
Al Bronson il 1 marzo, in piena vista ma comunque persa sullo sfondo, la scritta “Trans Kids Deserve Better” decora la cassa della batteria: è solo uno dei messaggi politici che stasera sarà urlato a gran voce dalle Lambrini Girls su quel palco.

Facciamo un passo indietro: il Bronson è ancora chiuso, aspetto fuori. La maledizione della Romagna invernale è l’umidità, odiosa anche per chi viene dalla bassa bolognese come me, perennemente immersa nella nebbia; questa sera non fa eccezione, penso mentre mangio un gustosissimo trancio di pizza del Bronson Café e guardo la fila all’ingresso aumentare velocemente.

Alle porte, la notizia che nessun fotografo vuole ricevere a un concerto punk in cui il pogo è assicurato: non c’è il pit. Conquistato uno spazio alle transenne, mi rallegro nel vedere le tantissime ragazze e donne nel pubblico e per un attimo mi illudo che gli spintoni saranno più lievi: spoiler, no. E mi fa ridere anche aver fatto questo grande errore di valutazione sessista proprio a questo concerto, che trasuda trans-femminismo da tutti i pori. Pagherò lo scotto più tardi.


Kent Osborne apre le danze e compare su un palco completamente buio non fosse per un paio di luci che disegnano la sua silhouette, che ora rossa ora verde si staglia sul nero dello sfondo. Devo ammettere che resto delusa vedendo che i dreadlock lunghissimi delle foto spettacolari dei suoi concerti non ci sono più.

Resta però la sua abitudine di inarcarsi e dimenarsi sul palco, mentre passa in rassegna la sua produzione musicale eclettica che ha come unica costante il Rap. Kent Osborne, infatti, sembra pattinare al di sopra di etichette musicali monolitiche, mischiando generi, mantenendo la pervasiva energia travolgente sia delle basi che della voce.

Nel back stage si intravedono le Lambrini Girls Phoebe Lunny e Lilly Macieira sedute sulle scalette di accesso al palco mentre ascoltano il live di Kent: Lilly si sta tappando le orecchie. In effetti il volume è piuttosto alto e le basi hanno una grande potenza, ma fa sorridere che proprio una delle due casinare che saliranno a breve per spaccare tutto ha le dita infilate nelle orecchie.

È finalmente arrivata l’ora delle Lambrini Girls, e la voce e chitarra Phoebe Lunny si prende il palco in un completo color carta da zucchero che le dona una eleganza e un carisma che esprimerà a pieno in tutto il live. La segue Lilly Macieira, al basso e voce di supporto, anche lei stupenda e delicata e che sembra la versione più punk e figa di Christina Aguilera ai tempi d’oro.

Già dalla prima nota del brano di apertura “Big Dick Energy” le Lambrini Girls sono una bomba: sono solo due, ma sembrano strabordare dai confini del palco e inondare la sala come una piena. Se Phoebe è una pallina impazzita, Lilly sembra fluttuare con grazia sul palco. È forse questo contrasto che mi affascina di più di questo concerto: la loro musica di delicato non ha proprio niente, anzi. Non fa prigionieri, è un pugno alla bocca dello stomaco, è corrosiva.

L’intero concerto è un’esplosione di rabbia, è una sfuriata breve ma intensa di una generazione che si sente tradita nella sua eredità e che vuole fare aprire gli occhi, vomitare fuori tutto ciò che c’è di marcio nella nostra società. Punk? Si. Idealista? Si. Utopico senza speranza? Forse. Ma è il ritorno del Punk come denuncia sociale estrema e radicale, in una fresca chiave Gen Z.

Sì, perché anche i testi delle Lambrini Girls sono colmi di sagacia e possiedono una proprietà di linguaggio rara su tematiche calde e tabù contemporanee quali neuro-divergenza, disturbi alimentari e questioni di genere. Per non parlare dell’ironia di cui sono intrise le tracce, sempre per farci ridere per non piangere.

Le Lambrini Girls ci schiaffeggiano senza sosta né pietà, ricordandoci che si può ancora lottare, che ci siamo adagiati, che siamo delle mozzarelle informi con il culo sul divano e il pollice su uno schermo. Severe, ma giuste. Del resto siamo tutti qui per questo. Per darci una svegliata. A dirla tutta, qualcuno solo per le sberle, ma è una minoranza.

Phoebe apre la folla in due con più competenza di Mosè quando ha – presumibilmente – separato le acque, e lo fa per ben tre volte. La prima per testare le nostre ginocchia: scende dal palco nel corridoio di pareti umane che ha creato tra il pubblico, si accovaccia e con lei tutti i suoi nuovi proseliti, per poi comandare il salto.

La seconda è preceduta dal censimento di chi tra il pubblico si definisce queer. Alla domanda, una selva di braccia si alzano dritte. Phoebe crea il passaggio, scende dal palco, preleva un paio di persone con le mani alzate e le presenta al microfono. La terza, è per creare un wall of death.

Mi scollo dalla transenna e dalla zona calda del sottopalco, per respirare un po’ e dare un’occhiata al merch nell’angolo opposto del locale rispetto al palco.

Non faccio in tempo a girarmi che Phoebe è in piedi sul banco a fianco ai loro vinili, denunciando la deriva destrorsa mondiale, e ci dirige, comandando un coro di “Fuck the police”, “Fuck fascism” e “Trans lives matter”. Li abbiamo gridati, li abbiamo sussurrati, ci siamo sgolati ancora e ancora. Chissà se tornando a casa, continueremo a ripeterli.
Articolo e foto di Linda Lolli
Set list Lambrini Girls 1 marzo 2025 Ravenna
- Big Dick Energy
- Help me I’m gay
- Gods Country
- Company culture
- Lads Lads Lads
- Bad Apple
- Mr Lovebomb
- Love
- Filthy Rich Nepo Baby
- No homo
- Boys in the Band
- Craig David
- Cuntology 101