La prima nazionale dello spettacolo di Simone Cristicchi e Amara (Erika Mineo) non poteva andare in scena in un contenitore migliore. Il Festival della Bellezza, format nato a Verona e ora pronto, da quest’anno, a spiccare il volo anche come boomerang promozionale per il turismo culturale, ha voluto “Torneremo Ancora – Concerto Mistico per Battiato” come esclusiva. I perché sono molti ma il più significativo lo ha raccontato lo stesso Cristicchi. Questo spettacolo è nato qui a Verona, all’Arena un anno fa. Mentre quella sera cantavo “Il Re del Mondo”, in occasione del grande concerto per ricordare Battiato, ho iniziato a pensare a questo progetto. Dimenticate, però, quell’enorme e lungo karaoke, trasmesso anche dalla Rai, perché quello che Cristicchi e Amara hanno messo in scena è l’esperienza musicale e teatrale più interessante, intensa e bella che si possa trovare in circolazione in questa Italia post-Covid (il podio, per chi scrive, se lo dividono solo con Iosonouncane).
Le sorprese sono e saranno molte per chi deciderà di andare a sentire questo omaggio che è una lettura guidata su uno dei tanti sentieri che si possono percorrere nella foresta ricca di senso e di significato che rappresenta l’opera di Franco Battiato. Tutto lo spettacolo è costruito davvero con grande attenzione: dalla scelta delle 24 canzoni in scaletta a quella dei testi letti dai due protagonisti; dalle percussioni di U. T. Gandhi alla voce di Amara (vera mattatrice dello spettacolo) fino all’intensità delle esecuzioni e alla serietà – ma questa non è una novità – di Cristicchi che mette mano a un repertorio con la dovuta cura e con il necessario rispetto.
Gli omaggi, in un Paese dove la cultura musicale sta scemando, sono l’àncora di salvezza per un modo di fruire la musica che ormai – nel bene o nel male, non sta a me decidere – è cambiato. Il modo di fare esperienza, rifacendoci all’accezione di Walter Benjamin, è drasticamente mutato. Forse l’esperienza dell’ascolto della musica live sarà e resterà una questione di dinamiche sempre più minoritarie, oppure finirà per essere modificata in modo indelebile dai barbari – alla Baricco – che, con il loro arrivo, hanno mutato paesaggio e orizzonti del nostro presente. La si veda come si vuole, ma sta di fatto che la musica come esperienza collettiva di divertimento regge ancora, mentre nell’accezione d’ascolto, indagine e sperimentazione, arranca e fa molta fatica a trovare pubblico.
Cristicchi ha da sempre scelto la seconda via. Non va dimenticato che ha alle spalle una carriera seria e articolata fra musica colta, impegnata e teatro, oltre ad avere un pubblico che lo segue ed è abituato a questi suoi lavori. C’è da dargli atto e riconoscergli comunque coraggio e coerenza. Soprattutto in epoca post-Covid. Questo spettacolo dimostra che la qualità paga, senza dubbio, ma ha bisogno di tempo, di capacità e d’attesa, merci rare nell’epoca contemporanea. O meglio ancora, possiamo dirla così, uno spettacolo di questa caratura è cosa rara; è un’esperienza ai margini di un sistema che impone il divertimento e il consumo come prioritari, oltre ad essere figlio di coerenza e stile, pensate sempre nell’accezione di Benjamin.
Sul palco, oltre a Valter Sivilotti, pianista, compositore e arrangiatore di progetti musicali che hanno raccontato in questi lustri la musica d’autore italiana (e non solo), Cristicchi si porta anche U.T. Gandhi che regala una sezione ritmica semplicemente perfetta e capace di dare corpo ad un suono classico (archi e pianoforte) senza mai diventare minimale. La scelta di percussioni non convenzionali – dallo djembe ai campanelli, passando per una ricercata selezione di piatti – sono fra i valori aggiunti di questi arrangiamenti. “L’era del cinghiale bianco” e “Le sacre sinfonie del tempo”, brani d’apertura, acquistano linfa vitale ulteriore grazie a questo djembe che s’impone senza sovrastare gli altri suoni, senza cioè schiacciarli e farli scomparire. Poi c’è lei, Amara.
Che scoperta meravigliosa. Non oscura Cristicchi perché lo spettacolo è costruito, con sapienza, a quattro mani e due menti; e perché i due sono in piena sintonia artistica. Si completano a vicenda e il concerto non potrebbe funzionare se sul palco mancasse uno dei due. Tuttavia, per gli oscuri (sono ironico) meccanismi della musica italiana, tutti conoscono Cristicchi e pochi sanno chi sia Amara. Il grande pubblico si ricorda di lei quando esegue “Che sia benedetta”, portata al successo della Mannoia; o quando, digitando su Google, scopre della sua partecipazione a Sanremo nel 2015. All’attivo Amara ha due album (che si trovano a fatica in commercio, ma cercate bene che sono ancora disponibili online…) e molte collaborazioni. Quando, però, parte la sua serata non si può che restare a bocca aperta.
L’estensione vocale è di quelle importanti; come d’altronde le tonalità che è in grado di cantare. Senza mancarle in nessun modo di rispetto, ma solo per cercare di far capire a chi legge – in caso non la si conosca – va detto che Amara racchiude in se voci come quella della Mannoia, della Bertè, della Nannini (quando sale è sublime, con tanto di voce roca) e, soprattutto, quella di Alice.
Il concerto si apre con la voce di Battiato e con un canto sacro dedicato a Ganesh che serve per rimuovere gli ostacoli. Però c’è da dire anche che, appena si spengono le luci, un cono luminoso si ferma su un altarino con candela e incensi. Si trova proprio al centro del palco, fra il microfono di Amara e quello di Cristicchi. E’ proprio là dove stava il tappeto … Non può essere casuale. No, non è possibile. Battiato è lì, non solo come voce fuori scena amplificata dalle casse, ma come presenza alla quale è dedicato questo spettacolo. In sostanza, è fra di noi non solo come presenza, ma anche come forma di energia e di luce. Non va dimenticato che di questo racconta il concerto. Più volte tali aspetti verranno ricordati e declinati in modi diversi.
C’è una forte spiritualità che Cristicchi e Amara hanno ricercato e trovato nell’opera di Battiato. La nostra presenza è una forma di energia che non può sparire viene anche ricordato, nel finale, con un testo di Battiato. Pertanto è chiaro che quella presenza fatta di luce e profumi – per me i colori della natura sono un linguaggio; i profumi sono un linguaggio; le presenze sono un linguaggio, esono sempre sue parole – è il cantautore che viene celebrando.
La scelta di Cristicchi, si diceva, è sapiente e figlia di un pensiero che denota rispetto e voglia non solo di cantare canzoni ma di aggiungere qualcosa di personale ad un repertorio che ormai è patrimonio collettivo. I grandi pensatori lo sostengono nei confronti dei loro predecessori e cioè che non c’è da fare glosse e tanto meno appunti o note a margine. Di fatto serve avere un rapporto aperto, non morboso, con un’opera e da questa generare un proprio figlio che avrà sia il Dna del genitore originario sia i tratti del padre e della madre – come in questo specifico caso – che con quell’opera hanno avuto un intenso rapporto amoroso. Lo spettacolo, dopo il canto per liberare il campo dai fraintendimenti e da inutili operazioni di karaoke e di nostalgia, fa capire che si sta assistendo al Battiato firmato Cristicchi e Amara, e cioè riletto e proposto dalla loro sensibilità. Un Battiato pertanto filtrato da due grandi artisti che si sono confrontati con un’eredità e ne hanno tratto insegnamenti e riflessioni che sono condivise ora con il pubblico.
Il filo conduttore è la spiritualità e il misticismo di Battiato, questioni mai sopite e da sempre al centro del dibattito sul personaggio in questione. Cristicchi e Amara prendono posizione, cosa che spetta agli artisti: Battiato è persona alla ricerca e che ha saputo trovare, in linguaggi religiosi diversi, dimensioni e orizzonti lontani, anzi lontanissimi. Con questo filo rosso stretto in mano i due si addentrano nel labirinto con estrema sicurezza (e che diventerà ancora più evidente quando lo spettacolo sarà rodato di più sul campo), senza paura e decidono di percorrere anche le vie minori, e cioè gli anfratti di canzoni poco battute dalle rotte commerciali che portano in giro il repertorio di Battiato.
L’apertura è classica, ed è giusto che sia così, ed è affidata a “L’era del cinghiale bianco” che, in questa dimensione di rilettura, perde l’anima pop per tracciare la via del cammino di questa serata. Per Cristicchi e Amara non si tratta solo di canzonette, ma di qualcosa d’altro. “Le sacre sinfonie del tempo” e “Fisiognomica” dettano il passo, come d’altronde i testi che vengono letti dai due protagonisti della scena. La ricerca è musica e la musica è servita a Battiato per andare alla ricerca di un divino che sta al di sopra di questo mondo ed è, sostanzialmente, unità. Cristicchi e Amara a questa dimensione credono e a questa guardano con interesse durante il loro viaggio di ricerca. Non si perdono in siparietti, tanto meno in tormentoni. Vanno diretti per la strada che hanno tracciato.
Cristicchi si concede solo qualche passo di danza, studiata dai movimenti di Battiato, e quando Amara, preso in mano il timone della scena, si lancia in una delle canzoni più difficili del repertorio, “E ti vengo a cercare”, brano che mise in difficoltà anche una voce come quella Giovanni Lindo Ferretti, fa capire che chi è alla ricerca, come è capitato a me, trova in queste parole non solo condizione d’esistenza simile ma anche consapevolezza che la via è intrapresa (un poco parafrasato, ma il senso è questo).Diventa chiaro a tutti che sono i due artisti sul palco che stanno facendo questo percorso in diretta, e lo portano avanti con noi ascoltatori. Qui ed ora. Siamo complici, insomma. Si viaggia insieme, il pubblico e gli artisti che stanno lavorando, come succede su un tornio con l’argilla, queste canzoni.
Certo, il concerto è pensato, provato e costruito con un lavoro sapiente, certosino e chimico di dosaggio delle parti, ma non è solo questo quello che si sente. C’è in gioco una dimensione di meditazione che ha bisogno di essere condivisa e ascoltata nella modalità live, con il pubblico presente. E la magia funziona proprio perché chi ascolta non cerca per forza di cantare, ma si immerge e scende, come fanno i palombari, preso per mano dalla sapiente guida dei due artisti. La ricerca va condotta nei fondali e negli abissi della musica di Battiato. Quando poi si arriva al primo vertice della serata, rappresentato dall’esecuzione de “L’ombra della luce”, Cristicchi e Amara hanno il pubblico ormai nelle loro mani, pronto a seguirli ovunque. Prima lo hanno conquistato con un Padre Nostro ortodosso recitato in Aramaico, aggiunto in apertura, poi sono stati i suoni, che vanno da “Creuza de mä alla “Kashmir” unplugged di Page e Plant, che hanno fatto il resto. L’esecuzione è perfetta e il canto di Cristicchi si trasforma in suono significante. Non è più voce, davvero. E’ un trasporto; una carovana nel deserto che trascina via dalla sedia e porta altrove. La musica, ancora una volta, è riuscita nell’impresa e a fatto compiere il miracolo che i due cercano: canzoni sì, ma figlie del pensiero e di esperienze vissute. Il pubblico non può che applaudire, senza sosta.
Non resta che prendere una pausa, perché i due sanno che quel passaggio è tanto intenso che si deve cambiare ritmo per non far restare ingabbiato in quella dimensione un pubblico che è pur sempre pagante. E così si torna in terra con “L’animale”, pezzo pop, che pop resta, con una consecuzione semplice e cristallina. Tutti tornano in terra, ma solo prima di riprendere il percorso.
Il trittico, che arriva dopo l’esecuzione de “Gli uccelli”, brano che rimette tutti in carreggiata, è il secondo vertice della serata. “Stage Door”, “Io chi sono”, “Lode all’inviolato” sono canzoni intime non solo per chi ascolta ma anche per chi le sta cantando. Cristicchi, ma in questo caso è sopratutto Amara a fare la differenza, non nasconde l’emozione. Amara, infatti, rompe gli indugi e, pur se fino a questo momento non è mai rimasta in ombra, sfodera su “Stage Door” voce, personalità (perché non è proprio il Battiato più noto) e intensità che non possono lasciare indifferenti. Come sarà per “La stagione dell’amore” che – sono pronto alla pubblica gogna, ma non la temo – è forse la più bella versione di questa canzone dopo quella cantata dallo stesso Battiato (sì, anche migliore della versione di Alice… questo era implicito, ma meglio esplicitarlo).
A questo punto manca davvero poco al finale e Cristicchi e Amara, che hanno fatto cose buone nel panorama contemporaneo della musica d’autore, in punta di piedi – e cioè con voce e chitarra – si esibiscono in tre pezzi del loro repertorio. Uno per uno, e poi il duetto su “Le poche cose che contano”. Sinceramente? Non stonano affatto, anzi. La linea melodica non si spezza e queste tre canzoni si inseriscono bene nel progetto. Sono testi che non propongono certezze, ma cantano l’incertezza quotidiana di una vita in ricerca, mai doma; una vita fatta di domande, e non di risposte. Questo è il terzo vertice della serata.
Il gran finale è liberazione. Non perché è ora di terminare lo show e far ritorno a casa. Concerti così potrebbero durare ore, ed è quello che tutti vorrebbero. Le cose belle, però, sono destinate a finire perché solo così possono ricominciare. La ripetizione genera la differenza, e non viceversa. E così Cristicchi balla ancora “alla Battiato” su “Voglio vederti danzare” e su “Centro di gravità permanente” perché il viaggio è arrivato a compimento, e si può e si deve gioire. Non è solo il concerto che volge al termine, ma anche questo viaggio che, dopo tanto pensiero e alte vette, si libera con il pop. E così vien da pensare che Battiato, forse, la quadratura del cerchio l’aveva trovata davvero. Cristicchi e Amara l’hanno intuita e il finale di questo spettacolo, con la richiesta di partecipazione del pubblico, forse nasconde la chiave di volta: si tratta di canzoni, ma queste sono una cosa seria, pur restando canzoni. Chissà…
Il vero finale, poi, richiede ancora complicità e il pubblico tutto in piedi ad ascoltare l’ultima canzone scritta e cantata da Battiato prima della morte. La vita non finisce / È come il sogno / La nascita è come il risveglio / Finché non saremo liberi / Torneremo ancora / Ancora e ancora. In scena, dopo questo brano, Cristicchi e Amara non torneranno più. L’emozione del finale, con incrocio di sguardi, è palpabile. Non si può andare oltre anche perché le due strade, come insegna la mistica, sono aperte; ora sta a noi decidere quale seguire. Da un lato si può uscire e pensare che sono solo canzonette, che poi tutti le cantano… oppure si può sempre decidere di prendere sul serio quello che si è sentito e rifletterci. In solitario. Il grande equivoco del credere che l’essere umano sia un animale sociale. Ci sono persone solitarie che incidono di più, nel nostre vite, nella loro solitudine raccontava la voce di Battiato all’inizio della serata. Queste parole, e non le canzonette, riecheggiano nel finale. Ed è un dono bellissimo quello che è stato fatto con questo progetto: restituire un pensiero fatto di musica e suoni.
Ci sarà un prima e un dopo Battiato. Anzi, c’è già dal 18 maggio 2021. Però ci sarà anche un prima e un dopo Cristicchi e Amara perché di questo omaggio si dovrà tener conto se si vorrà lavorare seriamente e con rispetto su Battiato. Se, invece, si vorrà far dell’altro – ed è sacrosanto e legittimo – allora si dovrà far finta che questo spettacolo non sia mai esistito. Impresa non facile, davvero.
Articolo di Luca Cremonesi, foto di Roberto Fontana
Set list
- Canto mistico
- L’era del cinghiale bianco
- Le sacre sinfonie del tempo
- Fisiognomica
- E ti vengo a cercare
- Gilgamesh
- Il Re del Mondo
- L’ombra della luce
- L’animale
- Gli uccelli
- Stage Door
- Io chi sono
- Lode all’inviolato
- Haiku
- Oceano di silenzio
- La cura
- La stagione dell’amore
- Che si benedetta
- Abbi cura di me
- Le poche cose che contano
- Voglio vederti danzare
- Centro di gravità permanente
- Torneremo ancora
Valter Sivilotti, pianoforte, arrangiamenti e direzione musicale
e con i solisti della Accademia Naonis di Pordenone
Lucia Clonfero, violino
Igor Dario, viola
Alan Dario, violoncello
U.T. Gandhi, percussioni
Franca Drioli, soprano