In questi mesi abbiamo sentito espressioni che vagheggiavano ad un ritorno alla normalità, che tornerà e dentro di noi lo sappiamo, ma non sappiamo in quale forma, non sappiamo quando. Nella nostra mente ricostruiamo un ipotetico mondo con ricordi di momenti che vogliamo tornare a vivere e che rappresentano il nostro ponte verso il futuro. Siete sicuri, però, che questo mondo che davate per scontato tornerà così come era? Con i suoi protagonisti? Nei luoghi il cui ricordo ora è gioia e dolore al tempo stesso, ma la cui presenza nella vostra memoria vi spinge ad andare avanti?
“L’Ultimo Concerto?” si chiede proprio questo: ci sarà un ultimo concerto oppure c’è già stato? Il 27 febbraio scorso, a questa domanda hanno voluto rispondere 130 live club in cui si sarebbero dovuti esibire altrettanti e più artisti che hanno scelto invece di stare fermi sul palco senza suonare né cantare, mostrando il destino della cultura e soprattutto della musica in Italia: il silenzio. Il silenzio di un sistema che ha ignorato i visibili e gli invisibili creatori di quei ricordi a cui vi attaccate come un salvagente e che per crearveli stavano sul palco, lavoravano dietro al palco, offrivano quel palco! Il silenzio che invece adesso sfida quello stesso sistema, sbattuto in faccia a tutti, più forte di ogni rumore. Il silenzio che potrebbe sostituire la musica nel nostro futuro perché non ci saranno più luoghi dove viverla. Il pubblico reagisce nei più svariati modi, dalla delusione alla solidarietà.
Gli artisti e i proprietari dei live club prevedono il rischio d’impopolarità di questa protesta, ma a loro non importa: ci mettono il proprio nome perché in gioco ci sono delle persone e un mondo lasciato da solo per troppo tempo senza l’attenzione necessaria.
Tra i live club che hanno aderito all’iniziativa c’è il Kalinka Arci Club di Carpi (MO), storico centro di cultura del suo territorio. L’artista che è salito sul palco è Stefano “Cisco” Bellotti, cantautore italiano di musica folk-rock, voce solista dei Modena City Ramblers per molti anni e attualmente impegnato in varie collaborazioni. Rock Nation lo ha intervistato per voi.
Come è nata l’idea di questo evento e cosa ti ha spinto ad aderire?
L’idea è nata perché va comunicato al mondo intero che siamo tutti sulla stessa barca. In questo periodo i locali sono chiusi, c’è gente che non lavora, ci sono artisti che sono fermi da mesi e non riescono a lavorare con la loro musica, la loro arte. Ci sono anche le maestranze che non lavorano: i fonici, i tecnici delle luci, chi monta il palco. Le stesse agenzie che non organizzano più serate e che quindi faticano ad arrivare a fine mese. Quindi era importante arrivare a più gente possibile, comunicare la gravissima situazione del mondo dello spettacolo, degli addetti ai lavori e del fatto che, purtroppo, passa sempre in secondo piano e questa cosa è piuttosto grave.
Capisco che ci siano situazioni ancora più gravi, però si parla sempre tanto di altre realtà, come è giusto fare, quindi di ristoranti, locali e mille situazioni diverse. Si è fatto un gran parlare di tutte le stazioni sciistiche e così via, però a me sembra che del mondo dello spettacolo non ne parli nessuno, come se quasi non convenga affrontare la questione. Poi, sappiamo benissimo che quando hanno bisogno di aiuto, il mondo dello spettacolo è sempre stato il primo a mettersi a disposizione per le varie cause, come è ancora oggi. Se mi chiamassero per qualsiasi cosa, io mi rendo disponibile, ma ora lo faccio per far accendere i riflettori anche sul nostro mondo perché la situazione sta diventando davvero dura.
Ovviamente, stiamo tutti aspettando che innanzi tutto si vaccini più gente possibile, ma anche che possa ripartire una stagione estiva per poter andare in giro a suonare e che a settembre, quando riapre la stagione dei locali e dei teatri, si faccia ripartire anche quelli. In sicurezza, ovviamente, tutti in sicurezza, tutti distanziati, ma facciamola ripartire e nel frattempo sosteniamoli con degli aiuti di Stato, in qualunque forma possano essere, ma i locali non possono chiudere, i teatri non possono chiudere: verrebbe a mancare un pezzetto di vita troppo importante del nostro Paese.
La manifestazione è stata d’impatto ed è servita ad attirare l’attenzione sulle difficoltà del settore musicale italiano. Tuttavia non si è trattato solo di una protesta contro il mancato supporto in questo specifico periodo, ma anche l’occasione per presentare delle proposte strutturali per il futuro del settore stesso. Da quanto tempo esiste questa necessità di creare maggiori garanzie per l’ambiente musicale qui in Italia? Quali cambiamenti ti aspetti dopo questo evento?
Sì, come hai detto tu non è stata solo una manifestazione di protesta, è stato anche importante accendere i riflettori sul mondo dello spettacolo che ha molti problemi di vario ordine. Adesso i problemi sono soprattutto legati al Covid19, alle chiusure, alla mancanza di possibilità di fare il nostro lavoro. Tuttavia, ci sono anche problemi atavici, perché il mondo della musica, diciamo dello spettacolo in generale, è sempre stato visto come un mondo superficiale, anche superfluo, di qualcosa in più e non siamo mai riusciti a farlo arrivare alle persone come una realtà necessaria, di cultura e in cui la gente ci lavora. Centinaia, migliaia di famiglie lavorano e vivono col mondo dello spettacolo.
Credo che sia l’occasione giusta per cogliere la palla al balzo e per fare sì che questo mondo torni prioritario nel calendario del Governo e nelle sue decisioni da prendere. Faccio alcuni esempi di cui uno che mi sta a cuore da anni: si è sempre detto che cd e vinili costano tanto e non si mai fatto niente da parte di qualsiasi governo, che fosse di destra o di sinistra, per abbassare l’IVA di questi prodotti.
Viceversa, abbiamo i libri, che sono considerati cultura, che hanno l’IVA al 4%. Una prima mossa, anche per rivitalizzare un mercato della discografia che è quasi morto, ma che potrebbe avere un’ultima possibilità, sarebbe già quella di abbassare l’IVA dei dischi, dei vinili, di tutti i supporti fonomeccanici al 4%, perché diventerebbe un segnale culturale che ti dice che la musica è cultura tanto quanto i libri. Io so benissimo che ci sono dei dischi che non valgono niente, però è uguale il fatto che ci sono dei libri che non valgono niente, quindi le cose di valore o di non valore ci sono sia da una parte che dall’altra: libri e musica sono strumenti di cultura e dovrebbero avere tutti un’IVA paritaria al minimo.
Un’altra battaglia è quella delle pensioni dei musicisti: al musicista viene calcolato una quota ENPALS solo per la serata in cui suona, ma per fare la serata ha giorni e giorni di prove, ha il viaggio per arrivare sul posto a suonare e di tutto questo lavoro di preparazione non viene calcolato niente ai fini pensionistici. Di questo ne ho parlato anche con alcuni politici con cui ho fatto degli incontri sul mondo dello spettacolo proprio l’estate scorsa. Un’idea che è lì nel cassetto e che sarebbe da perorare è quella di applicare alla quota ENPALS una sorta di moltiplicatore: ogni ENPALS che apri dovrebbe valere come tre o quattro ENPALS perché possano così confluire nel conteggio finale della tua futura pensione.
Mi spiego meglio: noi siano abituati a pensare ai cantanti come gente ricca che può tranquillamente vivere di quello che ha creato durante la propria carriera, ma non è tutto così, è solo una piccola parte del mondo musicale che vive così. C’è un grosso mondo che invece vive di serate, prove, prestazioni musicali, e questo non viene considerato. Quindi, se tu vuoi dare la possibilità a un musicista di poter avere una pensione per il suo lavoro, devi garantirgli per ogni data che fa un moltiplicatore che prenda in considerazione anche tutto il lavoro di preparazione che c’è dietro a una serata, in modo tale che quel numero abbia un valore ai fini pensionistici, visto che non è possibile continuare fino ad ottant’anni a fare concerti, anche se ci stanno costringendo a farlo, ma non so quanto saremo credibili a quell’età sul palco.
Personalmente, vorrei continuare fino a che ho fiato in gola e finché il corpo regge e il cuore batte, se la morte mi coglierà sul palco sarò l’uomo più felice del mondo (il più vecchio possibile ovviamente), però si deve lasciare spazio anche ai giovani musicisti, oppure a chi non ha un nome famoso ma suona per altri più famosi, e garantire la possibilità di avere una pensione al fine del suo percorso lavorativo, perché questo è un lavoro a tutti gli effetti.
Tu e il Kalinka Arci Club avete un rapporto quasi fraterno. Il 27 febbraio scorso sei salito su quel palco senza avere il pubblico davanti e senza tutti gli addetti che di solito ci sono a queste serate. In questo caso è stata una scelta dimostrativa, che però potrebbe diventare realtà se non si interviene supportando il settore con decisione. Qual è il ruolo dei live club nella diffusione della musica e della cultura in generale e cosa potrebbe succedere se venissero a mancare in futuro?
Per me il Kalinka è un luogo del cuore. Sono nato come cantante al Kalinka per caso, ormai trent’anni fa, salendo alticcio, forse ubriaco, sul palco e da lì è partita la mia storia di artista. Quando sono lì, sono a casa, come succede in molti altri posti come al Fuori Orario oppure all’Estragon, per esempio. Penso a locali che ho amato e che ho frequentato tantissimo in giro per l’Italia, dove, quando vai, vieni accolto dagli stessi gestori in maniera fantastica, come il Linea Gotica, un locale a Ferrandina (MT), in Basilicata. Ce ne sono tantissimi così, te ne potrei dire di infiniti: quei locali lì sono un patrimonio per la cultura, ma anche per le città in cui sono inserite.
Tu togli i live club alle città e cosa ti rimane? Ti rimane la strada, la piazza, se c’è una piazza decente. Tuttavia, soprattutto per i ragazzi, se frequentano i live club, rimangono le strade e le strade non portano tutte verso una direzione positiva, spesso vanno in direzioni negative. Nei live club c’è un confronto, una vita sociale, una vita comune, noi tutti siamo maturati in questi luoghi ascoltando cantanti che ci cantavano cose che magari ci ispiravano nella vita o piuttosto vedendo spettacoli o film, assistendo a dibattiti che ci hanno cresciuto come persone. Voi togliete quell’anima lì a ogni singola città che ha un club e vi garantisco che si impoverisce tutto il territorio.
Per tale motivo dobbiamo fare il possibile per aiutare la rete di club a sopravvivere in questo momento terribile e a far sì che una volta finita la pandemia si possa ripartire tutti uniti per ritornare alla vita come era prima, che si possa continuare a fare musica, a fare cultura, continuare a fare incontri, proiezioni di film, dibattiti. Senza tutto questo, siamo tutti impoveriti, tutto il mondo è impoverito, tutto il territorio è impoverito e i nostri figli cresceranno in un ambiente molto più pericoloso.
Le reazioni del pubblico a questa protesta sono state le più svariate. Come ha reagito il tuo pubblico ed anche quello del Kalinka? Cosa diresti a chi si aspettava di assistere a un enorme concerto e invece si è sentito tradito dagli artisti che segue?
In effetti c’è stata un po’ di polemica per via di questa iniziativa, ma non molta per fortuna. Per quanto riguarda il mio pubblico, fortunatamente ha capito qual era il messaggio. All’inizio qualcuno ci è rimasto male perché si aspettava un concerto, me lo hanno anche scritto in privato descrivendomi la delusione del momento, però una volta spiegata la situazione sono stati tutti intelligenti e uniti nel capire qual era il discorso di fondo di questo messaggio: la denuncia di questo momento di un settore che sta boccheggiando e che non sa come potrà sopravvivere a questa situazione. Inoltre mi sono arrivati anche molti messaggi che mi chiedevano come ci potevano aiutare, anche a livello economico. Ovviamente ho detto che lo scopo non era raccogliere donazioni, ma questo fa capire che c’è molta gente che ha un legame affettivo sia con l’artista, sia con lo stesso live club e che è disposta a mettersi in gioco anche a livello economico per dare una mano, perché magari ha la possibilità, oppure perché ha continuato a lavorare nonostante il periodo.
Quindi, la fortuna, se così vogliamo chiamarla, del mondo dello spettacolo è che ha un pubblico che è affezionato sia all’artista, sia al locale stesso. Ogni live club ha un proprio pubblico che va a prescindere da chi suona per passare una serata, stare insieme agli amici, o stare insieme ai gestori del club stesso. In conclusione, c’è stata un po’ di critica, un po’ di delusione molto temporanea che è invece poi scaturita in una serie di offerte di aiuto di vario genere. Secondo me è stata un’operazione che ha fatto centro.
Concerti dal vivo e live streaming. Il presente sta incidendo sul futuro di fruizione della musica? Credi che rimarranno due mondi sempre separati o potranno integrarsi nel futuro?
In realtà per me sono due cose abbastanza separate: appena si potrà tornare ad assistere alla musica dal vivo come facevamo in passato, ci scorderemo in fretta dei live streaming. Poi magari verranno utilizzati per qualche evento particolare, ma, secondo me, non c’è tanto spazio. Quello che condividi in un concerto dal vivo in un live stream davanti allo schermo di un computer non lo vivi, non puoi essere coinvolto come quando sei in mezzo alla gente, con gli amici, con la birra in mano, ascoltando la musica.
L’evento non è solo l’artista che suona, è tutto quello che ci sta attorno, come l’odore di salsiccia e cipolla che vendono fuori i paninari fuori dai locali, la maglietta degli abusivi che ti compri a 10 € perché poi ti rimane il ricordo della serata. Anche la conoscenza fugace nello sguardo di una persona che non conosci ma che ti guarda in un concerto e da lì nasce un’amicizia o ancora meglio un amore. Tutto questo in un live streaming non ce l’hai, quella roba lì non la puoi sostituire. Diciamo che, appena torniamo dal vivo, tutti torneremo ad andare ai concerti come abbiamo sempre fatto, mentre il live streaming rimarrà uno strumento per fare eventi alternativi in momenti in cui sarà necessario farli. Di sicuro, però, il live streaming non sostituirà il concerto dal vivo.
Articolo di Alma Marlia