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Grayson Capps live Verona

Con una semplice chitarra e armonica a bocca, ha saputo tener in scacco un pubblico di intenditori

Te lo aspetti proprio così come lo vedi Grayson Capps, cantautore americano, proveniente dal Sud degli Stati Uniti, che è arrivato al Giardino di Lugagnano di Sona (VR) venerdì 17 gennaio per una delle tappe del suo tour italiano. Te lo aspetti proprio vestito così, con quella presenza scenica descritta, con sapienza, da Seba Pezzani, scrittore, traduttore e musicista, nel suo splendido “L’America di Jeffery Deaver e Joe Lansdale” (Perrone editore), testo che racconta la musica e la letteratura del Sud degli Stati Uniti.

Capps, figlio di Ronald Everett Capps, l’autore del romanzo “Una canzone per Bobby Long” (Mattioli 1885), da cui è stato tratto l’omonimo film con John Travolta, si presenta vestito come un busker, e cioè un vero musicista di strada che, nel pre-show, firma al pubblico album e cd, pescando il resto da una manciata di denari, euro e dollari mescolati insieme, che tiene arruffati nel tasche dei suoi lunghi e attillati jeans. Tiene calde le mani con guanti tagliati, che gli arrivano a metà braccia. Lo fa, quasi sicuramente, per preservare al meglio il suo strumento di lavoro, e cioè dita, mani e braccia, con le quali, con una semplice chitarra e armonica a bocca, ha saputo tener in scacco un pubblico di intenditori che ha riempito, in ogni angolo, il Club Giardino 2.0.

Mac/Corlevich

In apertura gli ottimi Mac/Corlevich, duo nato dall’incontro tra Davide Corlevich e Cristiano Mecchi, reduci dal primo album “Rain or Shine”, disco che è stato presentato per interno prima del concerto di Capps.

Mac/Corlevich

Un’ottima esibizione che conferma la grande qualità della proposta musicale di questo duo che, al Giardino, si è presentato con l’aggiunta di una steel guitar che ha permesso di riprodurre parte delle sonorità dell’ottimo esordio discografico.

Mi piace Italia.. grappa… birra… e bella fig… La prima volta qua tutti convinti che io fossi John Denver, but I live in Alabama, no scritto Sweet Home Alabama, ricorda nel suo simpatico italiano prima di iniziare uno show che lo ha visto sul palco in compagnia del chitarrista emiliano Jo Sintoni, che lo ha affiancato in questo tour.

La serata si è aperta, come il suo ultimo lavoro, “Heartbreak, Misery & Death”, con Capps in mezzo al pubblico, senza chitarra, ma solo con la sua voce a intonare “Wake Up Little Maggie”. Sono bastati pochi secondi perché, dalla bassa e anonima provincia veronese, il pubblico si trovasse traslato in una delle terre che hanno dato fonte d’ispirazione unica per una musica che sa fondere insieme Blues, Dixie, Country Jazz, e cantautorato ruvido e polveroso.

“Love Song for Bobby Long”, canzone che rimanda al libro del padre e alla splendida pellicola di qualche lustro fa, permette infine di capire che il mood della serata sarà figlio degli ultimi due lavori di Capps, e cioè l’album già citato, e il meraviglioso (disco da avere!) “South Front Street” del 2020. Non che i dischi precedenti, eseguiti con band, siano esclusi dal concerto. Anzi, protagonista assoluto della scaletta è stato “If You Knew My Mind”, album del 2005, uno dei suoi lavori migliori, da cui è stata presa “Love Song for Bobby Long”, ma anche la bella e intensa “Get Back Up”, con Capps che sfodera un’armonica suonata da vero uomo del Sud, e cioè in modo disordinato e carica di saliva che fuoriusciva da ogni buco.

Sempre dallo stesso disco è stata eseguita anche “Graveyard”, una delle sua canzoni più belle, insieme a “Washboard Lisa”, che ha visto al suo fianco anche Stefania, una sua amica italiana, arrivata ad assistere al concerto, chiamata poi sul palco per i cori. Non sono mancate poi “I See You” e “Lorraine’s Song”, per chiudere l’esecuzione di questo album considerato fra i suoi lavori migliori. Il tutto, però, ri-arrangiato per chitarra solista con il supporto di una seconda Gibson “Les Paul” che Emanuele Sintoni, in arte Jo Sintoni, chitarrista cesenate al fianco di Capps, ha suonato in perfetta sintonia con il musicista statunitense.

L’intesa è stata ottima, quasi che i due suonino insieme ogni giorno, e non in occasioni distanti nel tempo. Lo si è sentito anche in “Hurry Hurry”, brano che arriva dall’ottimo “Where I Belong”, disco dello stesso Sintoni, uscito nel 2024, che vede Capps fra gli ospiti. Insieme a “Arrowhead”, arrivata anche come richiesta dal pubblico, “Hurry Hurry” è stata il momento più a tinte rock-blues della serata.

Sempre per quanto riguarda la cronaca, da segnalare il gioiello che Capps ha regalato al pubblico di Lugagnano, e cioè la cover di “Sympathy For The Devil” dei Rolling Stones. Chi si aspettava “Hallelujah”, eseguita nell’ultimo disco, è rimasto un po’ deluso, ma quando sono partiti gli accordi degli Stones è stata pura magia, anche perché questa versione ha mantenuto tutta la carica emotiva che Jagger è solito mettere nell’esecuzione live. Il tutto, però, con solo due chitarra e, ancora una volta, il sostegno ai cori dell’amica Stefania.

Nel finale “May We Love” e “New Again” conducono tutti a una dimensione meno da saloon, ma più da ampi spazi aperti, con lo sguardo che si perde nell’infinito. E se su quelle note il naufragar è stato molto dolce, il vero finale è stato tutto condito da grande ironia, necessaria per celebrare in distacco che altrimenti sarebbe stato difficile. Capps, infatti, con gli ultimi due pezzi aveva creato un clima intimo, raccolto e meno caciarone.

Sinceramente il pubblico credo che si sarebbe fatto cullare ancora un po’ da quell’atmosfera, dove la dimensione narrativa dei racconti di Capps si mescolava bene con la chitarra suonata come ti aspetti che faccia un vero uomo del fiume. Altra cosa da quanto sentito prima, dove il colpo degli stivali sul legno del palco, ad esempio, faceva da naturale percussione che rimandava alle feste country che si vedono nelle serie Tv degli anni ’90.

Capps, insomma, prima di chiudere con una popolare “Sweet Home Alabama”, ha regalato forti emozioni sapientemente dosate nel corso di una scaletta ben calibrata, che ha toccato quasi tutti i suoi lavori, e comunque è stata figlia di un sound preciso, quello cioè degli ultimi lavori del Nostro. Il tutto è di certo dettato anche dalla contingenza di un tour on the road, alla vecchia maniera, dove si viaggia leggeri, con chitarra e una valigia, ma anche da un’atmosfera di un’America che non ti aspetti possa ancora essere presente in un mondo che parla ormai di conquista privata dello Spazio, di A.I., del dominio di X. e di nuovo ordine mondiale.

Capps, con il suo concerto, ha aperto un piccolo oblò su un mondo tanto complesso quanto ricco di contraddizioni, dove l’ipermodernità convive anche con il sapore polveroso, e solitario, di una musica capace di restare attaccata addosso agli ascoltatori, anche dopo che il concerto è finito. Come accade con la sabbia. Come accade con la polvere. Quella che caratterizza i paesaggi del Sud, di ogni sud del Mondo.

Articolo di Luca Cremonesi, foto di Daniela Martin

Set list Grayson Crapps Verona 10 gennaio 2025

  1. Wake Up Little Maggie
  2. Love Song for Bobby Long
  3. Columbus Stockade Blues
  4. Get Back Up
  5. Junior & The Old African Queen
  6. Washboard Lisa
  7. Song for You
  8. Drink A Little Grappa
  9. Graveyard
  10. You Can’t Turn Around
  11. I See You
  12. Hurry Hurry
  13. Arrowhead
  14. John The Dagger
  15. Lorraine’s Song
  16. Sympathy For The Devil
  17. May We Love
  18. New Again
  19. Sweet Home Alabama
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