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Asaf Avidan live Firenze

La sua musica destruttura tutto ciò che è nella norma, tutto ciò che è prevedibile, o che fa sensazione

Si, era il live report che mancava in questo giornale, il peso dell’assenza lo sentivo come una mancanza imperdonabile. Ma ecco che il vuoto non c’è più. Asaf Avidan è finalmente tornato in Italia durante il suo nuovo tour, date che temevamo essere annullate a causa della terribile contingenza storica in corso, e parlo della guerra Israele – Gaza, ovviamente.

Fuori dal Teatro Puccini di Firenze l’8 novembre c’è appunto un discreto contingente di forze dell’ordine, ma dentro il clima è disteso, le persone con l’intelligenza propria di chi ha la musica nelle vene non risentono affatto della situazione, e la venue è stipata, in platea non c’è una poltrona vuota.

Nessun opener, il concerto inizia con un lieve ritardo per via del controllo borse all’ingresso. Sono dunque passate le 21 quando Asaf Avidan sale sul palco, che già dall’allestimento ci conferma che sarà un concerto da one-man-band. È come di consuetudine elegantissimo, completo di ottima fattura, cravatta, bretelle. Un uomo di altri tempi, per certi versi, ma assolutamente contemporaneo; l’aspetto riflette anche la miscellanea della sua incredibile musica, piena di riferimenti anni ’50 e ’60 e al tempo stesso totalmente moderna.

Asaf Avidan è un artista unico, come compositore, musicista e performer, la sua musica destruttura tutto ciò che è nella norma, tutto ciò che è prevedibile, o che fa sensazione, o che frastorna in modo ruffiano. Destruttura certezze mentre ti fa sentire al sicuro, e come faccia è presto detto: è geniale, è profondo, ha una sensibilità immensa la cui forza sta nella sua fragilità, che prorompe dal palco, arriva a noi inchiodati nelle poltrone, e ci rassicura, ci fa sentire umani con questa musica vera.

Folk? Inde Rock? Soul? R’n’B? Blues? Decidete voi, o meglio sentiteci ciò che preferite. Sicuramente a Avidan non interessano le etichette, e per stasera neanche a noi.

L’allestimento del palco prevede un pianoforte a coda Steinway, tre chitarre acustiche e una cigar box, armonica, sonagli a caviglia, drum machine, sequencer, una enorme quantità di pedalini, ma anche due abat jour, una sul piano da tavolo e una da terra accanto a una poltrona, un tavolino con decanter da whisky e bicchieri, tappeto e un attaccapanni. Il tutto crea un’atmosfera raccolta ed elegante, ma lo spettacolo sarà accompagnato da uno stage lighting bellissimo che supporterà questo clima soffuso.

Asaf Avidan inizia il concerto al piano, senza altro accompagnamento, per “Rock of Lazarus”, e già da “Lost Horse” inizierà a “spippolare” (come si dice qui in Toscana) con le sue drum machine, sequencer ed effetti a pedale. Ma si ferma già non solo per passare all’area delle chitarre – che suona fingerstyle – ma per fare il suo primo discorso, il più lungo, sulla guerra, affatto prevedibile e banale.

Prima di continuare il concerto, sento la necessità di dire qualche parola. Ieri è passato un mese dalla data del brutale attacco da parte di Hamas al popolo civile israeliano, e questo ha riportato un’ondata di disperazione e mancanza di speranza, e poi è arrivata la ritorsione israeliana che ha aggiunto una nuova ondata di disperazione e mancanza di speranza. Questo ciclicità di violenza, vendetta e odio, la vediamo da sempre, ma sembra che ci sia una continua crescita in crudeltà, e diventa impossibile da sopportare. Io sono israeliano anche se ormai vivo da tempo altrove, e tutto questo mi fa talmente male che non riesco più a dormire, a mangiare, sto fisicamente male perché penso continuamente alla mia famiglia, ai miei amici. Quando è accaduto, a metà del tour, il mio corpo è collassato, non riuscivo a contenere il dolore, ma ho continuato ad andare avanti anche se le mie condizioni fisiche sono tutt’altro che ottimali, sto ancora cercando di recuperare al meglio la voce. Il promoter ha continuato a chiedermi se volevo cancellare il resto del tour, ma io ho continuato a dire di “no, voglio andare avanti”, chiedendo a me stesso perché lo volevo fare. La risposta è che lo ritengo importante, e non per il classico cliché rock “The show must go on”, ma perché altrimenti “loro” vincono, l’odio vince, la rabbia vince. Penso che la musica sia importante per noi, per la società civile, perché l’arte non è strumento di fuga, ma un mezzo di introspezione per capire noi stessi e il mondo in cui viviamo. Ora sembra che ognuno voglia prendere una posizione, una sponda, senza confrontarsi. Quando veniamo sconvolti, quando abbiamo paura, regrediamo a una condizione semplicistica di schieramento, di vedere tutto in bianco o nero, di considerare un “noi” e un “loro”. Questi attacchi terroristici non sono diretti soltanto ai nostri cittadini, ma alla nostra capacità di capire la complessità della situazione, creando un mondo polarizzato dove ognuno si sente obbligato a prendere una posizione, stare di qua o di là. È questo il mondo dove la violenza e l’ingiustizia può prosperare, dove le persone perdono la capacità di capire e ascoltare. Questo sono il fanatismo, il populismo, il fascismo, che possono esistere soltanto in un mondo schierato. Allora, quello che voglio provare a fare io, e che ho fatto in queste settimane nonostante il malessere, è di non utilizzare la musica come intrattenimento, come via di fuga dal dolore, non ne abbiamo bisogno. Possiamo utilizzare il linguaggio dell’arte, della musica, della poesia perché è grandioso, perché è traducibile e condivisibile, perché ciascuno di noi ci può trasferire le proprie speranze, i propri percorsi interiori, la propria topografia emotiva, qualsiasi cosa abbia bisogno di esprimere. La musica è il miglior strumento per l’introspezione, per cercare a fondo nella nostra anima e vedere ciò che è a pezzi, ciò che è ferito, per trovare e scoprire le nostre fragilità e complessità, conoscerle ed evitare che si trasformino in rabbia. Noi possiamo dare dignità e bellezza alle nostre fragilità con la musica, possiamo allargare il cerchio ad altre persone, aprire al dialogo, creare nuove speranze. Dico quello che sento io, ma dobbiamo farlo tutti noi insieme, grazie anche alla musica.

Mi è impossibile raccontare le sensazioni palpabili in sala, il livello di attenzione, la condivisione senza aver bisogno di far parola; le persone si giravano verso chi avevano accanto con occhi intensi, con coinvolgimento, con sentimento.

È stato un momento unico ma soprattutto importante per tutti noi presenti, perché sì, fuori ci sono solo schieramenti, anche in questa città, storicamente nota per questo atteggiamento messo nero su bianco già nella Divina Commedia, siamo guelfi o ghibellini. Il concerto procede dunque con un trasporto, con una partecipazione che va oltre lo stare ad ascoltare musica, tant’è che nessuno canta, nessuno sbraita verso l’artista alcuna richiesta particolare, nessuno chiacchiera. E sono pure pochi i cellulare alzati per far video, tanto non ce n’è bisogno, il concerto lo registriamo nel cuore.

Prima di “For You Blues” Asaf si leva la giacca (ecco a cosa serve l’attaccapanni), si serve da bere redarguendo scherzosamente il pubblico che lo applaude Non dovreste approvare il fatto che beva alcool! Si lega alla caviglia una fascia di campanelli e ci porta dritti nei campi di cotone, per poi cambiare cavigliera, il pubblico ride durante l’operazione e lui interviene non so perché la gente ride sempre quando faccio questa operazione, guardate che è uno strumento serio, l’ho preso in un music shop! Ecco che si scatena alle percussioni insieme alla cigar box guitar, che suona anche con le bacchette percussive.

Portandosi dietro il bicchiere di whisky (o altro liquido ambrato) torna al suo pianoforte per “Amen”, e la sua voce più procede il concerto più diventa immensa, se chiudiamo gli occhi possiamo immaginare che sul palco ci siano almeno 4 o 5 diversi cantanti, perché non sai se è voce nera o bianca, voce di uomo o di donna, di giovane o vecchio, dove vuole andare, quanto si vuole espandere, o quanto vuole scendere, se sono corde vocali o strumenti, riesce perfino a mimare il suono della tromba. L’utilizzo che Avidan fa della voce è strumentale, è come uno dei suoi strumenti, che peraltro suona tutti con virtuosismo, tenendo tutto contemporaneamente sotto controllo da solo – non si è mai visto alcun roadie di palco intrufolarsi (evviva, se leggete i miei live report sapete che io odio quando accade sistematicamente) a sistemare qualcosa, fosse anche solo un cavo. Niente ha interrotto il contatto visivo ed emotivo tra l’artista e noi pubblico.

Un secondo lungo discorso arriva per introdurre “Not in Vain”: Questa canzone non doveva già essere uscita, faceva parte di una strategia per pubblicare lentamente diverse canzoni del nuovo progetto “In a Box III” durante tutto il tour. Tutto è cambiato, ovviamente, con lo shock, il cuore spezzato e il lutto delle ultime settimane. Inizialmente ho messo in dubbio l’idea di pubblicare canzoni in questo momento, ma dopo le risposte delle persone nel bel mezzo del conflitto, credo che questo dia davvero qualcosa di importante. Questa canzone non è stata scritta sulla situazione ed è stata registrata molto prima che questa guerra scoppiasse. Comunque, ogni sera la canto da allora, mi sento portare dentro i miei sentimenti attuali.

Il concerto fluisce senza che durante i brani si senta volare una mosca, il pubblico ascolta in religioso silenzio, spellandosi però le mani in applausi nelle pause. Dopo un’ora e mezzo abbondante Asaf lascia il palco con un inchino, ed è standing ovation. Tutto il pubblico in piedi lo richiama a gran voce per un ultimo brano, che conclude davvero la serata, indimenticabile. Usciamo cercando l’auto nella nebbia, portandoci via tanta bellezza, e tante riflessioni. Ci sentiamo davvero ricchi, pur destrutturati. Grazie Asaf. Grazie Musica.

Articolo e foto di Francesca Cecconi

Set list Asaf Avidan 8 novembre 2023 Firenze

  1. Rock of Lazarus
  2. Lost Horse
  3. Maybe You Are
  4. No Stone Unturned
  5. Little Parcels of an Endless Time
  6. Man Without a Name
  7. Over You Blues
  8. Bang Bang
  9. Amen
  10. Not in Vain
  11. 900 Days
  12. My Tunnels are Long and Dark These Days
  13. The Golden Calf
  14. Reckoning
  15. Your Anchor
  16. Gold Shadow
  17. Labyrinth Song
  18. Love it or Leave it
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