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Freddy And The Phantoms intervista

C’è tanta qualità nel loro ultimo album a partire dalla performance strumentale e vocale, e il lavoro di tastiere è monumentale

Freddy And The Phantoms

Freddy And The Phantoms, una delle migliori band hard rock europee in circolazione, sono giunti al loro quinto album “A Universe From Nothing” (qui la nostra recensione)”, uscito a fine aprile 2020. Una miscela energetica di Rock senza fronzoli, dove l’energia live trapela da ogni solco, grazie anche alla registrazione in presa diretta delle basi. C’è tanta qualità in quest’album a partire dalla performance strumentale e vocale, e il lavoro di tastiere è monumentale. Dopo la recensione dell’album, e averli visti live grazie allo streaming del Nordic Noise Festival lo scorso 9 maggio, abbiamo approfondito la conoscenza della band e della loro musica  con Frederick “Freddy” Schnoor, voce e chitarra (grazie alle videochiamate!).

Il vostro ultimo album altre a un songwriting eccellente, suona bene come mai prima. Pensate che il fatto si registrare le basi in presa diretta abbia fatto la differenza in questo caso?

La nostra dimensione migliore è quella live, noi viviamo per il palco! Abbiamo dunque cercato di trasferire l’energia dei concerti nel nostro lavoro in studio. Abbiamo cercato con cura lo studio giusto dove registrare l’album, per non farlo in modo ormai tradizionale. Abbiamo questo amico a Copenhagen, Søren Andersen, che ha un bellissimo studio equipaggiato per fronteggiare diverse richieste, e la scelta è stata quasi ovvia. È stata una soluzione perfetta, anche per stare insieme, a fare le cose che ci piacciono, a modo nostro; questo studio è un luogo dove ci sono ottime vibrazioni ed è un ambiente piacevole, pieno di strumenti e una fantastica console.

Abbiamo dunque registrato le basi live, e poi aggiunto qualche overdub, ma credo che si percepisca l’essenza della nostra musica, la magia di quando suoniamo insieme, l’energia dei concerti, anche se i brani risultano più brevi che dal vivo, dove tendiamo a estenderli con jam anche improvvisate. Il produttore dell’album è Ken Rock, che ci allargato gli orizzonti insegnandoci trucchetti e suggerendoci soluzioni.

Freddy And The Phantoms

Avete avuto anche un quinto membro in formazione per alcuni anni, ma dal 2017 siete tornati in quattro, pensate che sia la line up migliore? Tu Freddy ricopri un doppio ruolo e sappiamo che dal vivo questo comporta un impegno notevole.

Pensiamo proprio di tenere questa formazione a quattro, abbiamo più spazio per la strumentazione sul palco, e più intesa tra noi. Sì, è faticoso suonare e cantare insieme, essere il frontman, ma abbiamo ormai così tanti anni di esperienza alle spalle, suono insieme al batterista da 15 anni, al bassista da 10 e al tastierista da 7, è tutto molto facile, ci “sentiamo” e intendiamo con uno sguardo veloce, e ci divertiamo molto!

L’uso massiccio che fate delle tastiere riporta alle classiche rock band degli anni ’70, e nell’ultimo album sono ancora di più un tratto distintivo del vostro sound. Lo ritenete un elemento imprescindibile del vostro suono attuale?

Io e Ander ci conosciamo così bene musicalmente che tutto avviene fluidamente, sia nella composizione dei pezzi che nella loro esecuzione live. Le tastiere sono secondo noi un tratto distintivo dell’Hard Rock, non dovrebbero stare sul fondo del palco, ma avere la stessa dignità delle chitarre e della batteria. Penso che le grandi armonie delle chitarre, che dialogano tra loro, tra i più grandi esempi posso citare Thin Lizzy e Iron Maiden, possano essere replicate anche da chitarra e tastiera, come ci hanno insegnato i Deep Purple. Ci piacciono gli assoli di questi strumenti, ma ancora di più il dialogo che possono intrecciare. Quando scrivo i pezzi, penso alla melodia di base e al testo, poi li porto in sala prove e ci facciamo delle jam, suoniamo tutti insieme, fino a trovare la forma finale.

Freddy And The Phantoms

Nel vostro Rock c’è tanto Blues secondo me… E i testi delle canzoni sono molto curati, e molto impegnati; dove trovi l’ispirazione?

Certo che c’è Blues! Il Rock viene di lì, se ci pensi nei Led Zeppelin e nei Black Sabbath c’è tanto Blues, ci sono radici che vanno indietro agli anni ’40 e ’50. Per i testi parto dal mio background e dalla mia formazione accademica, ho studiato letteratura (fiction e scientifica) e filosofia, soprattutto europea, e lì trovo talmente tanti stimoli. Prima scrivo il titolo del pezzo, poi mi tuffo nell’atmosfera e scrivo il testo. Nel Rock solitamente si fa il contrario, prima si butta giù la melodia e poi ci si pigiano dentro le parole. I testi forti secondo me devono venire prima.

Ovviamente dopo che abbiamo raffinato la struttura del pezzo, mettendo a punto tutte le parti, il testo va a volte aggiustato un po’, ma non nel significato. M’interessano temi quali il destino del nostro pianeta, cosa possiamo fare per preservarlo, per fronteggiare le crisi climatiche e ambientali, e poi le dinamiche dei movimenti di persone. La mia è comunque una visione costruttiva, che vuole scuotere le menti, non necessariamente pessimista.

In “A Universe From Nothing” canto dello scopo dell’Universo, di cosa ci aspetta (“A Universe From Nothing”), dei falsi profeti che usano le persone e manipolano la nostra vita (River Of Hate), della questione femminista e dei suoi risvolti attuali in Occidente (“Lilith’s Nightmare”), della consapevolezza che se non amiamo il prossimo e il pianeta, non lasceremo persone capaci di amare (“Bermuda Blues”).

Infine, la domanda classica di Rock Nation: quali sono i tre dischi che porteresti con te su un’isola deserta?

Difficile portarne solo tre! Comunque penso che porterei l’album di debutto di Bob Dylan, “Machine Head” dei Deep Purple e “Paranoid” dei Black Sabbath.

Bob Dylan ti ha influenzato come autore di testi?

Moltissimo, credo che lui sia stato il più acuto osservatore delle dinamiche della sua generazione, e ha usato la sua immaginazione per tradurre la realtà in storie vivide.

Articolo di Francesca Cecconi

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