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L.E.D. intervista

Finalmente live per promuovere il loro ultimo lavoro “Sonic Bondage”

L.E.D.

Abbiamo incontrato i L.E.D. al Capanno Blackout di Prato, prima della loro esibizione live del 28 maggio 2022. Max Tordini (già voce dei Miura e Mesas) e Marco Mangone (chitarra dei La Nuit) iniziano a collaborare dì nel 2015, incidendo nel 2017 il primo EP dal titolo “L’irriverente”; nel 2018 è l’ingresso nella band di Yuri Melis a offrire un taglio elettronico alla band che si sviluppa con l’uscita nel 2019 dell’album “Everest”. Nel 2021 i L.E.D. entrano nel scuderia della Accannone Records, sotto la guida di Max Martulli (tour manager di artisti del calibro di Negrita, Levante, Afterhours, Vasco Brondi) e con la sua produzione incidono il terzo album della band “Sonic Bondage”.

Per un assaggio della loro musica, qui videoclip del singolo “Pecora” estratto da “Sonic Bondage”

Raccontateci qualcosa di voi, la vostra dimensione musicale …

Max Tordini: nasciamo nel 2015, per uno stop delle realtà musicali in cui ruotavamo io e Marco. Io mi ero fermato con i Miura e avevo bisogno di creare una nuova dimensione lontana dalla classica rock band intesa come basso/chitarra/batteria/voce. Questa era la direzione che mi ero inteso di prendere. Insieme a Marco nel 2015 abbiamo iniziato a lavorare a questo nuovo progetto registrando il primo EP, risultato molto scarno e spigoloso, ma che aveva una dimensione abbastanza precisa anche se molto lontano dall’idea di rock band così come era stata per me fino a qualche tempo prima. Quindi esce “L’irriverente”, con produzione di Fabio Capalbio e Francesco Capasso. Dopo questo primo EP iniziamo a mettere mano a “Everest”, grazie anche alla forza elettronica data dall’ingresso nella band di Yuri, che ci ha aiutato a sviluppare il nostro sound con una direzione completamente diversa da quella che era racchiusa nel primo lavoro. Da quel momento abbiamo iniziato a scrivere come un trio che fa principalmente musica rock/elettronica. Abbiamo deciso di non includere mai una sezione ritmica, perché tutte le parti ritmiche sono state create elettronicamente da Yuri. Questa cosa la portiamo avanti con forza e ci piace così.

Da dove venite, sia fisicamente che in termini strettamente musicali?

Yuri Melis: siamo cresciuti sia fisicamente che musicalmente nella zona tra Vigevano e Pavia; musicalmente io sono cresciuto in un gruppo punk/rock, suonando il basso, poi mi sono mosso verso l’elettronica facendo il DJ e come produttore musicale, sempre di musica elettronica. Con i L.E.D. ho deciso di fondere i due ambiti, quindi post rock col basso e aggiungendo i synth. Ho unito i due mondi.

Marco Mangone: io vengo da un mondo lontano…

Sei un marziano?

Marco: si, sono anche marziano. Vengo dal Punk Rock, legato ai suoni di inizio anni ’90, passando al Grunge e trovando una passione profonda nel Dark, esempio su tutti i Cure, per poi arrivare nell’ultimo periodo al Post Rock, un pochino più moderno ma che ha comunque delle influenze dark. Come stava dicendo Yuri la parte elettronica che ha inserito, le sezioni ritmiche elettroniche, hanno fatto sì che questo ambiente post rock, dark, si trasformasse in una versione anche già sperimentata da altri gruppi, ma che ugualmente ci ha appassionati molto e quindi i due lavori successivi al primo si sono spostati molto in quella direzione.

Max, manca la tua origine marziana…

Max: ecco anche la mia origine poco terrena. Come ho detto io vengo da un gruppo che si chiamava Miura, dove era presente la parte ritmica dei Timoria, quindi Diego Galeri e Illorca (Carlo Alberto Pellegrini, n.d.r.) mentre io ero voce e chitarra. Abbiamo fatto due dischi, ma dopo il secondo le forze erano venute meno e abbiamo deciso di fermarci. Il mio mondo è sempre stato quello del Rock italiano, con influenze legate oltre confine. Le mie passioni spaziano anche su generi fuori dal nostro contesto, perché la musica ti dà sempre qualcosa. Sicuramente il Post Rock ci accomuna molto, con le sonorità degli anni ‘90, degli anni ‘80. Arrivano dai Joy Division e da gruppi di quello spessore e ritornano sicuramente in quel che facciamo. È chiaro che siamo nel 2022 e il salto è molto lungo, però in alcune cose ci riteniamo conservatori, alla ricerca di cose che si sentono poco nella contemporaneità del momento.

Un disco che è stato fondamentale nella vostra crescita musicale?

Max: io ci devo pensare …
Yuri: crescita musicale, quindi abbastanza definito…
Marco: io ce l’ho: “In Utero” dei Nirvana!
Max: allora, io ti posso dire il primo disco che ho comprato, che è stato il doppio live degli Iron Maiden “Afterh Death”. Per me quello è stato l’inizio di tutto.
Yuri: allora io gli frego “Master of Puppets” dei Metallica. Andai al concerto del ventesimo anniversario con mio fratello, ero piccolo e fu un’avventura fantastica.

Quindi, dicevamo, tre EP all’attivo: il primo del 2017, “L’irriverente”, a dicembre 2019 esce invece “Everest” quando a febbraio si chiude tutto … A settembre 2021 esce invece l’ultimo lavoro “Sonic Bondage”. Da cosa è nato?

Max: “Sonic Bondage” è nato dal silenzio, dal problema che c’è stato. È nato da momenti cupi, da momenti di riflessione, momenti dove il mondo ha preso una direzione che mai nessuno si sarebbe aspettata, che poi è una costante di questi tempi. Finisce una cosa e ne comincia un’altra. Quindi, come tutte le canzoni, nasce da sensazioni che senti il bisogno di esprimere in alcuni momenti. È nato in un momento in cui tutto quanto si era fermato ed era diventato scuro e irriconoscibile. Io abitavo a pochi chilometri da Codogno, e tutti i giorni, tutto il giorno, sentivo queste ambulanze che andavano avanti e indietro.

La nostra fortuna è stata in realtà di avere avuto la possibilità di registrarlo, questo disco, nel mentre tutto si era fermato. Quindi è stato la nostra valvola di sfogo e abbiamo trovato una porta aperta in mezzo a tante porte chiuse che ci ha aiutato a dar vita a un progetto che avevamo in testa e a un disco che comunque per me è un bel disco. Un bel disco per i testi, un bel disco per le sonorità, perché comunque lo abbiamo anche lavorato a distanza.

Yuri: o ero anche lontano, perché vivo a Varese, quindi gli facevo delle parti, le inviavo a loro, poi loro andavano in studio e registravano. Abbiamo fatto tutto in smart working, adattandoci alla temporalità che c’è stata durante il Covid. Il lavoro lo abbiamo fatto con Max Martulli, che ci ha prodotto il disco, che ci ha aiutato a continuare il lavoro di “Everest”, anche se in quel EP le sonorità erano molto crude. Invece in “Sonic Bondage” grazie a Martulli siamo riusciti a tradurre il nostro linguaggio, rendendolo anche un po’ più fruibile a tutti. Mantenendo sempre la nostra linea, continuando a essere fedeli a noi stessi, sempre.

Bene, mi avete bruciato la domanda su Max Martulli!

Marco: possiamo aggiungere qualcosa su Max, comunque. È una persona che ha avuto e sta avendo molta esperienza come tour manager, quindi è abituato alle produzioni fatte in un certo modo e ci ha aiutati moltissimo, perché pur avendo tutti noi già fatto produzioni con altri produttori con lui si è creata quell’empatia che in quel momento li era necessaria e che è andata anche aldilà della produzione stessa e ha aiutato a far nascere tutto più spontaneamente. Chiaramente ci sono momenti di produzione belli tosti, dove anche lui come tutti i produttori è diventato implacabile, ma va bene così. Serve a coordinare le visioni ed evitare dispersioni, utilizzando quell’ascolto esterno che ti permette di capire dove stai andando.

A proposito di questo, vi ho chiesto da dove venite e ora invece vi chiedo: dove andate?

Max: andiamo dove ci sarà sempre dell’energia da poter esprimere. Poi chiaramente come tutte le cose ha un inizio, un proseguo e una fine. Credo che fin quando ci sono le forze per portare avanti un progetto, come un gruppo musicale in effetti è, il progetto va avanti e sicuramente prende sempre più forza e velocità. Chiaro che facciamo a pugni con i tempi che viviamo. Di locali come quello che ci ospita stasera ce ne sono sempre meno e suonare in giro è sempre più difficile. Noi non siamo sicuramente una band da festa paesana o situazioni simili, però quando c’è comunque la voglia di esprimersi e comunicare attraverso la musica la direzione è quella. E continuare a fare dischi. Anche questa è una variabile importante, perché se facciamo dischi poi ci vuole qualcuno che li compra, ma anche in questo caso il mercato dice il contrario, che i dischi si vendono sempre meno. Noi continuiamo a fare quello che ci piace e continuiamo a fare musica, che è quello che ci interessa di più.

Finalmente live. Com’è per l’artista tornare a suonare sul palco con un pubblico non ingessato in platea?

Yuri: guarda, personalmente non è la questione delle mascherine, quanto proprio della presenza fisica. Ci sono stati momenti in cui erano in ballo concerti a distanza e mi veniva il sangue amaro. Perché un live include la presenza scenica, la presenza del corpo che entra in relazione con la musica che fai. Poi a noi piace far sentire le nostre distorsioni, le ritmiche che pestano, quindi il fatto di non poterci esprimere anche a livello di impatto sonoro è una cosa che ti mette a dura prova. Come diceva anche Max, suonare dal vivo è la nostra ricarica, suonare ci permette anche di tornare un po’ a vivere, con tutte le difficoltà del caso.

Articolo di Lia Baccelli

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