Dopo un lungo conto alla rovescia, sia per me che per numerosi fan di ogni dove, inizia finalmente l’edizione 2023 del Luppolo in Rock, che si svolge da venerdì 21 a domenica 23 luglio a Cremona, presso l’area delle ex Colonie Padane e ospiterà tre giorni ad alto voltaggio metal: quindici band, cinque al giorno, calcheranno il palco di questa attesissima e sentita manifestazione, proponendo una variegata gamma degli stili offerti dall’Heavy Metal: dal Glam al Prog, dal Classic al Grindcore.
Il festival “fatto dai fan per i fan”, con vari servizi pensati sia per chi viene da vicino, sia per chi si sobbarca un viaggio lungo o lunghissimo, dato che questa edizione vedrà fan persino da America e Australia. Inoltre ospiterà un interessante mercatino con dischi, libri e oggettistica a tema, anche se gli assi nella manica sono proprio i gruppi che si alterneranno a partire dal pomeriggio, nonostante il caldo veramente martellante, con tre headliner che hanno profondamente segnato la storia del genere.
Io sono arrivata a Cremona il giorno prima, per prepararmi a dovere all’evento, e dopo un primo giro di ricognizione nella zona del concerto, una granita che si scioglie a vista d’occhio nella calura e una lunga doccia ristoratrice, eccomi pronta alla prima delle tre giornate. Poco dopo essere arrivata alle Colonie, viene annunciato all’altoparlante che i Crashdiet non potranno essere presenti al festival, a causa di alcuni disagi delle compagnie aeree, un ritardo irrecuperabile ha fatto sì che rimanessero bloccati in Norvegia, da dove poi sarebbero dovuti arrivare a Milano, costringendoli a cancellare il loro show. Grande costernazione tra i fan, molti dei quali arrivati apposta soltanto per loro. Un vero peccato.
Alla luce di questo, l’inizio dei concerti slitta di un’ora, e l’onore di aprire l’edizione di quest’anno tocca agli unici italiani della giornata, i Dobermann, veri purosangue hard rock, nati per vivere la vita on the road in tour in lungo e in largo per l’Italia e l’Europa, calcando palchi prestigiosi, condividendoli con grandi nomi che includono Gilby Clarke, Richie e Marky Ramone e i Dirty Honey, questi ultimi proprio pochi giorni fa. Non sto parlando di una band nuova di zecca che si veste come i metallari degli anni ‘80: i Dobermann sono professionisti esperti e con tutti i crismi, indipendenti, e con cinque adrenalinici album all’attivo. Impressionante come tre componenti riescano a lavorare in un modo così completo.
Il loro non è un concerto, è uno spettacolo abilmente messo insieme che non concede a nessuno il tempo nemmeno per una birra o per andare in bagno: vuoi restare e goderti ogni secondo. Capitanati dall’energico e spumeggiante frontman Paul Del Bello, che definisce la linea di basso sempre ammaliante (provate, se riuscite, a non muovervi a tempo!) guardando negli occhi i fan uno per uno, questo trio infuoca gli animi con i suoni rock della Les Paul di Valerio Ricciardi, abilissimo in tutto, dai riff in stile AC/DC alle acrobazie EVH: i suoni più perfetti che una chitarra possa sognare di avere. Alla batteria troviamo l’inarrestabile Antonio Burzotta, cuore pulsante e indomabile motore della formazione, una cosa sola col suo strumento, impossibile non rimanerne travolti.
La scaletta offre alcuni tra i migliori brani tratti dalla loro discografia: un impeccabile giro di basso dà il via a “Rock Steady”, dove il pubblico si scatena a cantare il ritornello insieme a Paul, tratta dall’ultimo album “Shaken To The Core” uscito nel giugno 2021, e “Pure Breed”, singolo tratto dall’album omonimo : “Pure Breed”, ovvero una razza pura come questi ragazzi che da anni non scendono a compromessi, e da anni macinano chilometri su chilometri senza aiuti promozionali da parte di etichette, manager o agenzie.
Vi sembro di parte? Sarei bugiarda se dicessi di no. Ho avuto l’occasione di vedere i Dobermann più volte, potrei parlarne fino a sgolarmi, il mio consiglio è di andare a sentirli dal vivo e lasciarvi contagiare dalla loro adrenalina.
Un cambio di set rapido per il gruppo seguente, gli Eclipse, che per la prima parte del loro set saranno letteralmente inondati di sole diretto. Nove album in studio e uno live, vent’anni di carriera: eccoli salire sul palco, focosi e carichissimi, accolti da uno scrosciare di applausi e grida festanti dei fan. Nonostante la zona antistante il palco non sia ancora piena al massimo della capienza, i presenti si accalcano in transenna per acclamarli.
Nata a Stoccolma nel 1999, questa power metal band ha visto nel tempo alcuni mutamenti, ma sono sempre presenti il frontman Erik Martensson e il chitarrista Magnus Henriksson.
Per essere in grado di offrire un grande spettacolo rock come quello offerto dagli Eclipse, senza un allestimento particolarmente appariscente del set, devi davvero avere una marcia in più su cui fare affidamento: una band solida e affiatata, un frontman carismatico e capace, ed è proprio qui che troviamo gli Eclipse, sempre nell’Olimpo.
La voce di Erik è fantastica dal vivo come lo è su disco, la ricca scaletta esalta le sue doti vocali: è melodico, coinvolgente, intrattiene benissimo i suoi supporters che cantano a squarciagola, entusiasti e saltellanti sui riff micidiali di Magnus Henriksson, mentre il batterista Philip Crusner, altro mattatore della serata, fin dalla prima canzone interagisce con le prime file a suon di smorfie e air drumming selvaggio.
Essere in grado di registrare più di due buoni album di fila può essere un’impresa titanica, ma gli Eclipse ci sono riusciti, il che fa capire la qualità di questi quattro artisti. Erik parla sorridendo ai suoi fan, tra un riff e un raggio di sole che li fa sudare abbondantemente, dicendo che è stupendo essere di nuovo in Italia: thank you for the food, ringrazia. Dice di aver mangiato una pizza fantastica in aeroporto prima di arrivare a Cremona. And remember, never put cream in your carbonara, aggiunge Victor Crusner, bassista presente in formazione dal 2019, scatenando le risate dei presenti e causando un tripudio di applausi, casomai ne fossero mancati.
Tra i brani proposti, “Roses On Your Grave” in apertura, carica e vitale, melodie di livello e di immediata ricezione; “Twilight”, particolarissima e dal sapore medievale, concentrata sulla potenza delle chitarre che entrano ed escono da qualsiasi spiraglio delle casse e sull’ugola tenace e splendida del frontman.
In definitiva, questa band non sbaglia nulla: sound potente, parti strumentali dirette e suonate alla grande, melodie anthemiche. Erik è semplicemente uno dei più grandi songwriter del mondo Hard/Melodic, un talento così si vede raramente, preciso e potente, tecnico ed emozionale.
Il loro spettacolo si conclude con “Viva La Victoria” che fa saltare anche i sassi: una chiamata all’azione, un messaggio di speranza che il cambiamento e la giustizia prevarranno, tratto dall’ottavo album “Paradigm” del 2019. Che dire, questi ragazzi hanno dato una bella scossa alla città di Cremona, chapeau.
La Svezia si conferma fucina di talenti anche con la band successiva, gli H.E.A.T, formazione di Hard Rock attiva dal 2007 e nata dalla fusione di altre due band, i Dream e i Trading Fate. Attesissimi, reclamati a gran voce, il loro ingresso fa tremare anche la transenna.
Il mio primo pensiero è stato: come faccio adesso a catturare l’energia di un fulmine qui, sul palco?
Risposta: concentrazione, una bella dose di fortuna, e lascia che il cantante Kenny Leckremo faccia il resto, ecco come.
Se non avete mai visto gli H.E.A.T e Leckremo dal vivo, immaginatevi una trottola umana che sia stata caricata per delle ore di fila, infilatela in un paio di pantaloni neri attillatissimi, aggiungete una chioma lunga e fluttuante e datele un microfono, quindi lasciatela andare. Ecco a voi Kenny Leckremo, vocalist originale rientrato a sostituire Erik Gronwall nell’ottobre 2020. Sudiamo tutti sette camice, noi fotografi, non tanto per il caldo, quanto per riuscire a catturarlo in foto: rimbalza come una molla da una parte all’altra del palco, e quando pensi di averlo inquadrato lui sta già saltando altrove, o si sta rotolando a terra, e ci tamponiamo ripetutamente cercando di assecondare i suoi movimenti rapidi e imprevedibili.
Il legame fortissimo tra la band e il mood degli anni 80 è palese, e gli H.E.A.T brillano di potenza sonora, con le corde vocali d’acciaio di Kenny che raggiungono picchi altissimi di interpretazione, cavalcate chitarristiche e una batteria che rade tutto al suolo. Si va subito al sodo con “The Heat Is On” e “Back To The Rhythm”, un’apertura perfetta proprio come lo è nel nuovo album “Force Majeure”, suoni enormi e pieni, e un assolo di chitarra di Dave Dalone che in qualche modo mi ricorda quello di “Superstitious” degli Europe.
La scaletta ripercorre i grandi successi della band, focalizzandosi sul full lenght “H.E.A.T II” e il debut album “H.E.A.T”, compresa una “Beg Beg Beg” in stile Van Halen durante la quale il pubblico non si tira indietro, e canta con la poca voce rimasta. Molti di loro hanno aspettato parecchio tempo per rivedere questi ragazzi su un palco.
Se avete già avuto l’occasione di vedere questa band in azione, allora potete immaginare cosa si è perso chi non c’era: notti come questa spiegano con luci scintillanti, voci e melodie che fanno vibrare il circondario di viva emozione perché l’Hard Rock non morirà mai. Non importa se su di un palco di uno stadio o di un piccolo pub sperduto, questi ragazzi suoneranno sempre con l’ardore e la passione di come se fosse la prima volta, semplicemente emozionanti, e forse proprio per questo il loro concerto sembra arrivare troppo velocemente al termine.
Stremati, felici, ancora caldi dopo tanto cantare e saltare, i fan si calmano e rilassano in attesa che il palco venga preparato per l’headliner della serata, la teutonica Metal Queen Doro, ma di questo ve ne parlerò nell’articolo successivo.
Articolo e foto di Simona Isonni