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Livio Magnini intervista

Cos’è l’ascolto consapevole?

Produttore, sound engineer, autore, editore, musicista e chitarrista dei Bluvertigo, Livio Magnini è tra i più poliedrici esperti in campo musicale del panorama italiano. È stato ospite di SAE Institute per una masterclass dedicata all’ascolto consapevole che ha indagato due macro temi: la psicologia della e nella musica e il recupero della capacità di ascolto emotivo.

Ringrazio il SAE per avermi invitato alla tua masterclass e così sono venuta a conoscenza del progetto. Livio, ti dico subito che io sono una giornalista e non una musicista, ma spero di riuscire a capire bene le cose di cui mi parlerai …
In realtà non c’è nessuna necessità di avere una conoscenza musicale teorica per capire cosa intendo per “ascolto consapevole”, che a volte viene erroneamente pure scambiato per qualcosa di olistico, oppure legato a qualcosa di filosofico, o addirittura religioso perché a volte tengo dei workshop nei templi zen. Intanto lo Zen non è una religione, ma un luogo neutrale che parla di silenzio e di rumore vedendo inevitabilmente l’unione dei due: non è infatti possibile l’esistenza dell’uno senza l’altro, e questo mi permette di parlare a persone di estrazione ed età la più varia possibile. Quindi chiedi pure tranquillamente a ruota libera!

Grazie Livio. La masterclass si intitola “Ascolto consapevole”, che può voler dire tante cose; io stessa uso questa locuzione quando sostengo la necessità di ascoltare la musica proveniente da un formato fisico, per esempio, perché credo che accendere lo stereo, metter su un cd o un vinile, è un atto di ascolto consapevole ben diverso che ascoltare una playlist a caso dal cellulare. Tu invece parli di funzioni benefiche della musica, della connessione tra consapevolezza e beneficio.
“Ascolto consapevole” può davvero avere tanti significati. Per me significa andare oltre l’ascolto puramente passivo, che poi è quello che quasi ognuno di noi fa. Forse per noi non più giovanissimi è un concetto più semplice da capire, perché siamo sempre andati a cercarci la musica da ascoltare, quindi o l’abbiamo comprata o abbiamo cercato di capire dove potevamo ascoltarla, mentre ora l’operazione è semplicissima, apri un qualunque player digitale e puoi ascoltare tutto quello che esiste. Una volta non era così, addirittura certi generi musicali non passavano proprio nelle radio, per cui la ricerca era davvero intenzionale, bisognava andare proprio a cercarci dei modi per ascoltare cose nuove e questi modi ci mettevano a contatto con il fatto che la musica che andavamo a scegliere avesse qualcosa di particolare che ci piaceva, non andavamo a caso a cercare della musica e non l’ascoltavamo a caso, ovvero non c’era la famosa funzione se hai ascoltato questo potrebbe piacerti quest’altro, era una cosa che assolutamente esercitavi in prima persona e con una certa cognizione di causa. Per spiegare in termini pratici e in modo molto semplice che cosa intendo per “ascolto consapevole” ti faccio io una domanda: c’è un pezzo musicale che ti provoca fastidio, un pezzo o un genere addirittura, che ti provoca rabbia oppure ti scoccia, insomma qualcosa che proprio muove il tuo interno?

Assolutamente, mi disturba tantissimo la voce di alcuni cantanti, e come generi mi disturbano Rap e Trap.
Nello specifico potresti dire un nome di un cantante che ti infastidisce?

Certo, mi provocano un fastidio immenso le voci di Eros Ramazzotti e di Phil Collins…
Entriamo nello specifico di quello che hai appena risposto. Allora, quello che non ti piace ti è indifferente. Cosa vuol dire? Che quello che proprio non ti piace, se passa alla radio, se passa da qualche parte, ti lascia indifferente, non ti urta, che ci sia o non ci sia non fa nessuna differenza. Quello che invece ti urta ha una componente di sé dentro di te. Che cosa significa? Significa che noi tutti abbiamo una proiezione di noi stessi, ovvero pensiamo di essere in un certo modo e nella nostra testa abbiamo un’immagine di quello che dovremmo essere. Quando attuiamo questo tipo di meccanismo tendiamo a prendere i difetti alcuni o alcune componenti che fanno parte di noi e le nascondiamo, cioè le mettiamo da parte, le schiacciamo, le spingiamo in fondo perché secondo noi esteticamente non ci appartengono. Ovviamente non è un’estetica di forma quella di cui sto parlando, è un’estetica di contenuto. Per cui è divertente.

Entriamo ancora più nello specifico. Tu hai indicato come fastidiose le voci di Eros Ramazzotti e di Phil Collins, che guarda caso sono molto simili e sono voci nasali, quindi sono voci che hanno una componente acustica particolare. Particolare vuol dire che rispetto alla media hanno un battimento, si dice in termini acustici, che sta più vicino alla frequenza più sensibile dell’orecchio che è un kilohertz, che è proprio la frequenza di base, la frequenza media su cui l’orecchio umano risponde.
Questa mediosità della voce fa sì che non ci siano le componenti che più apprezziamo nelle voci, ovvero la baritonalità, cioè le basse frequenze, oppure quello che si definisce aria, quando ci sono molte alte frequenze la voce è molto bella e squillante. Quando non ci sono queste due componenti c’è una voce mediosa, però perché dovrebbe proprio darti fastidio questa voce mediosa? Su questo sei tu che puoi iniziare a fare un lavoro, ovvero devi pensare se nella tua infanzia, nel tuo vissuto, ci sono state persone con una voce tipicamente nasale o mediosa che in qualche modo ti hanno dato fastidio, cioè hanno infilato all’interno delle tue orecchie e nella tua testa qualcosa che ti crea questo disagio.

Io faccio spesso esempi col cibo perché trovo che sia la similitudine più facile da comprendere con la musica, cioè ci sono gusti diversi, ci sono sapori diversi, bisogna saper mixare gli ingredienti e spesso e volentieri anche quello che è essenziale è buono e non è solo quello che è super ricercato che è buono, quindi ci sono tantissime similitudini con la musica. A questo proposito durante un mio laboratorio relativo all’ascolto musicale, c’era un ragazzo che diceva di non mangiare un certo tipo di pesce perché all’asilo glielo hanno fatto mangiare talmente tanto che alla fine non aveva più voglia di riassaggiare questo sapore. La stessa cosa in qualche modo è legata al suono; la musica è suono perché bisogna partire da questo presupposto, “ascolto consapevole” vuol dire individuare all’interno di un brano musicale delle sensazioni che sono generate dal suono e dalla vibrazione, quindi non dall’arrangiamento e dal genere musicale.

Questo un po’ dovrebbe spiegare che cos’è un “ascolto consapevole”, cioè ritrovare all’interno di quello che stiamo ascoltando la motivazione per cui ci piace, non ci piace, ci mette di buon umore, ci mette voglia di ballare, ci mette di cattivo umore, ci mette voglia di stare da soli, ogni genere, ogni brano musicale ha un risvolto emotivo su di noi, molti ultimamente lo stanno un po’ dimenticando perché la musica sta diventando un attrezzo prêt-à-porter, messo di fianco a qualsiasi tipo di attività che svolgiamo, la palestra, la spesa, il viaggio, la camminata, la corsa, c’è musica per ogni cosa, il che significa che la musica si svuota un po’ del proprio significato e fa semplicemente da accompagnamento funzionale verso qualche attività.

Riprendere un “ascolto consapevole” significa dedicare del tempo alla musica,  quindi dedicare quei tre minuti che io sto ascoltando un pezzo, se riesco a non fare nient’altro, intanto vedrò che l’esito sul mio corpo sarà differente, anche in termini emotivi, perché se io metto un pezzo emozionante mentre sto correndo, posso assicurare quasi al 100% che la pelle d’oca non mi viene, perché il mio corpo è impegnato un’altra funzione e si concentra su altro, quindi non è in grado di produrre feromoni piuttosto che endorfine che siano capaci di creare delle reazioni fisiche. Se invece io l’ascolto lo sto facendo senza svolgere nessun’altra funzione, è molto facile che il corpo e anche il cervello si concentrino su quello che la musica mi vuole comunicare.

Sono d’accordo su tutto, per esempio questa cosa che dici del paragone con il gusto, io per esempio non riesco a mangiare mandarini perché alle elementari ce lo davano tutti i giorni alla mensa. E mentre parlavi ho visto il film della mia gioventù in cui dovevi passare i pomeriggi al negozio di dischi chiedendo di ascoltare, anche perché con la paghetta potevi comprare un disco solo al mese e dovevi essere sicura che fosse il disco giusto per te. Ora però ti chiedo se è per questo che le persone si avvicinano a un genere musicale piuttosto che a un altro, cioè, i diversi generi musicali vanno a rispecchiare qualcosa che c’è già dentro di te?
Guarda, la risposta è non posso rispondere con delle certezze, perché il concetto che sta proprio dietro all’ascolto consapevole è individuare la soggettività e non l’oggettività dell’esperienza musicale. E infatti, il problema qual è? Che il mercato continua a sforzarsi nel cercare di individuare un’oggettività, qualcosa che piace a tutti e che deve essere un prodotto di massa, viceversa la musica da chi è fatta, da chi la compone, da chi la esegue, da chi la suona, serve esattamente per un concetto molto soggettivo, cioè per esprimere il proprio stato d’animo, il proprio parere, il proprio gusto. La domanda che mi fai sui gusti musicali … allora noi tendiamo a scegliere qualcosa che ci assomiglia in termini anche musicali, quindi su come ci vediamo, e non come siamo realmente, se noi ci vediamo accomodanti, gentili eccetera eccetera, faremo meno sforzo ad approcciarci a una musica di questo tipo, piuttosto che a una musica più caustica o più acida, più lisergica, più psichedelica. Magari, diciamo, chi ha i piedi più piantati per terra ed è un po’ più razionale, tende a scegliere automaticamente questo genere di musica, per poi scoprire che quella che gli genera in realtà più emozioni è quella che si allontana da questo rapporto, cioè quella che è spesso e volentieri è inaspettata.

Io faccio fare una serie di ascolti, durante la masterclass ne ho fatti fare diversi, dai più disparati, la gente è convinta che io gli stia facendo ascoltare dei pezzi per fargli scoprire dei generi, invece in realtà io scelgo dei pezzi che sono il più disparati possibile l’uno dall’altro e che sono spesso e volentieri fonte di reazione in tutti i sensi, cioè positiva, negativa, divertente, triste, contemplativa, malinconica, nostalgica, e poi chiedo a ognuno di dirmi, senza mezzi termini o filtri, esattamente l’immagine che la musica provoca e quello che la testa e il corpo buttano fuori. Ho sentito gente che mi dice mi sembra che sia un barattolo di fagioli scaduto con la muffa, ed è questa la reazione che voglio, perché guarda caso voi cercate delle immagini che sono significative, rappresentative per voi, vuol dire che in qualche modo le avete vissute, cioè come fa a venire in mente uno di paragonare un pezzo musicale a un barattolo di fagioli scaduto con la muffa? Vuol dire che evidentemente questo descrive esattamente lo stato in cui questa musica vi ha messo e questo aiuta anche me a scoprire qualcosa in più sulle persone che ho davanti, ma attenzione, non a psicanalizzarle. Premesso che la psicanalisi mi incuriosisce come altre 650 mila cose, quello che cerco di spiegare è che io non sono un indovino che deve dire tu hai avuto un trauma, non c’è niente di più lontano da quello che voglio fare io, io però in base alle risposte e in base alla comunanza di risposte che ho con le persone che ho davanti trovo il trait d’union che avvicinano le persone che mi rispondono ad esperienze che probabilmente mi hanno causato lo stesso tipo di reazione.

Se tu oggi decidessi di riavvicinarti ai mandarini nonostante il disgusto, forse scopriresti che quel disgusto era solo causato dal fatto che a scuola ti davano mandarini che non erano buoni perché preferivano scegliere quelli un po’ verso fine maturazione che sono un po’ mollicci, che non hanno il liquido, non sono dolci, allora con questa esperienza potresti riappropriarti di questo gusto semplicemente attraverso una elaborazione, per esempio se tu trovassi una torta o una mousse o un sorbetto al mandarino però fatto bene, fatto con i crismi della cucina, e iniziassi ad approcciarti a questo sapore probabilmente potresti riscoprire una parte che hai lasciato e quindi anche nel futuro questo agrodolce del mandarino potrebbe invece iniziare a darti delle piccole sensazioni differenti. Raramente questo accade quando cuciniamo noi perché non ci mettiamo a cucinare qualcosa che in teoria non vorremmo mangiare, ma è quando andiamo fuori e facciamo esperienze che ci portano a gustare qualcosa di diverso o non ancora assaggiato.

Quindi devo capire chi mi ha fatto del male che aveva una voce nasale?
Potenzialmente sì e ti assicuro che spesso e volentieri è proprio così e con un minimo sforzo si tira fuori questa cosa, e il consiglio che io poi do è quello di cercare di ascoltare la musica imitando Cleopatra che prendeva piccole dosi di veleno per diventarne immune. Il concetto è lo stesso, se tu prendi piccole dosi di Eros Ramazzotti inizierai piano piano a essere immune dall’effetto della voce nasale, oppure visto che hai individuato in Eros Ramazzotti e Phil Collins proprio il tuo elemento negativo potresti provare con gli Smashing Pumpkins dove sicuramente Billy Corgan ha una voce peggio che nasale, però ci potrebbe essere qualche loro brano che ti può riavvicinare a questo tipo di sensazione e continuare un po’ a prenderne un pochino alla volta ti farà fare pace con questo fastidio e in più magari ti rivela altre cose, perché nella tua esperienza quotidiana è probabile che quando senti qualcuno parlare con quel tipo di voce in qualche modo ti scocci e quindi questo ti pregiudica sotto un certo punto di vista la conoscenza magari di qualcuno positivo per te ma hai questa barriera iniziale nei suoi confronti.

È sempre una cosa che passa dall’inconscio ed è divertente perché la musica colpisce tutti i tuoi livelli, il primo quello più superficiale, poi però è l’unica cosa che è in grado di arrivare all’io e di muoverlo inconsapevolmente, senza la tua volontà, per cui il cervello a quel punto va a farsi friggere, i preconcetti nascono dall’analisi che fa il tuo cervello del fenomeno, mentre la musica salta il cervello e arriva direttamente al corpo, al cuore, direttamente dove non c’è analisi.

Tu mi hai convolto con questa domanda, quindi proseguo con delle domande basate sulla mia esperienza personale con la musica perché mi fanno andare più a fondo nella comprensione. Sia mettersi le cuffie in casa oppure andare a un concerto, le esperienze sono entrambe di ascolto consapevole, ma c’è una differenza tra l’ascolto in solitaria e l’ascolto in collettiva nel provocare cambiamento fisico? Fare l’ascolto consapevole in compagnia in una situazione di musica live dove senti anche le emozioni dell’artista stesso perché ti è vicino, perché ti guarda, io a volte piango, è un’esperienza simile all’ascolto in solitaria, dove magari non hai distrazioni?
Una premessa su quello che ho detto inizialmente dell’ascolto consapevole quindi fatto senza svolgere altre cose, doverosa perché sennò poi sembra sempre che uno per fare ascolto consapevole deve stare o da solo o concentrato senza fare nient’altro. In realtà, più tu sei capace di astrarti e arrivare a un ascolto consapevole e più puoi fare tutto quello che vuoi. Ci saranno sicuramente dei momenti in cui cucinando ti sei comunque emozionata ascoltando della musica. E questo che cosa vuol dire? Questo vuol dire che il tuo subconscio ha preso il sopravvento sul tuo cosciente, quindi sull’azione che stavi svolgendo, e quindi sei stata in grado di emozionarti indipendentemente dall’apparente attenzione che tu stavi dedicando. Dico apparente perché, appunto, come succede, c’è una parte del corpo che decide a priori. Cioè, lo stomaco e l’intestino non si fanno influenzare più di tanto dalla mente. E questo si ricollega perfettamente al discorso dell’esperienza concerto, perché a volte ti viene da piangere. Ci sono più motivazioni, come spesso può venire anche da ridere, non è che sono entrambe reazioni facili da provare. Il discorso è che ci sono due o tre fattori.

Il primo, per esempio, è che chi canta nella voce comunica esattamente quello che ti arriva diretto e, guarda caso, spesso succede quando non ne capiamo le parole. Stavo facendo proprio un esempio durante un video promozionale per un corso che farò prossimamente al Tempio Zen il Cerchio di Milano, in cui spiegavo perché i sutra, per esempio i mantra o le preghiere, tipo il Padre Nostro, sono in grado di mettere la mente in uno stato meditativo. È molto semplice perché spesso e volentieri, per esempio, i Sutra sono qualcosa di non compreso, cioè recitati in una lingua che non capiamo, quindi diventano suoni e diventano suoni ciclici, cioè quello che si definisce un loop ricorrente. Quando il cervello è davanti a un loop ricorrente in termini sonori, che cosa fa? Si astrae. E quindi si perde, la famosa assenza di pensiero non è altro che in realtà un vuoto di pensiero, cioè noi non ci concentriamo su niente e mettiamo per un attimo a tacere il nostro cervello, che sarebbe invece in grado di generare mille pensieri in un secondo. E questo accade, guarda caso, per chi fa Zen con i sutra, per chi è buddista con i mantra, per chi è cattolico in preghiera, quanti si astraggono e parlano di contemplazione celestiale nella preghiera, nel suono, a volte la ragione è più fisica che religiosa o mistica.

E infatti questo a me piace fare, a me piace unire i puntini, cioè non sono né della parrocchia dei religiosi né della parrocchia degli scientifici, cioè mi piacciono entrambe le cose e penso che in realtà siano entrambe le cose la stessa cosa, ovviamente elaborata da persone che da una parte vedono di più l’aspetto emotivo e dall’altra parte vedono di più l’aspetto razionale. Ed è il motivo per cui arrivo a dire che la musica può essere terapeutica, in particolare il dottor Fulvio Muzio che è il tastierista del Decibel di Enrico Ruggeri, ma anche un professore medico che ha dedicato una gran parte della sua vita alla ricerca delle frequenze basali, è arrivato a scrivere diversi libri sull’argomento e confezionare dei cd terapeutici proprio in tutto e per tutto. Io ho seguito una sua conferenza all’ospedale Niguarda e ho acquistato un cd dove con vibrazioni e suoni sotto i 30 hertz, diciamo dai 36 hertz ai 10 hertz, ci sono tutta una serie di stati emotivi che passano semplicemente dalle onde generate dal cervello, in questo caso sono le onde alfa, le onde beta, le onde teta e le onde delta, ben conosciute dalla medicina moderna, e guarda caso svolgono delle funzioni precise. Il dottor Muzio ha prodotto dei pezzi musicali che contengono queste onde e tu ascoltandole hai più o meno effetti sul tuo corpo. Ovviamente a seconda del sistema, dell’impianto o del modo con cui le ascolti, questa cosa avviene meglio o peggio. Certo, se tu ascolti le onde basali a 30 hertz dal telefonino, puoi anche scordarti che succeda qualsiasi cosa, perché il telefonino credo che parta da 300 hertz, quindi da centinaia di hertz ben più in alti come diffusione. Quindi lo dovresti fare almeno in cuffia e sicuramente cercando di sentire fisicamente queste frequenze.

Non sto inventando niente, non sto dicendo niente di incredibile o nuovo. Sono decenni che l’uomo si cura con gli ultrasuoni, e gli ultrasuoni non sono altro che vibrazioni, che in questo caso non fanno altro che sollecitare molto velocemente le nostre cellule, quindi sono dei massaggi sonici in tutto e per tutto. L’ultrasuono stimola la cellula, la massaggia facendola vibrare a una velocità superiore, e questo fa sì che un farmaco venga in qualche modo preso e veicolato più profondamente.

E allora come facciamo con il mondo della musica oggi e con i giovanissimi che non hanno passato nessuna delle esperienze di ascolto consapevole dalle quali siamo passati noi, che non hanno nessuno un impianto stereo, una cuffia, che ascoltano soltanto dal telefonino su Spotify?
Non è proprio così, perché anche i ragazzini adesso hanno inconsapevolmente alcuni momenti di ascolto consapevole. Dico inconsapevolmente perché non lo fanno per scelta, però anche i ragazzini adesso si emozionano per i testi delle canzoni, li cantano, li ripetono, vivono delle similitudini, si ritrovano all’interno dei testi, oppure come spesso succede per esempio il Metal, che è un genere che sembra non cambiare mai, perché in realtà all’interno della struttura metal, cioè del concetto di distorsione, c’è proprio un elemento caratteriale. Di solito c’è sempre una parte di ribellione, una parte di rifiuto verso quello che è la considerazione della società, cioè come la società vuole uniformarti, e ci sono alcune musiche che si ascoltano come reazione verso questo tipo di sensazione.

È solo una questione di riappropriarsi di alcuni contenuti, più che di esperienziarli in modo diverso, e ovviamente l’obiettivo di quello che sto facendo, in particolar modo in SAE, è stato bello proprio perché ho avuto a che fare con persone giovani, molto giovani e persone meno giovani, e lo stupore che tu stai esprimendo in questo momento loro l’hanno espresso, e forse anche ancora più radicato, proprio perché non abituati a unire dei puntini, cioè di cose che già hanno vissuto, semplicemente non ci hanno dedicato un’attenzione particolare nell’elaborazione. Il problema è generato dalla curiosità, quindi il fatto di avere la musica tutta a disposizione, di tutti i generi, non genera curiosità, e la curiosità invece purtroppo è un elemento essenziale nella vita in termini di ricerca, sotto ogni punto di vista, da quello razionale, da quello emotivo. Altro esempio: quando da bambini ascoltiamo qualcosa che i nostri genitori ci fanno ascoltare, questo qualcosa si piazza dentro la nostra testa, dentro il nostro vissuto, e magari a distanza di decenni viene fuori e scoppiamo a piangere sentendo una musica in un film, non ci capacitiamo del perché e poi scopriamo che quella cosa l’abbiamo vissuta vent’anni prima in macchina durante una vacanza con i propri genitori.

Fai degli workshop in giro, oltre alla masterclass?
Sì, in realtà sto parlando con il direttore di SAE Italia, per iniziare un corso che però nel caso della SAE sarà molto più specifico, visto che comunque il mio mestiere oltre ad essere musicista è quello di fare il produttore e sound engineer, quindi inevitabilmente ci finiamo con mani e piedi dentro. Però faccio anche laboratori per tutti, non solo musicisti, e a fine aprile insieme a Luca Vicini, bassista dei Subsonica, faremo una residenza artistica nella Maremma Toscana, dove parleremo proprio della funzione del silenzio e della vibrazione; è rivolto sia a musicisti professionisti che a persone che non hanno nessun tipo di esperienza in materia. (Trovate le info sui canali social dei due musicisti, ndr)

Però questo non ti fa fermare la tua attività musicale in prima persona?
No, no, no, assolutamente. Anzi, quello è il motivo per cui poi si genera quest’altra.

Articolo e foto di Francesca Cecconi

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