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Charlie Risso intervista

Il nuovo lavoro si muove su linee maggiormente interiori e ostili, spostando l’ago della bilancia su un Dream Pop

L’ascolto di “Tornado”, ultimo lavoro di Charlie Risso (qui la nostra recensione) ci ha regalato nuove emozioni. Rispetto all’Indie Folk con cui ci aveva già deliziati, il nuovo lavoro si muove su linee maggiormente interiori e ostili, spostando l’ago della bilancia su un Dream Pop dalle venature elettroniche che rende la proposta molto attuale. Ne abbiamo parlato con la giovane artista.

Charlie, ci parli della genesi di “Tornado”? Si è trattato di un processo graduale, una canzone per volta ispirata da momenti diversi?

Tornado è nato in un momento della mia vita in cui sentivo di dover cambiare alcune cose fondamentali sia nella mia vita privata che nel mio processo creativo. Le otto tracce del disco mi hanno accompagnata durante tutto questo processo avvenuto in pochi mesi. La prima canzone del disco che ho scritto è stata proprio la title track “Tornado”. La sferzata energetica che il brano rappresenta mi ha indotto a proseguire il mio viaggio personale attraverso la stesura del disco.

Oppure c’è stato un “tornado” emotivo specifico che è stato il catalizzatore principale? Se dovessi scegliere solo un brano da “Tornado”, quale sceglieresti, e perché?

Penso di aver in qualche modo già risposto alla prima domanda mentre per quanto riguarda il pezzo che sceglierei…direi “Nothing at All” perché, a differenza degli altri brani, ho scritto questa canzone iniziando dal testo e successivamente ho pensato alla melodia sia del cantato che del brano. E mi piace l’idea che si apra in A e si chiuda in A.

Per il tuo terzo singolo hai scelto il brano più elettronico dell’album, accompagnandolo con un video importante, ispirato dal cult movie “Lost in Translation”. Sono le sonorità fredde quelle giuste per raccontare un tema sensibile, quello dello sfinimento interiore che portano le difficoltà di coppia?

Confesso che in origine “We’re Even” nasceva voce e chitarra. Non avevo fatto un grande lavoro di pre-produzione in questo caso. Per l’arrangiamento e la sonorità del pezzo il merito va riconosciuto interamente dunque al mio bravissimo produttore Mattia Cominotto che ha saputo bilanciare al meglio le sonorità algide alla “stranger things” in modo che ben rappresentassero quel distacco emotivo che accade quando le incomprensioni e i problemi diventano davvero insormontabili.

Le copertine di “Ruins Of Memories” e “Tornado” sono entrambe molto efficaci, d’impatto, e soprattutto riescono a racchiudere bene l’essenza dei rispettivi album. Ci parli della genesi di entrambi gli artwork, e del momento in cui hai capito che quella precisa immagine sarebbe stata perfetta?

Sono felice innanzitutto degli apprezzamenti e mi fa piacere essere riuscita a comunicare al meglio attraverso le immagini di entrambe le copertine gli stati d’animo dei rispettivi dischi.
Per Ruins of Memories è stato amore a prima vista. Mi trovavo in viaggio negli Stati Uniti e più precisamente alle porte della cittadina dì Woodstock, quando notai questa struttura abbandonata e malandata. Cominciai a fotografarla con il cellulare e solo dopo pochi istanti mi raggiunse un ragazzo dicendomi che si trattava di un vecchio hotel ormai in disuso e mi diede la cartolina pubblicitaria che lo ritraeva in tutto il suo splendore dell’epoca. Capii in quel momento che quella vecchia costruzione sarebbe stata la copertina del mio primo disco “Ruins of Memories” appunto, trattandosi per lo più di un disco la cui title track racconta di vecchi fasti del passato familiare ormai decaduti.

Per quanto riguarda Tornado la scelta ricadde quasi immediatamente sull’artista Jemma Powell, moglie di Jack Savoretti. La conobbi un paio di anni fa a Londra in occasione di una sua personale e mi innamorai immediatamente dei suoi lavori, tanto che le commissionai un dipinto ritraente la costa della Cornovaglia in inverno. Quando venne il momento di pensare alla copertina del mio nuovo disco la scelta fu istantanea. Ne parlammo, le inviai i brani del disco e lei ritornò da me dopo pochi giorni con tre o quattro bozze di alternative diverse tra loro.

La copertina del disco “Tornado” necessitava a mio giudizio di toni più freddi che meglio rappresentassero il mood e le sonorità dei brani in esso contenuti, un lavoro diverso rispetto alla copertina di “Ruins of Memories”. Fu anche per questo che tra le quattro bozze scelsi questa favolosa tempesta immersa nel blu dipinto di blu che, per confessione di Jemma stessa, ha rappresentato anche per lei una fase tormentata della sua vita d’artista.

Ogni tanto sui social fai intime performance delle tue canzoni o rivisitazioni acustiche di cover. Senz’altro è un bel regalo per chi ti segue, soprattutto in rapporto al periodo che stiamo vivendo. Quanta importanza dai al ruolo dei social? Credi che una gestione oculata del mezzo possa fare la differenza per il successo di un artista?

Penso che i social siano un buon mezzo di comunicazione e che specialmente in questo periodo di pandemia abbiano consentito di relazionarsi con persone e artisti di diverse nazionalità. Personalmente posso dire che attraverso i social mi sono capitate delle belle opportunità lavorative legate per lo più a collaborazioni con altre band e diverse realtà musicali e Instagram in particolare è stato per me uno strumento utile per mantenere vivi i miei contatti internazionali.

Nonostante questa nuova ondata pandemica, è in programma un tour di supporto all’ultimo disco? Quanto ti manca il mondo-live, le date, il contatto col pubblico?

Moltissimo, ci si sente tutti un po’ arrugginiti ma garantisco che la voglia di ripartire è tale che con i ragazzi della band stiamo lavorando, già da diversi mesi, al live che ci auguriamo possa riportarci presto in giro per l’Italia e mi auguro anche all’estero. Quindi dita incrociate e a presto!

Articolo di Simone Ignagni

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