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Lo Stato Sociale live Padova

In bilico fra elettronica, rock e folk, fra l’analogico e il sintetico

Ad ascoltarli, a vederli, a sentirli parlare e soprattutto a sentirli suonare e cantare, della band bolognese Lo Stato Sociale, che lo scorso 14 aprile si sono esibiti al CSO Pedro di Padova, viene in mente sostanzialmente una frase sola: a questi ragazzi non frega niente. Però chiariamoci, perché questa frase potrebbe essere fraintesa molto facilmente. Esistono due modi di “fregarsene” per un artista o per una band.

Ci sono quelli che fanno le scelte “giuste”, quelle fatte apposta per vendere i dischi, quelle che ti portano, presto o tardi, ad aprire i concerti dei Red Hot Chili Peppers o dei Rolling Stones. Quelli che vanno ai Talent e cavalcano la tigre finché possono, quelli che poi li rivedi nelle pubblicità della crema abbronzante o dell’operatore telefonico. Quelli che cominciano nei pub e nei centri sociali, ma poi, aho, quando uno passa ai palazzetti resta ai palazzetti. Quelli che mettono su spettacoli con una scenografia elaborata, che sono ineccepibili dal punto di vista tecnico, e che sul palco tengono una gerarchia rigida, che risponde alle aspettative del pubblico, perché anche una band deve avere i volti riconoscibili, chiari a tutti. Quelli che seguono la scaletta, che non senti mai fare un’esternazione politica, che non parlano mai della loro vita privata e a cui un “cazzo” non scappa mai, perché uno scivolone poi lo paghi. Quelli a cui non frega niente di niente, purché si arrivi lì.

Poi ci sono quelli che le scelte giuste non hanno la più pallida idea di cosa siano, che vendono se vendono e se non vendono pace, che idealmente amerebbero sbronzarsi con Mick Jagger e aprire un suo concerto, ma alla fin fine va bene anche così. Quelli che sì, ok, il talent… figo, ma adesso suoniamo, dai! Quelli che hanno cominciato nei pub e nei centri sociali, che hanno suonato anche nei palasport, ma poi quando tornano nel centro sociale sono felici perché è lì che sono nati. Quelli che fanno le scritte con lo scotch fluo sulle testate degli amply e quella è la scenografia, quelli che la gerarchia non sanno neanche dove sta di casa perché su questo palco siamo tutti fratelli e a tutti piace cantare, ed è questo l’importante. Quelli che la scaletta la seguono perché se no il fonico giustamente s’incazza, che di politica parlano eccome, così come dei loro sentimenti personali e delle loro arrabbiature, perché sono le emozioni che ti fanno scrivere le canzoni, e allora perché non dovremmo parlarne, scusa? Quelli che cazzo lo dicono, perché alle volte nella frase ci sta, e se per caso faccio uno scivolone… eh vabé, non sarò né il primo né l’ultimo. Quelli a cui non frega niente di arrivare lì, perché qui con voi si sta da Dio!

Ecco … se avete mai visto un concerto de Lo stato sociale, sono pronto a scommettere che sapete anche voi che appartengono al secondo tipo. 

Bruciare sempre, spegnersi mai.

Il prossimo 5 maggio si aprirà ufficialmente la prevendita di “Stupido Sexy Futuro”, il quarto album de Lo Stato Sociale dopo Turisti della Democrazia, L’Italia peggiore, Amore, lavoro e altri miti da sfatare. Peraltro, ad acquistarlo online si riceverà una copia autografata, che è una bella iniziativa, che riesce a scavalcare il distacco della società dei consumi online e porta assieme al corriere anche un tocco umano, che visto che stai comprando un disco e non uno spremiagrumi è di per sé una bella cosa. Il tour di presentazione del disco è partito lo scorso 24 marzo a Livorno, e si esaurirà il 28 aprile al mitico Hiroshima Mon Amour di Torino. Nel mezzo, il 14 aprile, c’era una data magari un po’ più piccolina e meno sfarzosa, ma incredibilmente carica di emozione, di partecipazione e di calore: quella al Centro Sociale Pedro di Padova per Sherwood Open Live. Oggi parliamo di quel concerto, perché ne vale la pena. 

La premessa d’obbligo da fare per spiegare la performance de Lo Stato Sociale lo scorso 14 aprile è questa: i ragazzi de lo Stato Sociale, come tutti sanno, sono di Bologna, e Bologna è simile a Padova. Entrambe città universitarie, entrambe segnate da lunghissimi sottoportici (sebbene quelli bolognesi abbiano l’indiscusso primato) sotto i quali i ragazzi e le ragazze a frotte si trovano a fare casino, a cantare, a bere, a raccontarsi i loro sogni, a limonare, come conseguenza a innamorarsi, a scambiarsi informazioni e condividere progetti, a decidere dove e con chi si dormirà quella notte. In una città come Padova, insomma, Lo Stato Sociale si trova nel suo habitat, in una nicchia ecologica che conosce e in cui si sa muovere. La famigliarità si amplifica se si pensa che una delle prime emittenti a rendersi conto che Lo Stato Sociale era qualcosa è stata proprio Radio Sherwood, nel lontanissimo 2011.

Così uno va a un concerto e pensa di trovarsi in una situazione “One to many”, con una comunicazione unidirezionale e un ambiente neutro. E invece i ragazzi de Lo Stato Sociale si mettono a dialogare, qua e la, con qualche volto conosciuto fra il pubblico. Parlando di cose che sono successe proprio in quella sala qualche anno prima, raccontano delle trasmissioni a cui hanno partecipato a Radio Sherwood, di quel che gli è successo in quel contesto.

E può sembrare una nota di colore, qualcosa che in un articolo che dovrebbe parlare di un concerto, di musica, è superfluo. E sarebbe vero, se non fosse che qui entriamo nel campo di un’altra cifra stilistica se non di una vera e propria esigenza per Lo Stato Sociale: l’amicizia. Il rapporto diretto, quello che ti porta a ricordare amici come Andrea Appino, che ti fanno capire per quale ragione il tour sia partito da Livorno, o Momo Dj, che da un senso ulteriore alla data di Padova. E se tiri in ballo gli amici durante un concerto, tiri in ballo anche la tua vita sentimentale, o il tuo soprannome. E se gli amici sono così importanti e in una band si è tutti amici, anche gli schemi gerarchici, i ruoli, saltano. 

Il segreto è essere saggi come l’incoscienza.

Non esiste un frontman, perché l’importante non è la persona, ma quello che le persone sanno fare insieme, e se questo in linea di massima è vero nella vita, perché non dovrebbe esserlo in una dinamica come quella di una band. E sì, sono praticamente solo loro che lo fanno, ma se ci si pensa solo un attimo ha perfettamente senso. Anche Enrico Roberto, detto Carota, Alberto Cazzola detto Albi, Francesco Draicchio detto Checco, Alberto Guidetti detto Bebo ne hanno da dire, e anche tante. E non meno divertenti o profonde di quante non ne possa dire un Lodovico Guenzi detto Lodo, che sa perfettamente che Lo Stato Sociale funziona meglio se si da lo stesso spazio a tutti, anche se chi non conosce la band può prenderlo poi per il frontman per via del fatto che è stato probabilmente il giudice più entusiasta di qualsiasi edizione di XFactor, che avrebbe portato in punta di forchetta tutti quelli che erano in grado di dimostrare di avere più passione che spacconaggine. Bellissima metafora di una società che funziona.

Ma va bene tutto, purché possiamo uscirne con i polsi tremanti, le ginocchia sporche e una luce negli occhi.

E va bene, adesso veniamo al vivo della questione: la musica. Perché anche in questo caso, uno se ne può fregare in un senso o nell’altro. Un musicista può fregarsene di quello che vorrebbe davvero scrivere e suonare e cercare un compromesso con quello che il mercato gli domanda. Regole non scritte come “non inondare il pubblico di parole, quello lascialo al folk”. O come “scegli uno stile e sviluppa quello, trova il tuo mercato”, o ancora “profondo o leggero, datti un taglio”. Regole che ti costringono a un compromesso, ma che alla fine pagano.

Oppure un musicista se ne può fregare delle regole stesse, e inserire nelle sue canzoni un casino di parole, di sensazioni, di emozioni, di situazioni che tutti o che pochi abbiamo vissuto, parlarne a viso aperto senza sistemi, senza stili, in bilico fra elettronica, rock e folk, fra l’analogico e il sintetico purché abbia un ritmo incalzante se mi serve o lento se mi serve lento, perché alla fine la musica è un modo di esprimere un pensiero o una riflessione, solo con quel tanto di vibrazioni che bastano a farlo penetrare direttamente dentro il petto di chi lo sa ascoltare, e siccome c’è una infinità di persone che potrebbero ascoltare, allora è inutile darsi una regola, tanto vale buttar fuori quello che sento come voglio io, prima o poi qualcuno che mi saprà ascoltare lo troverò, e la cosa funziona ancora meglio se i miei amici mi vengono dietro e anzi entrano nel mio flusso di emozioni e di pensieri perché mi conoscono talmente bene che i nostri pensieri sanno interagire come una chitarra un basso una batteria e un synth, rock, folk, reggae e magari un pelo di dancehall in una canzone che potresti dire sia stata scritta con il big bang per quanto è consequenziale, perché quella nota non poteva stare in nessun altro luogo se non lì, quell’assolo, quel riff, quel testo: tutto al posto giusto perché non avrebbe potuto stare in nessun altro posto se non lì, perché l’importante non sono le regole ma l’armonia, e l’armonia me la creo io nella mia vita per quello che io ritengo essere il giusto, e le regole per l’amor del cielo, lasciamole a qualche altro campo ma all’arte no, perché se anche l’arte deve seguire delle regole smettiamola di chiamarla arte e chiamiamola burocrazia.

Com’è questa frase? Lunga e a perdifiato, vero? Vero, non ho seguito le regole… ma magari ho scritto qualcosa di sensato. Ecco, assistere a un concerto de Lo Stato Sociale è come leggere un frase del genere. Un flusso ininterrotto di musica, risate e analisi introspettiva di dissonante profondità. Parole e note a fiume, abbattendo la quarta parete. E quella è un’altra delle mille cose belle che mettono in campo Lo Stato Sociale: la capacità di abbracciare il pubblico, di parlare a ognuno di loro. Hanno trovato un linguaggio capace di parlare a tutti. È una cosa rarissima. D’altro canto Lodo ha concluso il concerto con uno stage dive che lo ha portato direttamente al bar … se questo non è essere in armonia con il pubblico…

Arrivare “lì” significa essere, ma è importante continuare a ipotizzarsi.

Non fa niente che siano arrivati secondi Sanremo 2018 con una canzone che hanno davvero capito in pochi, e di sicuro non quelli che hanno reso “Una vita in vacanza” un tormentone estivo, fermandosi al ritornello e non riuscendo a capire il senso delle parole che stavano attorno. Per capire una band come lo Stato Sociale bisogna saperla ascoltare, e forse è per questo che, malgrado Sanremo, malgrado XFactor, il concertone del primo maggio, i premi Siae e Mei, il premio Buscaglione, i programmi radio, i libri e tutto il carosello degli allori, Lo Stato Sociale da ancora il meglio sul palco di un Centro Sociale come il Pedro. Perché le cose che contano davvero non sono mai quelle che brillano di più, ma quelle più vere. 

Quel che ti rimane, quando il silenzio si impossessa di nuovo della sala e la gente comincia a sciamare verso il bar per rinfrescarsi la gola, poco prima che Momo Dj cominci il suo torneo e la festa prosegua, è una semplice, stupida, scontata idea che troppo spesso, però, tendiamo a dimenticarci, e il fatto che a ricordartela sia un gruppo di ragazzi che si divertono a fare i pagliacci e a prendersi in giro sul palco non fa che darle ancora più valore: non ha senso prendersi troppo sul serio se poi la vita deve essere una condanna ai lavori forzati.

Perché sei tu il tuo tempo migliore. 

Articolo di Riccardo Cecconi

Set list  Lo Stato Sociale Padova 14 aprile 2023

  1. Pompa il debito
  2. Mi sono rotto il cazzo
  3. Che benessere?!
  4. Ladro di cuori col bruco
  5. Vita di m3rda 4ever
  6. Eri più bella come ipotesi
  7. Anche i Ricchi muoiono
  8. Sono così Indie
  9. Fottuti per sempre
  10. Combat Pop
  11. Per farti ridere di me
  12. Amarsi male
  13. In due è amore, in tre è una festa
  14. Musica
  15. Tutti i miei amici
  16. Ops l’ho detto
  17. Una vita in vacanza
  18. Niente di speciale
  19. Abbiamo vinto la guerra
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