Arriva come il texano dei Simpson: con il cappello, la giacca bianco panna, e capello lungo, brizzolato. Meno male che non ha le pistole. Come il personaggio del noto cartone animato, inizia subito a far confusione. L’esordio al Giardino di Lugagnano di Sona (VR) di Dan Stuart giovedì 5 ottobre, non è da incorniciare. Anzi, è di quelli da dimenticare. Quando si entra in questo luogo, tempio da oltre 20 anni della musica di qualità, lo si dovrebbe fare a testa alta. Quanto meno per guardarsi attorno, e vedere chi è passato di qua: dagli Osanna a Carl Palmer, da Aldo Taglia Pietra a Tony Levin, da Guy Davis a Steve Wynn (amico e compagno di album di Stuart), e l’elenco sarebbe così lungo che vi conviene, davvero, guardare sulla pagina Facebook del locale per capire che, pur se da fuori non si direbbe, da qui passa ed è passata solo musica di qualità.
Dan Stuart ci mette del suo, insomma, e si impegna davvero per non farsi di certo voler bene, a un primo momento, da uno staff che ha accolto e fatto sempre sentire a suo agio giganti della musica. Poi l’intervento provvidenziale di Giancarlo Frigeri, che aprirà lo show con cinque brani dal suo ultimo lavoro “Qualcuno si farà male”, aiuta a rimettere la serata in carreggiata.
Mi scuso subito per la scaletta, che potrebbe non essere perfetta, ma non è stato facile seguire il cantautore americano che, dopo la piazzata iniziale, ha regalato solo emozioni. Un piacere vero perdersi nella sua chitarra, nella voce, piena e potente, e nei suoi occhi, spesso indiavolati, come quelli del protagonista di “Natural Born Killer”.
Parlerà solo in americano Stuart, con qualche licenza, qua e là in messicano, perché la mia donna è di quelle parti, e ho vissuto un poco lì. Racconta parecchio, fra un brano e l’altro, e così scopriamo che da giovane faceva il pugile, motivo per il quale ho le dita grosse per suonare la chitarra. Devo dire che il suo modo di suonare non ne risente, anzi. Ha un arpeggio che sembra figlio di dita sottili da negromante, non certo da grandi mani yankee. Mi vesto così, come si fa nel Texas, e questo abbigliamento, giacca chiara, cappello e jeans, va bene per tutto, dai battesimi ai matrimoni. C’è spazio anche per un momento reading del suo romanzo “Marlowe’s Revenge”, perché nessuno lo legge bene come me. Devo dire che ha avuto ragione.
E pur se lo show, alla fine, è molto classico, con voce e chitarra, c’è quanto basta, davvero, per renderlo molto interessante. Il cantautorato americano c’è, esiste, ma sarebbe meglio dire che resiste ancora, e ha un piccolo zoccolo duro che regge l’onda d’urto. Complice, poi, l’ottima gestione suoni, che fa del Giardino uno dei luoghi contenuti dove si sente meglio in assoluto, la serata decolla. Sarà, a conti fatti, un’ora abbondante di show, che ha mostrato l’altra faccia di un uomo che, a inizio serata, buttata una borsa su un tavolo, con dentro cd e libri, ha di fatto dato ordini in stretto slang americano, senza curarsi di chi aveva davanti. C’era di che preoccuparsi, perché la serata non prometteva nulla di buono, a chitarra ferma. Invece le cose funzioneranno bene, appena il cantatore si siede, e inizia a suonare.
Nel concerto non sono mancati richiami, sia con brani che con atmosfere, all’ultimo lavoro da solista del cantautore, e cioè “The Unfortunate Demise of…”, un album con una delle peggiori copertine della storia (però, pur se è brutto dirlo, ma d’altronde lui non si è presentato bene, vi consiglio di comprarlo online, dove lo trovate a 7 euro, contro i 15 ai quali lo vende lui, pescandolo nella famosa borsa gettata sul tavolo). In ogni caso, è un lavoro davvero bello, che merita di essere ascoltato con attenzione.
Venendo al concerto, molto intenso è il passaggio, con esecuzione impeccabile, della bellissima “Time Ain’t Nothing”, brano della sua band, e cioè i Green on Red. Altrettanto di alto spessore il momento dell’esecuzione di “Gringo Go Home”, dove la somiglianza con il miglior Neil Young è incredibile. Qui, davvero l’arpeggio è quasi magico, le grandi dita volano sulle sei corde. Momento meraviglioso, dove anche la voce sembra trasfigurata. Non da meno l’esecuzione di “No Free Lunch”, forse uno dei momenti migliori della serata, dopo “Gringo Go Home”.
Non c’è molto di più da raccontare. Un’ora vola, e lo show, di fatto, è statico. Stuart resta seduto tutto il tempo. Chiacchiera, cerca l’approvazione del pubblico, beve una birra, dialoga, suona la chitarra, elogia nel finale anche la location, e racconta con la sua chitarra storie, le sue personali, e quelle della sua America. L’atmosfera è intima, senza mai scadere però nell’effetto nostalgia, o spiaggia fra amici con la chitarra. Il livello dell’esibizione è all’altezza di un professionista vero, ma anche del luogo nel quale ci si trova.
Poi, forse, il suo modo di fare, pre e post concerto, non è del tutto in sintonia con questa location e la sua storia. Poco male. Ma chi era lì, c’è arrivato perché conosce la sua musica, il personaggio (che quasi con disprezzo firma i suoi stessi cd), e sa quale sia il reale valore di questo artista. Il tutto, ovviamente, ampiamente confermato dall’esibizione andata in scena al Giardino. Nonostante l’inizio turbolento.
Articolo di Luca Cremonesi, foto di Roberto Fontana
Set list Dan Stuart 5 Ottobre 2023 Lugagnano di Sona (Vr)
- No man’s land
- What Day
- Gravity Talks
- Reading primo capitolo di “Marlowe’s Revenge”
- Gringo Go Home
- The Day William Holden Died
- No Free Lunch
- Last Century Blues
- Rock & Roll Disease
- Why I Ever Married You
- Sixteen Ways
- Keep the River on Your Right