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Dream Theater live Brescia

Band che sa ancora far sognare con canzoni fuori (ormai) dal comune sentire, sia per durata che per numero di note suonate

Il Progressive Metal è vivo, e i Dream Theater sono la sua perfetta incarnazione. E anche questo nuovo tour nei palazzetti lo conferma. Il concerto al quale abbiamo assistito si è svolto a Brescia, al Pala Morato il 25 gennaio, ultima tappa di questa visita nel Bel Paese. In apertura abbiamo avuto gli ottimi Arion, band finlandese, a scaldare l’atmosfera.

Arion

Un concerto potente sotto tutti i punti di vista. Sostenuto, poi, da un pubblico che, a trazione metal, non ti aspetti che abbia anche momenti mutuati dall’esperienza d’ascolto del pop. E così, con grande piacere e coinvolgimento, gli astanti, su alcuni brani, non solo ondeggiano le braccia come nei concerti pop, ma si mettono pure a battere le mani, e a tenere il tempo e il ritmo, come si fa nei concerti meno seri e raffinati. Potere di una band americana che sa ancora far sognare con canzoni fuori (ormai) dal comune sentire, sia per durata che per numero di note suonate, appunto.

Musica davvero ben fatta, e mi viene da ripetere raffinata, perché non c’è nulla che stoni, che sia ridondante e che, nel corso delle quasi due ore di show, risulti ripetitivo. Anzi, chi c’era ha assistito ad una perfetta fusione di anime, e cioè quella prog, con tante tastiere e una chitarra che cavalca momenti ritmici, e che non è mai sfoggio di semplice bravura del singolo. Allo stesso tempo, tutto questo, marchio di fabbrica di una grande stagione progressive, si mescola con il mood e il virtuosismo metal. Anche in questo caso, però, nulla è fatto per compiacersi, ma per far esistere e proporre trame sonore evocative.

L’unico difetto della serata bresciana, ma davvero ci si deve impegnare per volerlo trovare e sottolineare, è che questo show meriterebbe ben altro allestimento di palco. Invece la band sceglie un minimale spinto, con un semplice telo bianco alle spalle, dove vengono proiettati i video che ripropongono l’immaginario al quale i Dream Theater ci hanno abituato. Paesaggi onirici, mondi lontani, ambientazioni fantasy mescolate con mondi fatti di draghi e di astronavi. L’universo visionario dei Dream Theater è avvolgente, totale. Un’esperienza sonora bellissima che, se fosse stata sostenuta da un minimo sforzo di scenografia, avrebbe davvero trasformato questo concerto in una vera performance artistica.

La condensa del Morato, poi, aiuta e contribuisce a smorzare un poco questo immaginario. Per tutta la durata del concerto, infatti, aleggia una leggera nebbia. Si sa, velare aiuta a desiderare, ma in questo caso è solo d’ostacolo alla vista di quel poco che c’è come scenografia. Una musica così evocativa, e piena di soluzioni sonore, avrebbe meritato non dico l’eccesso dei Rammstein, e cioè un palco immenso con giochi di luci e fuochi, ma quanto meno un po’ di effetti, e di strutture sul palco. Invece la band si presenta minimale in tutto, tranne ovviamente che nella proposta musicale. Il nero, poi, domina solo nell’abbigliamento. Le luci sanno, invece, di impianto della location. Assecondano il suono, ma non lo sostengono e non lo completano. La band non si perde in chiacchiere, se non quanto basta per salutare e presentare qualche brano. Insomma, lo ripeto, tutto troppo asciutto per questa ricca esperienza musicale. Ma sarà, appunto, l’unica nota negativa.

L’inizio dello show è decisamente epico. Suoni sparati alti, a ottimo volume, con immagini che scorrono, veloci, sullo schermo. La band entra in scena cercando l’applauso. L’epica è data dall’overture che, di fatto, sembra introdurre un concerto di musica classica contemporanea. Altra definizione, insomma, non c’è. Sui teli bianchi scorrono veloci le immagini, un mix grafico che ricorda i paesaggi di Moebius, ma rielaborati in computer grafica: mondi lontani, universi dominati da draghi, e spazio profondo solcato da navi spaziali ed astronavi.

Poi, al termine di questa overture, la band si presenta semplicemente sul palco. Se hai dalla tua la certezza che la musica farà quello che deve fare, non necessiti d’altro. E sarà così, fin dall’inizio. Musica, note e suono, senza fronzoli.

Le prime note sono quelle di “The Alien”, brano che apre anche l’ultimo lavoro in studio “A View from the Top of the World”. Batteria tirata e chitarra dominano, da subito, la scena. Sarà questo il motivo portante di tutta la serata, ed è davvero, come si diceva, un bel sentire. Avere così tanta chitarra è privilegio che ormai il Rock, in generale, non si concede più. I Dream Theater, invece, forti della loro perfetta fusione fra questi due generi – il Prog e il Metal – si possono permettere di usare la chitarra come ormai solo il genere metal sa fare (il Rock, per certi versi, sembra aver abdicato a questo ruolo).

“The Alien”, poi, è un pezzo che esalta non solo la chitarra di John Petrucci, ma anche Jordan Rudess, che si presenta sul palco con la sua tastiera mobile e girevole. Le trame sonore dei due musicisti, senza dimenticare il lavoro, immenso, della batteria, esaltano da subito un pubblico molto composto (è pur sempre un concerto di matrice metal). Sì, perché va detto, i cinque musicisti hanno preparato un concerto che più che cantare richiede al pubblico l’ascolto. Chi è lì lo sa bene, ed è proprio qui per questo. Ed è un vero piacere vedere che tutto questo, oggi, è ancora possibile. Anche e soprattutto grazie al Metal, genere troppo spesso relegato solo in una nicchia.

Senza mancare di rispetto a nessuno, infatti, a Brescia sembra davvero di essere al cospetto di musicisti del genere “musica classica”. La ricerca dell’ascolto è voluta, e il pubblico apprezza questa scelta. Non c’è semplice compiacimento estetico, ma creazione di mondi e produzione di senso. La musica trasporta, sposta e fa viaggiare. Privilegio di chi sa creare mondi lontanissimi. Anima pura dell’arte. In scaletta sono previsti 12 brani (11 più un bis), e sono tutte esecuzioni dove la parte strumentale è sempre dominante. Ne deriva così un concerto nel quale si possono apprezzare davvero tutti e cinque i musicisti.

L’audio del Morato non è mai stato così ben calibrato. Solitamente la voce si fatica a sentire, e tutto appare ovattato. Senza dimenticare, in alcuni casi, l’effetto pastone indifferenziato. Questa sera, invece, i tecnici hanno ben lavorato, e lo si capisce subito dall’esecuzione della rumorosa “6:00”, brano del 1994, tratto da “Awake”. L’intro della batteria è potente tanto quanto pulita. Ogni elemento della grande macchina sonora di Mike Mangini si sente in modo distinto, e non si perde nella velocità con la quale Mangini suona e propone i giri iniziali. Ogni componente suonato si sente, come ogni sapore si riconosce nelle composizioni ben fatte dell’alta cucina. Allo stesso tempo quello che i biologi chiamano orchestra cellulare – il coretto funzionamento delle cellule del nostro corpo – è l’essere di questo sound. Anche ogni strumento, detto in parole povere, è ben riconoscibile. Insomma, non c’è il grumo sonoro che, soprattutto su questo brano, nella parte centrale, si potrebbe rischiare in luoghi piccoli. Ottimo, davvero ed è un bene per tutti, ma soprattutto per la musica che si ascolta.

Il concerto, dunque, scorre via senza particolari intoppi. Anzi, i cinque musicisti appaiono sempre più concentrati mentre lo show avanza. La qualità sonora migliora, di brano in brano, e “Sleeping Giant” e “Bridges in the Sky” sono proposte in modo semplicemente perfetto. Un Prog davvero ben fatto che, mi sia concesso, fa capire come questo genere, in realtà, non sia affatto morto con l’arrivo di quel futuro il cui sogno e desiderio, negli anni ’70, aveva dato vita a questo genere musicale. Detto in altro modo, finché umanità ci sarà, ci sarà anche voglia di futuro. E, dunque, ci sarà Prog, in ambito artistico. Certo, pensare l’avvenire implica avere idee. E i Dream Theater, almeno da un punto di vista musicale, dimostrano di averne molte. I loro suoni non annoiano mai, anzi sono una certezza, granitica, che il futuro, e la sua anima, non sono ancora morti.

Il concerto, come si diceva qui sopra, sembra davvero costruito come un’esibizione di musica classica, con una linea melodica che è un crescendo fino a “Solitary Shell”, brano che apre il trittico preso da “Six Degrees of Inner Turbulence” del 2002, uno dei lavori migliori dei Dream Theater. “Solitary Shell”, si diceva, poi “About to Crash (reprise)” e “Losing Time/Grand Finale”, sono parte di quel grande affresco sonoro che compone le sei incarnazioni della follia in quella lunga sesta traccia dell’album divisa, come le sinfonie, in sette momenti. Questo è il momento più bello ed intenso di uno show che, vale la pena ripeterlo, è praticamente perfetto, senza mai essere freddo e scontato. Non è una semplice esecuzione dei brani. La band sa dare calore anche suonando, senza troppa differenza, quello che si trova inciso sul cd. Poi arriva la parte più soft (se così si può dire), con gli ultimi due brani in scaletta, e cioè “Pull me Under” e “A View From the Top of the World. La discesa dal palco vede il pubblico in estasi. Il richiamo porta i cinque Dream Theater ad uscire quasi subito per un bis che è degno finale di questa serata.

La bellissima, e lunga, interminabile, “The count of Tuscany” del 2009, è la sintesi di tutto quello detto fin qui. Immagini che mescolano realtà, la Toscana, e la fantasia. Musica che è un continuo crescendo con momenti di distesa. Vera sinfonia elettrica che esalta il pubblico. Davvero, non si vorrebbe che la band smettesse di suonare. Tuttavia, come è noto, le cose belle devono pur finire, se si vuole che poi possano anche ricominciare.

Articolo di Luca Cremonesi, foto di Roberto Fontana

Setlist Dream Theater Brescia 25 gennaio 2023

  1. The Alien
  2. 6:00
  3. Sleeping Giant
  4. Bridges in the Sky
  5. Caught in a Web
  6. Answering the Call
  7. Solitary Shell
  8. About to Crash (reprise)
  9. Losing Time/Grand Finale
  10. Pull Me Under
  11. A View From the Top of the World
  12. The count of Tuscany
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