve aspettare un lavoro industrial, tanto meno suoni duri e spigolosi. Qui siamo in un ambito comunque noto, con l’uso sapiente della sovrapposizioni. Non si sottrae insomma, come insegna Tom Yorke, ma si aggiunge, si contamina, si innesta come un buon vignaiolo che cerca la nuova a formula per produrre un vino diverso. In questo caso la volontà era quella di andare oltre… Oltre i generi, pur senza abbandonarli del tutto, come succede in una delle tracce più interessanti del disco, e cioè “Maya Deren Blues”. Un Blues acido, meccanico, con un bel giro di chitarra che sorregge innesti di clarino alla Hitchcock, oltre ad un bel mix sonoro di campane tibetane, vibrafono ed esperienze sonore sotterranee. Un pezzo ricco, nel quale il suono baule – alla Proust, definito, non a torto, autore di frasi-baule, e cioè strutture dentro le quali si spingevano coordinate e termini, fino a che ce ne stavano… – funziona molto bene, sorretto da una base di genere ben definito.
In tutte le altre tracce il gioco riesce, e funziona, ma “Maya Deren Blues” resta la composizione dove tutto l’esperimento prende corpo in modo perfetto, e in ottimo equilibrio. Anche “Pipistrelli sul frigorifero”, brano che ci porta in atmosfere pop-dance, quanto meno nell’incipit, è un altro esempio di come questo magma sonoro funzioni, e possa stare insieme. In quest’ultimo caso ci sono sintetizzatori e piatti rovesciati, oltre a percussioni elettroniche, e a un’altra infinità di materiali e invenzioni, come accade però per tutti i brani. Per capirci, se nella traccia precedente eravamo in un mondo di facile accesso, figlio del Blues, i pipistrelli invece ci portano in un universo meccanico, che mi ricordano più le atmosfere dell’horror “Tetsuo”, capolavoro di Tsukamoto del 1989, che quelle del miglior Sakamoto.
Anche queste, però, sono la caratteristiche di un lavoro libero di spaziare con suoni e strumenti e, allo stesso tempo, con generi e suggestioni. “Segreti”, solo per citare un altro esempio – senza però eccedere nel traccia per traccia – è il brano più tradizionale, quanto meno nella prima parte, che ricorda la base di una possibile colonna sonora. Eppure, in questa bella composizione ricca di pianoforte, organo e sintetizzatori, non c’è mai la tranquillità che questi strumenti spesso sanno regalare all’ascoltatore.
Si tratta di un disco che è un viaggio, e la rotta è tracciata già dal principio, e cioè da quel “Il faro di Schrödinger”, con note alla Ligeti, che apre il disco, come anche la rotta per l’ascoltatore, che si deve però lasciar portare dove vogliono i due Deus ex machina. D’altronde, lo diceva già Battiato, citando Baudelaire, remixato da Sgalambro: Ti invito al viaggio / In quel paese che ti assomiglia tanto. / I soli languidi dei suoi cieli annebbiati / Hanno per il mio spirito l’incanto / Dei tuoi occhi, quando brillano offuscati. / Laggiù tutto è ordine e bellezza, / Calma e voluttà.
Più che dolore e sofferenza, dimensioni che hanno accompagnato gli autori di questo lavoro, il risultato finale mostra invece una voglia di riemergere da un caos che senza dubbio ha soffocato l’esistenza. Ecco, allora, che la ricerca smodata di pienezza di suoni, rumori e strumenti, ha questo valore. Allo stesso tempo, la proposta musicale di Nistri e Panichi è un magma creativo che, pur se troppo pieno in alcuni passaggi – “Sherrif in Tiraspol” e “La costante elastica” – lascia comunque ampi spazi all’emergere di pensieri positivi. Il caso più interessante, oltre alle già citate tracce “Maya Deren Blues” e “Pipistrelli sul frigorifero”, è “Giulietta sotto spirito”, composizione dove una struttura c’è, ma ben decostruita, senza però eccedere nella sua scomposizione.
Insomma, questo è un disco che dimostra di essere un buon ombrello per difendersi dal caos, e dal qualunquismo musicale imperante. Il risultato finale è un ottimo album, coraggioso, non del tutto disturbante, perché sotto quell’abbondanza c’è una vita – musicale e di pensiero – che pulsa, e che vuole emergere, per farsi scovare.
Articolo di Luca Cremonesi
Track list “Vittorio Nistri – Filippo Panichi”
- Il faro di Schrödinger
- La risacca dell’alba
- Maya Deren Blues
- Pipistrelli sul frigorifero
- Segreti
- Sheriff in Tiraspol
- La costante elastica
- Giulietta sotto spirito
- Prove tecniche di solitudine
Line up: Vittorio Nistri chitarre, tastiere, synth, vibrafono / Filippo Panichi chitarre, synth, electronics / Silvia Bolognesi contrabbasso / Enrico Gabrieli clarinetto e sax / Pietro Horvath violoncello / Edoardo Baldini trombone
Vittorio Nistri e Filippo Panichi online:
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