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Giulio Wilson / Inti-Illimani intervista

In tour per presentare dal vivo il disco di inediti “Agua”

In attesa dell’inizio del concerto fiorentino il 22 maggio, incontro Giulio Wilson nei camerini, tra un via vai di musicisti che altro non sono che gli 11 membri degli Inti-Illimani, con i quali presenta dal vivo il disco di inediti “Agua”, realizzato lungo la rotta Firenze-Santiago.

Un full lenght e un nuovo tour con Inti-Illimani: Giulio dicci tutto di questa collaborazione davvero consolidata, non solo su disco ma anche dal vivo…

L’”Agua World Tour” è iniziato a Bruxelles, sta proseguendo in Italia, dal Nord al Sud, e di seguito di nuovo Europa con date a Madrid, Barcellona, Ginevra. Poi ci fermeremo per riposare un pochino, visto che le date sono tutte ravvicinate. Gli Inti-Illimani porteranno poi questo tour del nuovo disco in Perù, io per esigenze di viticoltore ho bisogno di tornare in azienda agricola (sennò quest’anno niente vino!), ma li raggiungerò in America latina per fare Cile, Colombia, Argentina, davvero un tour lungo. Io ne sono entusiasta, sto cavalcando un cavallo che galoppa, questo disco è frutto della mia scrittura, ma loro se lo sentono proprio. I”Agua” è stato provato e registrato a Santiago del Cile, lavorando insieme ci siamo contaminati, loro hanno cantato in italiano, io in castigliano, ho portato delle sonorità che gli Inti-Illimani non usavano come la chitarra elettrica e il pianoforte, mentre loro hanno usato strumenti più tipici come il charango, il tiple, la zampogna, ovvero quello che noi chiamiamo il flauto di Pan. Ci siamo davvero mescolati, senza che nessuno tirasse acqua al proprio mulino, non è stato un lavoro individualista ma le singolarità hanno creato il progetto, con rispetto, non una somma di idee ma una fusione, dove ognuno mantiene la propria caratteristica. Le voci si fondono bene, gli strumenti si integrano, ma com’è naturale che siano quando i progetti nascono in modo spontaneo, per una reciproca stima artistica, non calati dall’alto per esigenze discografiche. Ci siamo presi una casa, l’abbiamo trasformata in studio, abbiamo registrato le voci in una camera da letto, abbiamo rivisto tutto insieme, per esempio pensando e ripensando ai testi. Il disco non è quindi la somma delle registrazioni sulle piste, così lo potevamo anche registrare a distanza con i mezzi odierni; lo abbiamo concepito e realizzato insieme, e questo si sente, è un lavoro di cuore, non solo di testa, di condivisione umana.

Il progetto è l’evoluzione del singolo “Vale la pena” e del mini tour del 2022 (la nostra recensione) che lo aveva seguito, dove dividevate il palco da co-headliner?

Assolutamente sì, “Vale la pena” ci aveva lasciato subito la voglia di proseguire a fare cose insieme, per “Agua” l’abbiamo ri-arrangiata, gli Inti-Illimani la cantano in castigliano e la fanno più loro, non solo in accompagnamento a me, infatti ormai gli viene richiesta anche dal vivo nei loro tour. Io dopo sono andato a Santiago del Cile con un “grappolone” di canzoni, lo abbiamo “schiccolato” e poi “ammostato” insieme, lasciato fermentare, e ora ce lo beviamo. Spero che sia un disco come un buon vino rosso, che con l’invecchiamento possa ancora essere gustoso.

Noi stasera ce lo beviamo! Quali pezzi ci sono nella scaletta del tour?

Il concerto è concepito per farci stare insieme sul palco; io canto anche le loro canzoni, ho imparato anche alcuni brani in quechua, la lingua dei nativi cileni, e qualche canzone mia, qualche canzone del disco. Poi loro hanno eredità musicale così importante che è giusto abbiamo il loro spazio, io esco dalla scena per le loro canzoni celebri.

Gli Inti-Illimani sono noti da noi per i loro temi sociali storici, anche i testi di “Agua” sono impegnati ma molto attuali, ambientalisti.

Gli Inti-Illimani nel nostro paese sono stati catalogati come il gruppo dei movimenti, dei militanti, ma è stato un fenomeno prettamente locale, perché sono venuti alla ribalta da noi in un momento storico in cui la politica faceva davvero parte della vita sociale di tutti, loro erano esiliati qui per via del golpe, quindi sono stati cullati dalla sinistra, li hanno fatti suonare alle feste dell’Unità… Ma loro si sono trovati un po’ in mezzo a questo fenomeno, non l’hanno voluto o cercato. Questa visione austera della loro musica ce l’abbiamo soltanto in Italia. Loro sono principalmente musicisti, un ensemble di 11 teste che la pensano pure diversamente tra di loro! Gli Inti-Illimani sono dunque anche musicisti disimpegnati, gli italiani non l’hanno capito, per esempio oltre a “El Pueblo Unido” ti suonano anche “Buonanotte fiorellino” di De Gregori. Detto questo, hanno e ho una forte sensibilità per il mondo che ci circonda, quindi abbiamo ritenuto opportuno focalizzare i testi sulla salvaguardia dell’ambiente, denominatore comune sul quale girano tutte le canzoni.

Spero che non solo il disco ma anche il tour facciano passare il messaggio che gli Inti-Illimani non sono solo “El Pueblo Unido”, canzone che qui devono fare dal vivo anche se preferirebbero di no, ma un gruppo di musicisti che ha gioia di suonare, anche insieme ad altri artisti. Non vogliamo fare la rivoluzione, vogliamo però certamente passare dei messaggi di consapevolezza e di azione.

“Agua” è un disco suonato …

Esatto, non c’è elettronica, niente di niente, sul disco come sul palco. L’unica eccezione è una chitarra elettrica, che però è il mio mondo, che si è fusa bene nell’insieme. Un disco quindi alla vecchia maniera, suonato veramente, penso sia lungimirante, senza tempo.

Dopo questa esperienza ci possiamo aspettare un tuo nuovo disco di storie?

Ci pensavo proprio in questi giorni. Questa esperienza mi mette un po’ in crisi perché queste sonorità latine mi stanno piacendo, ho scoperto una parte artistica nuova che restando in studio non avrei osato, per esempio l’uso del charango. Non so cosa farò, non ho fretta. Il mio ultimo disco solista si chiamava “Storie vere tra alberi e gatti” (la nostra recensione), mi piacerebbe continuare il filone delle piccole storie vere, prendo tanti appunti su foglietti sulle cose che osservo nella vita di tutti i giorni, perché mi sento un cantastorie…

Articolo e foto di Francesca Cecconi

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