Con “Electric Déjà-Vu – Reloaded”, uscito lo scorso 26 aprile, con l’aggiunta di due nuovi singoli, i Punkreas tornano più carichi che mai, e ripartono in tour. Cippa (voce), Paletta (basso), Noyse (chitarra), Endriù (chitarra) e Gagno (batteria), riattaccano la spina forti anche dei due nuovi singoli: “Ciao Ciao”, pubblicato il 19 aprile, e “In Italy”. Una ricarica che fa il pieno di energia da sprigionare in occasione del nuovo tour dalla band del milanese, che dà appuntamento live per tutta l’estate per una serie di show ad alto voltaggio, in cui saltare, cantare, pogare e sudare, in perfetto stile Punkreas. La spina è di nuovo inserita e nessuno ferma la formazione che ha fatto la storia del Punk Rock italiano.
Abbiamo incontrato Noyse per capire cosa si aspetta con questo nuovo tour e con la riedizione aggiornata dell’album del 2023.
Ripartite da Sabbioneta, nel mantovano, con il vostro tour…
Esattamente, è il primo appuntamento estivo, prima tappa del Summer Tour!
Cosa ci possiamo aspettare di nuovo rispetto all’altra parte del tour, quella invernale…
La scaletta è la stessa. Abbiamo ricominciato, quest’anno, riportando in giro “Eletric-Deja Vu”, l’album uscito nel 2023, per il semplice fatto che, dopo una bellissima tournée estiva, abbiamo dovuto fermarci, per motivi nostri. Ci dispiaceva aver fatto poche date con questo lavoro che ci ha dato belle soddisfazioni. Solitamente facciamo più date con un album, e lo portiamo di più in giro. In secondo luogo, perché questo disco è andato davvero molto bene. È stato accolto in maniera molto positiva dalle persone che sono venute ai concerti. Ci divertiamo a suonare queste nuove canzoni, che stanno diventando anche dei nuovi classici. Insomma, è un disco indovinato. Avevamo voglia di suonarlo ancora un po’, allora abbiamo deciso di fare un altro giro, in tutta Italia, ancora per promuovere questo lavoro. L’album è stato ripubblicato, con l’aggiunta di due canzoni, “Ciao Ciao” e “In Italy”, due singoli, il tutto con una bella rinfrescata. Faremo questo tour, con i brani di questo album, e una carrellata di nostri classici che, se non facciamo, il pubblico ci tira le pietre.
Questi due nuovi singoli saranno in scaletta?
Sì ci saranno.
In “In Italy” cantate che La cultura fa paura, e fino a qui vi seguo, ma mi ha colpito molto la frase che arriva dopo, e cioè che fa paura anche chi ce l’ha la cultura… Come mai?
Molto semplicemente, in quel pezzo si parla in generale di privatizzazione, del fatto cioè che ci sono dei beni che è importante che restino pubblici, e che siano così a disposizione di tutta la popolazione; di tutte le persone, a prescindere dallo stato economico. Uno di questi, che è fondamentale a nostro avviso, è l’istruzione e dunque, di conseguenza, la cultura. Ma la tendenza è quella di sovvenzionare sempre più gli enti privati, e le scuole private, e togliere così finanziamenti al mondo pubblico. Con il risultato di far accedere alla cultura e all’istruzione solo chi se lo può permettere. È un buon sistema per cercare di conservare il controllo del potere da parate delle classi dominanti, escludendo chi può dare fastidio. A noi questa cosa non piace. La cultura è un bene essenziale, come lo sono l’acqua e la sanità. Ed ecco perché abbiamo inserito questo tema nella canzone.
Sempre nella stessa canzone c’è un altro passaggio molto interessate, quello dove cantate che l’aria che si respira non è più così scontata…
A forza di mettere tutto nelle mani del privato, di rincorrere a questa strategia della privatizzazione, siamo già arrivati all’acqua – anche se abbiamo fatto un referendum, ma pare non conti nulla … – e andando avanti di questo passo, anche l’aria potrebbe diventare qualcosa che alla fine dovrai pagare per poter respirare. È ovviamente un’esagerazione, una provocazione, ma fa capire bene il valore che hanno alcune nostre risorse. Visto che sono pubbliche, a nostro avviso devono restarlo, e non passare sotto il controllo di un privato che può decidere, da un momento all’altro, o di alzarti il prezzo, o di sospenderti il servizio. Come società inseguiamo un modello, quello statunitense, e continuiamo a guardalo con ammirazione, e a emularlo, nonostante vediamo in modo evidente quello che succede: c’è chi muore per strada, per esempio, perché non si può permettere l’assicurazione sanitaria, e così via. Una miopia assolutamente incomprensibile. Stessa cosa per la diffusione delle armi. Negli Stati Uniti c’è un’elevata mortalità per colpi da arma da fuoco. Eppure, nonostante vediamo tutto questo, c’è chi vuole andare avanti ugualmente su questa strada. Anche di questa cosa c’è l’accenno nella nostra canzone, dove cantiamo Tu vuò fà l’americano, ma sei morto in Italy…
“Ciao Ciao” invece è un testo dedicato al problema del mondo digitale…
La questione è ampia. Partiamo dall’intelligenza artificiale, che mette a rischio, in teoria, dei posti di lavoro, anche quelli dove viene messa in campo la creatività umana. In realtà noi non siamo contro il progresso tecnologico per partito preso, però pensiamo che serva un po’ di consapevolezza. Ci sembra che questa cosa ci stia fottendo il cervello! Stiamo perdendo il controllo. Alla fine diventiamo come dei tossicodipendenti. Siamo dipendenti da tutte queste tecnologie, e come ogni dipendenza ne diventiamo schiavi. Mettiamo la nostra vita nelle mani di chi controlla queste tecnologie. Esattamente come il tossicodipendente mette la sua vita nelle mani dello spacciatore. Per noi è una questione di consapevolezza: è meglio non abusarne; serve disintossicarsi da questa droga, che neanche sballa fra l’altro, e tornare a farsi di umanità, e di realtà.
La cultura si è sempre occupata della realtà. Eppure oggi sembra che questo fatto non sia più percepito. La cultura, come certa musica, certo cinema, certa letteratura, sono solo di consumo. Sembra che nulla parli più di noi…
Questo è il motivo per il quale le cose, intese come il mondo digitale, possono diventare pericolose. L’intelligenza artificiale, ad esempio, rischia seriamente di sostituire l’artista. Le persone in generale, o le nuove generazioni, lo diciamo in modo chiaro nella canzone, non sanno più riconoscere la sostanza e differenziala dall’immagine. Davvero quindi l’intelligenza artificiale può sostituirsi a noi. In realtà, però, se fossimo in grado di riconoscere la vera arte, la vera sostanza, allora le cose sarebbero diverse. Nessuna intelligenza artificiale può creare l’unicità di un Bob Dylan, o di un Jimi Hendrix, o di qualcosa o qualcuno di questo genere. Serve saper riconoscere il vero talento, e allo stesso tempo l’essenza vera dell’arte, e non farsi intossicare dalle tecnologie. Certo, se hai una popolazione imbambolata, che non sa più riconoscere fra una cosa e l’altra, allora gli puoi far passare per buona e valida qualsiasi fuffa, come già succede oggi.
Dal vostro osservatorio di gruppo storico della scena punk italiana, come vedete il pubblico che viene oggi ai vostri concerti?
È evidente che noi viviamo in una bolla tutta nostra. Le persone che incontriamo, chi viene ai nostri concerti, chi interagisce con noi insomma, non sembrano diverse da quelle che c’erano 20/30 anni fa. Forse è un circuito chiuso, una riserva indiana, un piccolo recinto di persone resistenti, che hanno voglia di qualcosa di diverso. La maggioranza però, ed è ben evidente, non è così, ma queste persone non vengono comunque ai nostri concerti.
Il Punk in Italia, dunque, è una riserva indiana, o ha ancora qualcosa da dire?
Il Punk, paradossalmente, dovrebbe avere oggi un senso maggiore di quando abbiamo iniziato noi. Si dice che stia tornando, anche se io non lo vedo. Alle generazioni di oggi hanno tolto qualsiasi cosa, anche la speranza di costruirsi un futuro. Tutto è precario per loro: dal lavoro alla famiglia, alla scuola, alla sanità; tutto è indefinito, e sotto attacco. L’economia non sta regge più, e non riesce a riproporre la ricchezza che produceva solo qualche anno fa, alle spalle ovviamente sempre di altre persone deboli. In una situazione del genere, creata dalla nostra generazione, i giovani avrebbero il diritto di prendere in mano un microfono e urlarci dentro tutta la loro rabbia; dare calci nel didietro, in senso metaforico, e non solo, alla generazione precedente, e avere un atteggiamento di ribellione molto punk. Il Punk più italiano, diciamo, più che quello nichilista inglese, che in realtà era per il No Future. Quello nostrano invece è sempre stato dalla parte di una ribellione al futuro che ci era stato costruito e servito. Ci si ribellava perché se ne voleva una nuovo e diverso. È sempre stato un punk, quello italiano, più propositivo. Oggi come oggi, il Punk sarebbe la maniera migliore per gridare e difendere i proprio diritti.
Voi proseguite con coerenza, portando avanti un discorso di cultura punk. Serve davvero oggi prendere in mano un microfono per contestare un sistema che è di fatto un ectoplasma terminale, che però ci si ostina a tenere in vita…
La povertà sta dilagando. Tra poveri e ricchi la forbice sta aumentando. Noi stiamo diventando periferia del Mondo, grazie a scelte economiche sbagliate. Io spero sempre che i più giovani a un certo punto dicano andatevene a quel paese…, e così prendano in mano la situazione. Sì, noi siamo fatti così. Portiamo avanti il nostro modo di vedere le cose, e di vivere. Lo facciamo da sempre, senza tentennamenti. Siamo qui, dopo tanti anni, proprio per questo. Abbiamo iniziato a fare Punk nel 1989. Non andava di moda a quei tempi, perché i giovani suonavano metal. Tanti ci dicevano perché stessimo facendo quella così lì. Noi rispondevamo che era quella che ci veniva più naturale; quella con la quale riusciamo ad esprimere ciò che volevamo dire e raccontare. Lo abbiamo fatto quando non era di moda. Poi il Punk è diventato mainstream … quasi mai a ben vedere, perché non lo è mai stato davvero al 100%… Sono nati tanti gruppi punk, che quando la moda finiva, si scioglievano come neve al sole.
Noi invece siamo andati avanti a fare Punk proprio perché la nostra motivazione originaria era più vera; era un’esigenza nostra, un desiderio intimo di fare questa cosa. Ed è per questo che proseguiamo sulla nostra strada, anche se il Punk è passato di moda. Abbiamo continuato. Ora ci dicono che stia nuovamente tornando, bene così. Noi siamo ancora qui, perché lo facciamo con presupposti diversi. Siamo realmente fatti così. E raccontiamo quello che siamo, tenendo presente che, nel tempo, anche noi siamo cambiati. Non restiamo sempre uguali. Essere fedeli a se stessi, non vuol dire rimanere immobili e sempre uguali stessi. Restiamo veri, questo sì, ed è così che resistiamo nel tempo. Facciamo sempre quello che siamo, a prescindere da ciò che si succede attorno. Insomma, non abbiamo mai seguito la moda del momento.
Ultima domanda, come è nato l’incontro con Giancane?
Ci siamo incontrati a Roma, a una manifestazione in favore dei Curdi. In quel contesto, oltre ad altri artisti, abbiamo conosciuto Giancane, ed è stato un colpo di fulmine. Amore a prima vista. Ci siamo riconosciuti come simili. Siamo stati tutta sera insieme, e abbiamo capito di essere fatti della stessa pasta. Artisticamente c’era la voglia di fare e raccontare delle cose, passamele, intelligenti, che fanno muovere la testa insieme alle gambe, in modo ironico e divertente. Abbiamo insomma affinità elettive che ci hanno avvicinato tantissimo.
Articolo di Luca Cremonesi
Foto di Luca Ash
Electric Déjà-Vu – Reloaded Tour
25.05 | Mad One Springbreak, Sabbioneta (MN)
01.06 | Motofiera, Sardara (SU)
14.06 | Festa Rebeldes, Piacenza
21.06 | WP Festival, Vittorio Veneto (TV)
22.06 | Rock Burger Fest, Moncalieri (TO)
26.06 | Birracava, Cava Manara (PV)
04.07 | Viarolo in Piena, Viarolo (PR)
05.07 | Green Volley, Rivignano Teor (UD)
07.07 | Revel Summer Fest, Treviglio (BG)
11.07 | Rugby Sound Festival, Legnano (MI)
19.07 | Carabattole Love Park, Agliana (PT)
23.07 | Rumagna Unite, Campiano (RA)
25.07 | Villachiara in Fermento, Villachiara (BS)
04.08 | Rock ’n Beer, Valledoria (SS)
30.08 | Sonica, Mandello del Lario (LC)
31.08 | Vitignanostock, Meldola (FC)
13.09 | Bologna Buskers Festival, Bologna