Quella che stiamo per accingerci a vedere è una serata che ha avuto un’attesa di oltre due anni. Un’unica data italiana il 6 ottobre 2022 in esclusiva al T.P.O. di Bologna, l’unico locale abbastanza grande da poter accogliere il numero sempre crescente di persone che si è radunato per assistere allo spettacolo.
Ad aprire le danze tocca ai Fernandhell, autori di un Indie Rock molto orecchiabile, con un ep appena uscito “And The Gatten Army”, che viene eseguito totalmente dalla band durante la serata.Buona l’esecuzione dello show, ma ancora un po’ acerbi per quanto riguarda lo spettacolo e la presenza scenica, sono sicuro che la band avrà occasione in futuro di poter migliorare e dimostrare quanto vale.
I tempi sono serrati ed è il momento dei CUT, formazione felsinea all’attivo dal 1996, con alle spalle sei album e quattro tra ep e singoli.La band non si fa desiderare, sale sul palco e inizia il suo concerto con una carica enorme, che trascina il pubblico in visibilio. Loro sono un power trio non convenzionale, due chitarre e batteria. Nonostante sia assente il basso, questo non rende meno convincenti i brani, il groove è dato egregiamente dai due chitarristi e il ritmo serrato della batteria scandisce il tempo senza dare tregua. Quello che stupisce di più è la carica che Carlo Masu, chitarra della band, trasmette durante lo show. Non mancano salti, corse sul palco e tuffi nella folla che lo acclama, salta con lui e lo incita durante tutto il concerto.
Alle 22 esatte è il momento dei Mudhoney, che per coloro che come me hanno vissuto quel periodo, sono stati tra i pilastri di una rivoluzione musicale che ha scosso le fondamenta del Rock negli anni Novanta e hanno portato alla ribalta il Seattle Sound, che i giornalisti dell’epoca etichettarono come “Grunge”, per l’esattezza loro furono gli alfieri di quella parte della parte più sporca e grezza.
Il quartetto sale sul palco, un saluto accennato al pubblico e si parte subito con “You Got It” del 1989, simbolo incontrastato di quel suono seminale, per poi passare a “Suck You Dry”, colma di rabbia e ferocia, quella rabbia che scaturiva dai ragazzi oltre trent’anni anni fa.
È un muro sonoro quello che arriva dagli altoparlanti del locale, portano una carica che il quartetto di Seattle non ha mai perso e le sessanta primavere non pesano. Velocità e attitudine sono le parole esatte per definire questa serata. Mark Arm si toglie di tanto in tanto la chitarra per indossare le vesti di un Iggy Pop ben più aggressivo e roboante con una voce distorta, alcune volte cacofonica che riesce sempre a essere perfetta in ogni brano. La scaletta è veramente generosa e in poco più di un’ora e mezza riescono a snocciolare ben ventisei brani, e pochi di questi sono dei meri riempitivi; tutti sono delle piccole perle della loro discografia; c’è posto anche per un inedito “Tom Herman’s Hermits” presentato a metà del live.
Quello che constatiamo subito è la capacità di Arm e soci di essere sempre rimasti coerenti con loro stessi, a mantenere la loro anima rivoluzionaria esattamente uguale a trent’anni fa senza piegarsi agli stilemi del music business e senza scadere nel ridicolo. La setlist volge precipitosamente al termine e rimane lo spazio solo per eseguire altri quattro brani di encore richiesti fortemente da tutti gli astanti; che notiamo essere un pubblico molto variegato e di ogni età, all’ascoltatore di Black Metal al millennial che ascolta Indie, al rocker alternativo stile anni ‘90, cosa difficile da vedere in un altro tipo di concerti.
Quello che salta sempre all’occhio è la loro immutata attitudine nonostante siano passati più di trent’anni, la loro coerenza nel non piegarsi di fronte al successo per rimanere sempre loro stessi; diciamocelo non sono più dei ragazzini che urlano la loro rabbia e il loro disagio nei pub di Seattle, la loro vita l’hanno vissuta, avrebbero tutti i diritti a riposare, adagiarsi sugli allori, a rimanere nell’Olimpo di quelle band che hanno formato un genere e scosso le fondamenta della musica, ma preferiscono ancora calcare i palchi perché soprattutto adesso hanno qualcosa da dire, vista quello che sta succedendo adesso nel mondo e a quello che stiamo attraversando, e lo raccontano eseguendo brani come “Here Comes Sickness” e “In ‘n’ Out Of Grace”, tuttora attuali; e per concludere in bellezza il quartetto decide di regalarci una cover di una band per loro seminale, i Black Flag, che hanno dato una forte impronta al loro stile.
Giungiamo quindi alla fine della serata, una serata più unica che rara, che ha visto una band storica, importante per lo sviluppo di quel terremoto che portò all’ultima vera rivoluzione musicale dell’ultimo trentennio e diede una spinta a gruppi iconici come Nirvana, con le loro birre e le loro magliette sdrucite dei tempi andati, una band storica del panorama rock alternativo bolognese e una band promettente che avrà molto da riservarci in futuro. Ringraziamo Covo Club e T.P.O. per l’opportunità concessa e per la bella serata e organizzazione dell’evento.
Articolo e foto di Paolo Nocchi
Set list Mudhoney
- You Got It
- Suck You Dry
- Nerve Attack
- Who You Drivin’ Now?
- Souvenir of My Trip (inedito)
- If I Think
- Good Enough
- Judgement, Rage, Retribution and Thyme
- Sweet Young Thing (Ain’t Sweet No More)
- Touch Me I’m Sick
- Inside Job
- Tom Herman’s Hermits (inedito)
- Get Into Yours
- Prosperity Gospel
- F.D.K. (Fearless Doctor Killers)
- Oh Yeah
- I’m Now
- Paranoid Core
- Next Time
- Chardonnay
- 21st Century Pharisees
- One Bad Actor
- Into the Drink
- Here Comes Sickness
- In ‘n’ Out of Grace
- Fix Me (cover dei Black Flag)