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Daniele Nick intervista

Il cantautore ha da poco pubblicato il suo nuovo singolo “Mediocrità”

Stilisticamente legato al Rock italiano, Daniele Nick è uno sperimentatore di idee e generi. Nei suoi brani il cantautore compie un percorso introspettivo alla ricerca della verità e della giustizia, lasciando trasparire una marcata insofferenza nei confronti della società moderna a cui si sente estraneo. Daniele parla della sensibilità e della trasparenza come caratteristiche che portano inevitabilmente all’emarginazione, attraverso testi provocatori che esaltano il “diverso” e cercano risposte. Il 3 giugno è uscito il suo nuovo singolo “Mediocrità”, una critica aperta verso coloro che esprimono giudizi affrettati basati esclusivamente sull’apparenza.

Daniele com’è iniziato il tuo amore per la musica? C’è stato un disco o un concerto in particolare che ti hanno fatto avvicinare a questo mondo? Raccontaci un po’ la tua storia.

Fortunatamente la passione per la musica l’ho avuta fin da piccolo. I miei genitori mi portarono al concerto di Ligabue allo Stadio Olimpico quando avevo solo due anni! Ricordo che avevo una chitarrina giocattolo e durante il concerto fingevo di suonare mentre cercavo di cantare i suoi pezzi. Con il passare degli anni sono stato fortunato perché ho avuto modo di coltivare questa passione. Ho iniziato a prendere lezioni di chitarra, per poi passare alla batteria e alle percussioni. Sono stato anche in due band: nella prima facevo il chitarrista solista, mentre nella seconda facevo il batterista. Sfortunatamente, o fortunatamente, queste due esperienze non sono andate bene e dal 2017 ho iniziato questo progetto per conto mio. Non mi aspettavo che sarei riuscito a comporre tutto da solo. Sono rimasto stupito io stesso, ma devo dire che è tutto merito della musica.

In genere, la batteria e la chitarra non sono due strumenti che si studiano contemporaneamente. Hai fatto un percorso particolare sotto questo punto di vista…

Devi sapere che il mio Dio è Dave Grohl, quindi ti ho già detto tutto! Mi sono sempre ispirato a lui, soprattutto nei miei singoli da quanto ho iniziato questo progetto. I Foo Fighters mi hanno ispirato la sonorità di tanti brani.  Ho iniziato con la chitarra perché è il primo strumento a cui solitamente si pensa. Solo nel momento in cui ho iniziato a studiare anche la batteria e le percussioni ho capito che il mio strumento portante sarebbe stata proprio la batteria.

Anche per comporre? O in quel caso prediligi la chitarra?

Nel momento in cui scrivo, nella maggior parte dei casi, preferisco andare su piano-voce, chitarra-voce o basso-voce. Però molte volte mi è capitato di pensare a un groove di batteria e di montare tutto il resto su quello.

Come ci dicevi, nel 2017 hai iniziato a concretizzare le tue idee e inclinazioni. Non è facile per un musicista giovane avere subito le idee chiare per esprimere la propria voce e la propria musica, soprattutto in un mondo musicale come quello odierno. È un ambiente soggiogato dall’esigenza dello streaming e la creatività di un musicista viene molto spesso penalizzata. Cosa ne pensi?

Condivido in pieno quello che dici. Io sono stato fortunato nonostante le batoste che ho preso nella vita. Quando ho iniziato a scrivere per conto mio ho sentito proprio l’esigenza di dire le cose come stavano. In tutti i singoli che sono usciti fino adesso ci sono tematiche considerate scomode. Mi piace andare controcorrente rispetto alle logiche di mercato. Faccio sempre questa battuta: se arriverò al punto in cui dovrò iniziare a tirare fuori hit estive per le radio, allora smetterò di fare musica. Non avrebbe più senso per me. Non mi interessa il discorso della fama e dei soldi. Mi interessa fare le cose fatte bene. Capisco che questo può portare ad avere meno ascoltatori, perché il mio genere e i miei testi sono più di nicchia, diciamo. Ma va benissimo così, per me l’importante è che il pezzo e il suo significato arrivino alle persone giuste, a quelle che hanno vissuto un po’ quello che ho vissuto anch’io.

È vero, anche i testi sono importantissimi nei tuoi pezzi. La tua voce si sente forte e chiara non solo dal punto di vista musicale, ma anche per il messaggio che trasmetti.

Sì esatto. Quando ero nelle band ho provato a proporre qualche testo o qualcosa di più specifico, di più mio. Spesso però non sono stato preso in considerazione o sono stato sminuito. Per questo dicevo che mi sono stupito di essere riuscito a fare tutto da solo. In questo progetto finalmente sono riuscito a trovare me stesso e a esprimere quello che per me è davvero importante.

Quando componi parti dal testo o dalla musica di solito?

Da entrambi, mi sono sempre basato su entrambi gli aspetti per comporre.

Dopo, invece, come registri il pezzo? Lo fai da solo al computer o in uno studio?

Già da quando stavo con le due band sono sempre andato a registrare in studio. Nel momento in cui ho iniziato questo progetto, quindi, ho fatto degli investimenti e ho cercato di procurarmi delle macchine analogiche il più simili possibili a quelle dello studio di registrazione. Per me lo studio è sempre stato fondamentale. In genere, parto con un provino in camera che abbia già l’idea del sound che deve avere il pezzo finale. Poi i singoli li riverso su nastro, come veniva fatto negli anni ’80. Sul pezzo finale si sente proprio la grana sonora delle macchine analogiche e della macchina a nastro. Mi piace fare tutto come veniva fatto prima. Ovviamente, in questo modo, le tempistiche di produzione sono diverse, oggigiorno si fa tutto molto più velocemente e tutto al computer. Da un punto di vista tecnico e di qualità però, registrare in analogico è tutta un’altra storia e la differenza si percepisce. Le più grandi band, come i Pink Floyd e i Led Zeppelin per esempio, hanno sempre registrato a nastro e continuano a farlo tutt’ora.

I tuoi idoli sono i Foo Fighters e Dave Grohl, però in realtà sei partito dal Rock italiano e fai Rock italiano. Ci sono artisti nostrani che ti hanno ispirato? E cosa pensi del Rock italiano di oggi rispetto a quello degli anni ’80?

Come dicevo, io sono cresciuto con Ligabue, però ho ascoltato un po’ tutti i pilastri del Rock italiano. Vasco e i Negrita soprattutto. Continuo ancora oggi ad ascoltare band italiane che hanno fatto la storia e che sono rimaste coerenti con loro stesse negli anni, facendo sempre Rock fatto bene. Per quanto riguarda il Rock italiano oggi e su tutto il discorso dei Måneskin penso che, a livello tecnico, sappiano fare il loro. Sanno stare bene sul palco e sanno suonare bene. Il punto è che, in realtà, i Måneskin fanno molto più Pop-Rock che Rock. Per il resto, devo dire che li stimo moltissimo e li reputo molto bravi in quello che fanno. Preferirei si concentrassero di più sul fare musica fatta bene piuttosto che sulle questioni di immagine.

Uno dei problemi del panorama musicale italiano oggi è che ti impone di dover passare per forza dalla televisione e dai talent. All’inizio del mio progetto ho avuto una breve fase in cui ho fatto più Pop-Rock sperimentale anziché totalmente Rock. Non avevo ancora le idee chiarissime. In quel periodo anch’io sono stato contattato per fare uno di questi talent. Io ovviamente dissi subito di no. È tutta una questione di immagine, la loro. Prima deve venire sempre l’immagine, solo dopo la musica. Non è qualcosa che fa per me. Non so se riuscirò a farcela, se emergerò poco, tanto o quanto tempo ci vorrà, ma a me piace fare le cose fatte bene. Quello che voglio portare avanti è la musica, voglio che sia fatta al top e secondo la mia anima.

Nel 2019 hai riunito tutti i tuoi singoli in due raccolte intitolate “Blu” e “Rosso”, una per l’amore e una per l’odio, per poi continuare fino all’ultimo singolo, “Mediocrità”. Pensi di raggruppare tutti gli altri singoli fatti finora in un’altra raccolta?

Ci hai preso in pieno. Infatti, tra ottobre e novembre uscirà una terza raccolta contenente i 25 singoli passati, più una bonus track inedita!

Articolo di Francesca Cecconi

Foto di Lisa Schiavoni

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