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Renato Caruso intervista

Il nuovo disco “Thanks Galilei” tratta la teoria del relativismo musicale

Renato Caruso è compositore e chitarrista, collabora con diversi artisti, lavora presso diverse accademie come docente di chitarra classica, acustica, T&S e informatica musicale. Il suo nuovo disco “Thanks Galilei” è uscito il 5 maggio e tratta la teoria del relativismo musicale.

Un’infinità di collaborazioni di altissimo livello, già da giovanissimo: impegno, studio, talento… ma immagino tanta volontà.
La volontà è la prima cosa, è un fuoco che hai dentro, se hai quello è tutto in salita. Studio, sacrificio, spostamenti, ne vale la pena.

Quali sono stati i maestri, o gli album, che ti hanno influenzato da bambino e ti hanno portato a sentire il richiamo della musa chitarristica?
Ho avuto la fortuna di crescere in una famiglia che amava la musica, mio padre e mio fratello maggiore (anche lui artista, pittore) già suonavano, quindi c’erano chitarre da tutte le parti, anche tastiera, ecc.  Poi con il passare del tempo mi accorsi che mi piaceva tanto e mio padre mi disse: perché non provi a fare il Conservatorio? All’inizio ebbi un po’ di paura poi tutto filò liscio!  La mia passione nasce semplicemente dal fatto che ho sempre respirato “note” a casa. Mio padre suona la chitarra e scrive, un cantautore amatoriale, e ha avuto per molti anni una scuola di musica. Il suo lavoro è docente di filosofia alla superiori ma faceva tutto questo per cultura musicale e per tutti noi ragazzi. Oltre a suonare con diverse band dell’epoca (anni ’60/’70) aveva la chitarra e un libro, sempre in mano. Era quasi ovvio che m’innamoravo di questi due mondi, libri e strumenti. Ci sono tanti strumenti a casa ma anche tanti libri. 

All’inizio, quando scopri la musica, i tuoi punti di riferimento sono i dischi, la musica di famiglia, quindi mio padre che mi faceva ascoltare Beatles, Rolling Stones, Equipe 84, Battisti, mio fratello con i Litfiba, Ligabue, mamma con Nannini, Battiato e poi arrivano gli studi in Conservatorio che ti fanno innamorare della musica classica e da allora non smetto mai di ascoltare Chopin, Beethoven, Puccini, Verdi. Ho sempre questi dischi in primo piano. Poi arriva Sting, Pino Daniele, Pat Metheny, e sono loro che danno l’impronta ben definita al mio stile musicale. 

Con l’uscita del tuo primo album sei stato nominato inventore del genere musicale “Fujabocla”, una delle tante espressioni della tua tecnica multiforme e contaminata… Ma non ti sei fermato lì, la tua ricerca è continua, non è di stile ma di espressione di te stesso?
Esatto, è la mia estensione. In breve FuJaBoCla è l’acronimo di Funk, Jazz, Bossa, Classico. Questi rappresentano le diverse influenze culturali musicali del mondo. Ne mancano sicuramente altre come il Rock, il Pop, che non tratto in quanto suonare FuJaBoCla porta ad un Pop contaminato e, se vogliamo, anche Rock. Partendo dall’Europa si arriva in America settentrionale e latina. Credo che il mondo sia dominato da idee di vario colore, ormai fuori casa si trova cultura cinese, pakistana, indiana, giapponese, marocchina, brasiliana e così cambia anche il nostro modo di agire, di pensare, di interpretare. Anche le nostre abitudini primarie sono cambiate, non molto tempo fa avevi la scelta di vari ristoranti italiani e pizza, ora tutto è cambiato, è diverso, trovi cucina giapponese, cinese, marocchina, indiana, greca e tutto quello che vuoi.

Tutto ciò sta portando ad un cambiamento, spesso inconsapevole, del nostro pensiero. È quello che succede nella musica di oggi, si arriva ad un traguardo che è la poliedricità del ritmo, della melodia, dell’arte musicale in generale. FuJaBoCla ha una buona base classica, credo che nel principio delle cose si ha sempre una buona dose di cultura classica, così come Einstein ad un certo punto della vita si mise a studiare la matematica classica per capirne segreti ed errori, anche io mi sono proposto di mettere una buona dose di mu- sica classica nel mondo della musica.  Qui spiego FuJaBoCla, un po’ vecchio il video e fatto male ma rende…

Qui la tesi con il concetto di FuJaBoCla: https://www.renatocaruso.it/download/biografia/tesi3.pdf

La tua carriera musicale si espande in più direzioni: collaborazioni, insegnamento – peraltro su più fronti: classica, acustica ed elettrica, teoria e solfeggio – ma anche esperto di informatica musicale. Ci dici di tutte queste sfaccettature della tua attività? 
Per me la ricchezza è il tempo libero, non i soldi. Il tempo ci serve per studiare, far ricerca, curiosare… Ho pochi soldi, il minimo, ho un lavoretto part time, insegnamenti, concerti; ho avuto molte difficoltà negli anni (non è che ora vada meglio) ma oggi ho portato a casa un nome. Ma tutti hanno la stessa chiave: la curiosità. 

Ci piacerebbe approfondire il discorso sul tuo expertise di informatico musicale: quanto è importante per i musicisti attivi conoscere questo aspetto della produzione musicale contemporanea? A tal proposito hai pubblicato – sei stato un po’ un pioniere – un libro che è un breve saggio sulla musica e il suo intreccio innovativo con le tecnologie informatiche…
Purtroppo le nuove tecnologie, comprese l’AI, mettono a rischio la vera musica, anche se poi ci sono sempre belle canzoni. Il problema è dipendere totalmente te dalla tecnologia. Una nuova AI, ed io ho fatto la tesi su questo nel 2006 e ho lavorato come ricercatore, quindi qualcosa so, è sempre più difficile da gestire, parlo musicalmente. Di recente ho letto che Spotify ha tolto dalla sua piattaforma i brani generati da AI perché alcuni bot incrementavano gli stream. Dobbiamo stare attenti a molte cose di questo tipo. D’altra parte la tecnologia ci permette si scrivere brani, trascrivere, far comodamente a casa nostra una produzione basic. La tecnologia è uno strumento non il fine. Il libro racconta di un matematico e di un musicista che passeggiano lunghe le vie di Milano e ognuno racconta la propria esperienza di lavoro. Si accorgono che parlano della stessa materia, uno in chiave musicale, l’altro in un linguaggio matematico.

Nella tua opinione, dunque quanto l’informatica influenza la creatività dei giovani musicisti e di chi decide di fare musica senza aver prima solide basi “analogiche”? A quale risultati culturali può portare?
Siamo immersi nell’informatica e di conseguenza tutto dipende da essa. Se sai suonare uno strumento ancora meglio ma oggi, non è più importante come una volta. La creatività la si dimostra anche tramite i bit.

Sto scoprendo soltanto ora il mondo degli NFT nella musica; tu già nel 2022 hai messo in vendita i tuoi primi tre lavori attraverso il web 3.0. Ci spieghi con parole semplici questo mondo, e quali sono le potenzialità, sia economiche che culturali?
Spiegarlo in due parole è un po’ complicato ma gli NFT sono il futuro, non che sostituiranno la musica che già esiste, vivranno parallelamente. Quando compri un NFT, semplicemente un file (musicale, testo, opera), stai acquistando la proprietà di quel determinato prodotto. È come se comprassi un Picasso originale, non una copia. A questo punto potrai rivendere il tuo file (o tenerlo) come e quanto vuoi. Come se acquistassi un vinile ma in versione digitale. La rete attesta che è tuo e solo tuo. Un pezzo unico. Ecco così che la cultura si alza di livello, nel momento in cui tu acquisti qualcosa stai già alzando il valore di quel prodotto, come un libro. E il web 3.0 permette di fare proprio questo: economia più informatica. A tal proposito vi consiglio un libro appena uscita, già dal titolo “Almeno tu nel metaverso” è da leggere immediatamente, di Silvia Bertelli e Luana Caraffa, edito da Volo Libero. 

Il 5 maggio è uscito il tuo ultimo album “Thanks Galilei”, che tratta la teoria del relativismo musicale, con un approccio particolare non soltanto nella composizione ma anche nella registrazione. Ci racconti della genesi dell’idea e di come l’hai poi realizzata?
Le domande che mi sono posto sono: cos’è la musica? Cos’è il tempo? Esiste correlazione? La musica è da sempre un mistero, forse alchimia tra note, ritmo e qualche ingrediente che ancora non conosciamo. Eppure di una cosa sono certo: l’emozione percepita dall’ascolto di un brano varia dal momento in cui l’ascolti. Questo è l’ulteriore lato affascinante dell’arte e cioè il momento, l’istante, il tempo in cui si ascolta un brano musicale o si osserva un quadro. Proviamo a spostare la nostra visione del mondo musicale dalle note al momento (tempo) in cui si ascolta una canzone.  Perché bisogna andare ad un concerto di sera e non alle nove del mattino o in pausa pranzo? Introduciamo una nuova variabile nella musica, il tempo, ma non inteso come ritmo, ma l’esatto momento della giornata in cui si fa musica.  Galileo Galilei parlava di relativismo in quanto il movimento dipende dall’osservatore, per me la musica dipende dall’ascoltatore: relativismo musicale. E non a caso Vincenzo, padre di Galileo fu un vero e proprio rivoluzionario della musica, forse la scienza è figlia della musica?

Vedi anche l’impressionismo, i pittori dipingevano a seconda dei momenti della giornata. Ecco che un quadro poteva avere più interpretazioni, sempre lo stesso quadro. E perché non fare la stessa cosa con la musica? Perché non possono esistere diverse interpretazioni di un brano musicale a seconda dell’istante in cui lo si è suonato? Una nuova teoria della relatività della musica potrebbe funzionare. Un cd potrebbe contenere 10 tracce uguali ma suonate in momenti diversi durante l’arco di una giornata oppure tracce simili ma divise in generi diversi, proprio come fecero i cubisti. Ogni genere è un’interpretazione (che era il mio vecchio concetto di FuJaBoCla del 2007). E’ come se immergessimo la relatività di Einstein e l’impressionismo/cubismo nella musica, in fondo Albert pensava in musica… Ironicamente, è come unire in un’equazione la musica mettendola in relazione all’armonia, melodia, ritmo e il tempo: M = (a+m+r) * t. Ed è il tempo, l’emozione, che decide la musica non la musica in sé.

Articolo di Francesca Cecconi

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