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Kenny Brawner live Castelli Blues Festival

Unica tappa italiana di questo incredibile bluesman

Kenny Brawner foto_RobertoFontana2022

Le Colline Moreniche mantovane, a ridosso del Lago di Garda, regalano eventi che solitamente – un poco per mentalità un poco perché così si fa da queste parti – restano celati e invisibili agli occhi. Peccato, davvero. Si tratta, infatti, di un anfiteatro che non ha nulla da invidiare ai paesaggi toscani, e con l’aggiunta del lago. Ponti sul Mincio è uno dei comuni di confine di questo territorio; mantovano, ma con influenze venete, e con il vento che porta l’odore dell’acqua del Lago di Garda. Qui, da quattro anni, con l’interruzione dettata dalla pandemia, si svolge il “Ponti Blues Festival” che, da quest’anno, è diventato il “Castelli Blues Festival”. Cambio di nome, ma non di sostanza: buona musica, ottimi musicisti, un curatore – Pablo Leoni – che sa sceglie il giusto mix fra artisti nazionali, giovani e big internazionali. Nome di punta di questa quarta edizione è stato Kenny Brawner, compositore, cantante e pianista statunitense che fonde insieme il meglio della musica afroamericana: il Jazz, il Funk, il R&B e, ovviamente, il Blues.

Brawner arriva nel Castello Scaligero, sede del concerto, dove il pubblico non si fa attendere e, anzi, riempie ogni sedia libera e si distribuisce anche fra i resti dell’antica dimora. Tanti si siedono anche sui sassi, su ciò che resta delle mura interne del castello, e altri nel prato. L’attesa è quella dei concerti importanti con tanto di fan con borse frigo e birra fresca. Il vento del Garda non fa il prezioso e regala atmosfera nell’atmosfera. Qui, solitamente, l’afa si fa sentire e l’aria ha due compiti: rinfrescare un poco e muovere i fogli della scaletta.

Non si può suonare controvento si sente gridare dal pubblico ai quattro musicisti che, puntuali – anzi, anche con un leggero anticipo sul programma – salgono sul palco. Basso, chitarra (e sarà una delle sorprese della concerto) e batteria, oltre alla tastiera dove prende posto Brawner. Buonasera sarà l’unica parola in italiano della serata. Tuttavia, la lingua comune non sarebbe servita perché Brawner parla quella universale del Blues e altro non serve. Sarà la vicinanza con l’acqua, elemento da sempre legato al Blues, sia del Lago che del Mincio, che scorre lì vicino, o saranno state le mura di questo castello, o il tutto mixato insieme … Non so, ma resta il fatto che i musicisti hanno voglia di suonare e la partenza, con la nuova “Gimme somethin’” fa capire subito che di buon Blues, questa sera, se ne sentirà parecchio.

L’ossatura dello show è, infatti, l’ultimo album del musicista statunitense, e cioè “Cross Water Blues”, e, a fine serata, saranno sei i pezzi di questo lavoro eseguiti, come ricordano gli stessi musicisti, per la prima volta dal vivo. La tappa italiana di Ponti sul Mincio è, infatti, la classica chicca incastrata in un tour europeo che porterà Brawner in Svizzera e in altri paesi del vecchio continente.

I primi due pezzi dettano il ritmo: la serata oscillerà fra il Blues e il Funk, con predominanza del primo però. Non solo, è subito evidente che Brawner gradisce la location, ed è in perfetta armonia con ciò che lo circonda e con i suoi musicisti. Lui che, narra la leggenda in odore di epica, suonava in studio accanto al giovane Stevie Wonder. La Parca, però, ha spezzato il suo filo, tenendo invece ben saldo in mano quello del primo che, come sappiamo, ha scritto pagine memorabili della storia della musica. Ma il Blues ha un vantaggio: si muove come un fiume fra anfratti, secche, golene, piene, acqua torbida, campagne e pianure. E così Brawner, senza bisogno di essere un fiume in piena, proseguirà la sua avventura su due fronti: una produzione indipendente e la rivisitazione dei grandi classici con particolare predilezione – e lo si ascolterà anche a Ponti – per Ray Charles.

A concerto iniziato diventa subito evidente, a orecchie e occhi attenti del pubblico, la seconda sorpresa della serata, fatto che si aggiunge allo stato di grazia – vero e ben visibile – del musicista americano. Luca Tozzi alla chitarra farà letteralmente spellare le mani al pubblico presente. Musicista concreto – niente virtuosismi o inutili progressioni – Tozzi sfodera tutta la sua classe Made in Usa, dove ha vissuto e lavorato – privilegio di pochi, ricorda in apertura Leoni – per parecchi anni. Tecnica sopraffina davvero, con un sound blues ben strutturato.

Rispetto all’album mancano i fiati, ma le sei nuove canzoni in scaletta non ne risentiranno e il merito è anche nelle mani di Tozzi. Onore al merito, davvero. Se Brawner, infatti, suona la tastiera come ci si aspetta da un bluesman del suo livello, il contro altare della serata sono senza dubbio le sei corde di Tozzi, che diventeranno cinque nel finale, quando una salta. Il repertorio, oltre ai pezzi di produzione propria, vedrà l’esecuzione di brani di B.B. King e Ray Charles. La splendida versione di “Let the good time roll” del 1959 è davvero uno dei vertici della serata. Brawner sa come gestire questo repertorio perché negli Usa è anche titolare di una tribute band che propone la musica e l’arte di Charles. Diciamo però che il Nostro non solo ci sa fare, ma sa anche come interpretare e dare calore a quelle canzoni. La voce sembra davvero trasfigurata. Da profonda e quasi cavernosa nei suoi pezzi diventa invece morbida, fluida e malleabile negli omaggi a Ray Charles, dimostrando così a tutto il pubblico che la fama in patria è stata rodata, sudata e conquistata, non di certo regalata.

Tozzi, dall’ottavo brano in poi, è ormai a tutti gli effetti l’alter ego di Brawner e quando parte l’attacco di “Goin down slow”, mi sia concesso, è inevitabile pensare che basterebbe un poco di quel suono della chitarra, e una piccola accelerazione della batteria, per trovarci nel mondo dei fratelli Young. Miracoli del Blues, davvero… 

La complicità si rafforza quando serve presentare il trittico di canzoni d’amore perduto, trovato e lasciato entrare di nuovo nella vita di ognuno di noi. Nulla è doloroso come le sofferenze d’amore ricorda Brawner  al pubblico prima di eseguire “Love pain”. Qui il solo di chitarra di Tozzi è uno dei momenti più caldi e accesi del concerto. Un mix di Rock-Blues davvero ben fatto e suonato alla maniera degli americani: essenziale. Anche il più distratto fra gli astanti non può che convogliare il proprio sguardo e le proprie orecchie sul palco, alla sinistra di Brawner, e di conseguenza su quello che sta succedendo fra le mani di Tozzi. Voce, tastiera e chitarra si fondono insieme e forse davvero, come hanno già dimostrato i poeti di un tempo, dell’amore non possiamo dire nulla, men che meno delle sofferenze che provoca. Tuttavia, possiamo esserne profondamente ispirati e trasportati. E quanta magia si produce. All’arte, e in particolare alla musica, spetta dunque l’ardita sentenza perché su questi tre brani Tozzi e Brawner non scherzano affatto. Pur se essenziale, l’esecuzione supera – in intensità – quella presente nell’album. Se si pensa che si possa ripetere, o catturare, quello che si è appena sentito, non si può che restar delusi. Peccato per chi non c’era, davvero.

Se, come ricorda il bluesman, l’amore è sofferenza è altrettanto vero che serve pur sempre tenere una porta aperta. Quello che Brawner  inizia con “Love pain”  lo (de)finisce prima con “Open door policy” e poi in “Burned again”, brano che conquista sia nella versione da studio che in questo live dove la si ascolta purificato di alcuni suoni. Blues vero, senza manierismo. L’essenziale è ancora una volta il dialogo fra tastiera, voce e chitarra. Nel finale, a strumenti messi a terra, Tozzi racconterà al pubblico che si tratta della prima volta che questo album si suona dal vivo. Noi si stenta comunque a crederglie si resta ancora più stupiti. Se tutto questo è vero allora è chiaro che lì, questa sera, si è ascoltata e si è esibita una band che è molto affiatata e si conosce nei minimi dettagli.

A dir la verità lo si era già notato anche nell’atteggiamento di Brawner. Da metà concerto in poi ha rotto gli indugi e non ha nascosto che si stava divertendo e apprezzava location, pubblico e tutto quanto accadeva attorno. L’ostacolo della lingua si è fatto sentire ma, oltre ad aver usare Tozzi come Google traslate, è stata comunque la lingua universale del suo Blues che ha saputo conquistare e si è fatta ben comprendere da un pubblico che, a concerto finito, dichiarerà che il tempo si è rarefatto ed è volato via.

“It’s a shame” è il brano con il quale la band prende congedo; è il bis concesso al pubblico che non smette di applaudire. Una canzone nata durante la passata amministrazione americana ricorda l’artista che non nasconde il suo disappunto nei confronti del presidente Trump. Ma al di la di questo, che poco importa a gran parte dei presenti, è il Blues secco e pulito di Brawner che è riuscito a conquistare il pubblico di questa sera estiva fra le mura di un antico castello. Bello no? Cosa può servire d’altro…

Articolo di Luca Cremonesi, foto di Roberto Fontana

Set list Kenny Brawner Castelli Blues Festival

  1. Gimme Somethin’
  2. Something good
  3. Hurts me too
  4. I got to use my imagination
  5. Caldonia
  6. I never thought
  7. Tore down
  8. Goin down slow
  9. Let the good time roll
  10. Love Pain
  11. Open door policy
  12. Burned Again
  13. Never make your move too soon
  14. It’s a shame

Line up: Kenny Brawner  Voce e tastiera / Luca Tozzi Chitarra / Pablo Leoni Drums / Alessandro Diaferio Basso

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