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Massaroni Pianoforti intervista

Quinto album per l’erede dell’arte nobile del cantautorato italiano

Massaroni Pianoforti, nome d’arte di Gianluca Massaroni, ha appena pubblicato “Maddi Eléna” (la nostra recensione), quinto album della sua carriera. Lo abbiamo incontrato per farci raccontare e spiegare questo concept album.

Hai pubblicato un ottimo nuovo lavoro. Nella mia recensione l’ho definito “Un piccolo classico” per sottolineare che tratta temi universali che però hai raccontato facendo leva sulla nostra contemporaneità. Da dove viene – sia come sensibilità che come riferimenti culturali – questa tua esigenza?
Intanto ti ringrazio per la non scontata attenzione che, nonostante Sanremo, stai avendo ora nei confronti di Maddi, per averla compresa e per le belle parole che le hai dedicato. Come dici tu, arriva dalla contemporaneità ma attraverso una storia di due millenni fa che sento ancora attuale, soprattutto nel pregiudizio. Per quanto la figura di Maria Maddalena sia lontana, ho sentito l’esigenza di riportarla all’attenzione dell’essere umano (in primis me stesso) per cercare di recuperare quell’insegnamento che ci è sfuggito.

La musica d’autore oggi è senza dubbio carsica, sotterranea, minoritaria. Però questi aspetti sono anche ciò che la sta rafforzando. Come vedi e vivi questo aspetto, dopo almeno due grandi stagioni (’60 -’70 e ’90 e primi anni ’00) dove la parole e la musica d’autore era dominante?
Lo vivo e l’ho vissuto coerentemente con me stesso, fregandomene del mercato (ma non dell’individuo a cui parlo attraverso le canzoni che scrivo) e pagandone tutte le conseguenze che questo ha comportato fino ad oggi. Raccolte fondi per pubblicare i miei album, artisti blasonati e major che mi producono e poi spariscono, generazioni che sembrano sempre preferire altra musica per una questione di mode che durano un battito di ciglia, ecc. insomma ho vissuto tutto questo e sì, mi ha ferito molto ma non per questo mi sono fermato. D’altronde io ci sono nato e cresciuto con quel modo di fare canzoni, canzoni d’autore che non significano di “poesia” ma di un solo autore che scrive della sua vita, che bestemmia, s’innamora, cade e comunque ritorna.

L’album è un concept, come è nato? Nel senso, la scelta di prendere in mano un grande topos narrativo per farlo reagire con situazioni minoritarie…
Ho scritto “Maddi Eléna” alcuni anni fa, per un’amica che si era tinta i capelli di blu ma ho sempre pensato, appena ne sarebbe arrivata l’esigenza e il momento giusto, di cucirle addosso un intero album che raccontasse la sua storia. Maddalena è il suo vero nome, niente d’inventato ma non l’ho più incontrata da allora, non so che fine abbia fatto ma spero stia bene lontano dalle malelingue che come dice Ivan Graziani, sono davvero maledette. Per quanto riguarda la narrazione del concept ho solo dovuto ascoltare la mia di Maddi, dove voleva portarmi, con le canzoni sparse nella mia testa e i quadernetti di una vita (che non sono state scritte apposta) che lei mi ha chiesto di riprendere a lavorarci e sì, con questa buona dose di attualità relazionale e sociale ego-riferita che mi sta davvero sconvolgendo per quanto sia carica d’odio, presunzione e stupidità mostrata con vanto anche sui social.

Maddi Eléna è un’anima salva?
Lei si, non l’umanità che le sta attorno.

Allo stesso tempo, il tuo sguardo non giudica, e questo, come ho letto nelle note, nasce dal fatto che il tuo lavoro punta l’attenzione sul tema del pregiudizio. Giudicare e pregiudicare, oggi sono all’ordine del giorno. Questa storia cosa ci può insegnare?
Lo stesso Fabrizio De André insieme a tutti quei cantautori che ho amato proprio perché non (mi) giudicavano attraverso le loro parole, mi hanno insegnato a concepire le canzoni come delle storie cinematografiche, con un linguaggio trasversale da permettere all’ascoltatore di viversele individualmente a seconda del proprio vissuto, sensibilità e cultura. Maddi è una figura femminile di tutti i giorni, che subisce le prevaricazioni di certi deboli maschi e prevaricatori sociali, solo perchè vuole preservare quella sua libertà fisica e intellettuale che li spaventa da sempre. Comunque parliamo di canzoni, io non sono né un intellettuale né un filosofo ma solo uno che descrive il suo vissuto attraverso le note che lo sostengono e se questo può servire a smuovere anche qualche coscienza e non solo a far battere il piede, tanto meglio.

Nella cassetta degli attrezzi dell’album, e soprattutto nel tuo modo di cantare, che riferimenti ci sono?
Immagino tu mi faccia questa domanda per i continui paragoni di cantautori e che spesso trovo nelle recensioni: Claudio Baglioni in primis, poi Fossati, Battisti, Rino Gaetano, Mia Martini e sorella, Lucio Dalla, una punta di Capossela se sentono un piano solo, Ivan Graziani, Cocciante e qualcun altro che sinceramente non conosco ma fa figo scrivere. Trovare la propria voce credo sia il lavoro più difficile da affrontare specie se sei anche uno che le canzoni se le scrive. Puoi essere intonato, scrivere dei testi e melodie bellissime, vere, non banali e scontate come se ne sentono tutti i giorni per radio ma se assomigli ad un artista di successo, stai ben certo che la critica se ne fregherà di quello che hai scritto, prediligendo la ricerca superficiale dei più facili paragoni vocali. Quando leggo all’uscita dei miei album solo recensioni di paragoni mi mortifica (e a volte m’incazzo proprio), lo ammetto, ma fortunatamente la mia voce o il modo che ho di scrivere non assomiglia ad un artista in specifico ma a tutto il gota della musica d’autore italiana e forse è solo per questo che sto andando davvero per la direzione giusta, senza badare a chi non ha gli strumenti per andare oltre… Che sia chiaro una volta per tutte, non amo la mia voce ma anche se ci lavoro da una vita, oltre a qualche sigaretta di troppo e un’operazione alle tonsille, è mia e per quanto non mi basterà tutta una carriera discografica per convincere l’ascoltatore della mia buona fede, so di avere una voce molto personale come la mia scrittura, ed oggi la sento ancora più forte e sicura di prima.

“Genova” è un testo splendido, complimenti. Come è nato?
Ero a Milano, in quel periodo ogni tanto frequentavo, mi esibivo o più semplicemente cazzeggiavo a La Casa 139 di Via Ripamonti, rigorosamente di lunedì. Una sera ho conosciuto una ragazza, non ricordo più il suo nome, ma ti dico solo che aveva quel naso aquilino “come luna rovesciata” e due labbra sottili “come cartina arrotolata”, e che quella serata l’ho descritta così per come è stata: speciale, tenera, fatiscente, ligure e sfuggente

Anche “L’amore del piccolo Geko”, trovo che ci sia una scrittura che profuma di cultura francese, ma al di là di questo, è un testo meno diretto rispetto agli altri, come è nato?
Sì, anche se forse ho preso indirettamente un po’ più di Leonard Cohen (lo stesso che si lamentava per i continui paragoni con quel Bob Dylan …). Ti racconto un breve aneddoto sul testo anche se non vorrei che questa canzone perdesse il mistero che ti ha portato a farmi questa domanda. In realtà la strofa incriminata diceva “l’amore del vicolo cieco”, nel senso di un amore a pagamento con una puttana, che finisce lì. La dolcissima violinista Francesca Musnicki, che ha suonato nell’album ed è con me sul palco nei live, un giorno nel Monco-Studio se ne è uscita con quel Geko, forse per un’assonanza con cieco e mi è piaciuto così tanto da sostituirla proprio perché rendeva tutta la canzone meno diretta di come l’avevo inizialmente concepita.

Come hai lavorato in studio? Sei arrivato con tutto pronto? O lavorare in studio ha modificato le tue idee?
Io e mio fratello Andrea con cui collaboro dal disco precedente “Rolling Pop” abbiamo creato nel retro della bottega di famiglia (un negozio di strumenti musicali) un piccola stanza che ho voluto battezzare con il nome di Monco-Studio. Niente a che vedere con quegli studi molto belli e costosi che si trovano in giro ma per noi va bene così, ci possiamo anche fumare dentro e soprattutto non ho bisogno di chiedere o aspettare il permesso di qualcuno per entrarci e buttare giù o modificare all’infinito tutte le idee che ci vengono in mente. No, non avevo già tutto pronto e come dicevo anche sopra, il tutto è nato e si è sviluppato nel corso dei giorni che ci siamo stati dietro. Potrei dirti quattro anni di lavorazione effettiva e almeno venti di metabolizzazione, anche se nel frattempo ho fatto uscire altri inediti su Spotify, che invece questo album non vedrà. L’album Maddi infatti è solo acquistabile come Cd e QrCode interno per il digitale, è il mio piccolo atto concreto di protesta contro un mercato liquido che non da più valore a nulla.

Cosa ti aspetti da questo lavoro?
Passaggi in radio, palazzetti gremiti di gente che finalmente mi considera e mi ama e che canta anche queste nuove canzoni a squarciagola come il sottoscritto. Sì, sogno.

Cosa ti aspetti dal brano “Maddi Eléna”, ora che sta girando e si sta muovendo nelle orecchie e nei pensieri delle persone?
Questa canzone è stata sempre la preferita di mia madre, è una vita che mi chiede di metterla in un disco e si commuove sempre quando gliela suono. Questo per me è già tutto. 

Sarai in tour con questo lavoro?
Lo spero, è difficile suonare in giro se non sei conosciuto e non attiri pubblico. Magari, proprio grazie a questi primi passaggi in radio, alle persone come te e al passaparola di chi già mi conosce, magari qualche live in più mi sarà concesso di farlo e poi si vedrà. Intanto sarò giovedì 1 febbraio all’Arci Bellezza di Milano e domenica 4 febbraio allo Zero, Horti Borromaici di Pavia. Vi aspetto sotto palco.

Articolo di Luca Cremonesi

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