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Sting live Mantova

Una set list che chiunque nel mondo della musica vorrebbe avere

Semplicità, unita a professionalità e pulizia sonora. Un’estrema e stringata sintesi, ma non per questo incompleta, per descrivere lo show di Sting di martedì 11 luglio in piazza Sordello, primo appuntamento del Mantova Summer Festival. In tutto un concerto di 19 canzoni, tutte perfette. Una set list che chiunque, nel mondo della musica vorrebbe avere, e che pochi si possono permettere. Mi spiego. Non che agli altri manchino le canzoni, per carità. Riuscire, però, a mettere insieme 19 brani, tutte hit, o singoli che dir si voglia, noti, in una scaletta di fatto cronologica, regalando il concerto che tutti vorrebbero sentire, è cosa davvero per pochi.

Sting non vuole strafare, non ha bisogno di restare ore sul palco. A differenza di Springsteen, sa di avere da offrire 19 canzoni perfette. Non serve infarcirle di pezzi meno noti. Neppure andare per la selva oscura, e scavare nei primi lavori, come un vecchio Indiana Jones alla ricerca di antichi magici macchinari, per far tornare indietro nel tempo i suoi fan.

Basta mettere in scena i grandi classici, per un’ora e mezza, con una band minimale che suona divinamente (chitarra, armonica a bocca, batteria e tastiere, vocalist, mentre per il basso, ovviamente, ci pensa il protagonista in persona). Potremmo anche finirla qua, perché l’unica aggiunta sarebbe quella di invitarvi ad andare a sentirlo in questo lungo tour europeo, che fa tappa nel Bel Paese solo per altre due date. Però qualcosa d’altro lo merita questo concerto. Se in apertura Sting, ahimè pure lui, fa fare la comparsata al figlio Joe Sumner, che però dimostra di essere un buon clone del padre, il riscatto poi se lo conquista dopo con uno spettacolo a regola d’arte, ma che non nasconde qualche perla qua e là. Insomma, se dovesse uscire un disco live, varrebbe la pena prenderlo per ascoltare nuovamente quanto andremo a raccontare.

In primis, ovviamente, l’incipit con il grande classico “Message in a Bottle”, che fa subito urlare di gioia la piazza, e ricorda a tutti e a tutte, come afferma un’amica vicina a me che bello che era avere 15 anni, e ascoltare i Police. Vero. La versione è quella classica, con il basso di Sting che sovrasta tutto il muro sonoro della band. Il basso, poi, è proprio quello degli anni ’80. Intendo lo strumento che ha in spalla Sting. Lo si vede, bello logoro, ed esercita un brande fascino.

Sapere, infatti, che quelle quattro corde lì sono proprio quelle che hanno suonato in tutti gli album dei Police e di Sting è, per chi ama la musica, qualcosa di magico. Un poco come quando si entra da Contempo Records a Firenze e si vede “Attilio”, il basso di Gianni Maroccolo, dismesso ormai alcuni anni fa. Sting non mollerà il suo basso neppure un secondo, come fosse una vera seconda pelle, e forse è davvero così.

Tutto lo show, come già detto, scorre via come da manuale, con un scelta semplice: eseguire le “My Song”, dal titolo dell’ultimo lavoro di Sting, in rigoroso ordine cronologico, con l’eccezione dei pezzi dei Police, usati come jolly. Dagli anni ’80 si risale, dunque, fra caldo tropicale, zanzare e moscerini a flotte, con Sting che ribadisce più volte che fa davvero molto caldo. A metà concerto arriva un altro momento importante, e cioè il dittico formato da “Fields of Gold” e “Brand New Day”, due veri carichi da 11, si direbbe nel linguaggio della Briscola.

La prima, “Fields of Gold”, è un brano che compie 30 anni quest’anno. Sting la suona quasi in versione più acustica di quella già acustica presente nel disco originale. Il risultato è una scelta stilistica per la quale il basso quasi sparisce (ma non viene mollato, non scende neppure un secondo dalla spalla del Nostro), ed emerge la chitarra acustica. Il risultato è splendido. Il tutto, poi, con un leggero tocco di magia in consolle, sui volumi. Anzi, il vero miracolo è nella perfezione di questo brano che, come sempre succede con canzoni di questa portata, una volta spogliato di tutto resta comunque perfezione di magica armonia.

Sinceramente, il prezzo del biglietto vale per questa esecuzione. E per quella a seguire, e cioè “Brand New Day”, canzone del 1999, che Sting ricorda di aver eseguito con Stevie Wonder. Qui non c’è Stevie, ma abbiamo lui con la sua armonica. Si riferisce a Shane Sager che, appunto, non farà ripiangere Wonder, e neppure la versione originale del pezzo. Qui a Mantova, ma credo che valga per tutto questo tour, il brano viene leggermente rallentato, perde in mood pop, e diventa quasi un brano blues, figlio del Sud degli Stati Uniti. Ci tende quanto meno, non è certo musica del demonio, ma neppure del Paradiso commerciale. Bella esecuzione davvero.

Da qui in poi, Sting rallenta il ritmo. Vuoi il caldo, vuoi nell’economia dello show, sta di fatto che per tre brani sembra di essere nei vecchi unplugged degli anni ’90. È forse il momento meno intenso del concerto che, però, riparte subito con un filotto di ritmo intenso: “All This Time” fa saltare la piazza, con “Mad About You”, si prosegue fino al grido entusiasta di “Walking on the Moon”. A quel punto si può solo salire, e sarà così. I Police sono ancora vivi, e lottano con piazza Sordello, con “So Lonely” che, nel finale, diventa versione reggae e sfocia in “No Woman, No Cry”. Mi sia concessa una battuta. Il pezzo di Bob Marley è buono un po’ per tutto, da “Io vagabondo dei Nomadi”, a “Knockin’ On Heaven’s Door” nella versione dei Guns N’ Roses, passando, ora, anche per “So Lonely”. Non so, ma l’effetto è quello che mi fanno certe band, o solisti,che, quando non sanno che fare, si buttano su Battisti. È una semplice sensazione, perché il mix funziona bene, ma è ormai trito e ritrito, e quella meravigliosa canzone sta perdendo tutta la sua potenza.

Comunque, il medley dura giusto quel tanto per fare due giri di “No woman, no cry” tutti insieme, e si torna a saltare, sui sassi roventi di piazza Sordello, con il finale di “So Lonely”. “Desert Rose”, una delle composizioni musicali più ricche di Sting solista, gode – finalmente – di un poco di scenografia sugli schermi. Fino a quel momento c’era stata davvero poca cosa alle sue spalle, se non qualche cambio di luce. Minimale anche in questo, l’ex Police.

“Every Breath You Take” e Roxane”, brani che non vanno neppure presentati, e che Sting esegue come da manuale, senza stravolgere nulla, salutano il pubblico di Mantova, prima del finale con “Fragile”, brano del 1988.

Non resta che tirare le somme. Avercene di musicisti, oggi, così talentosi, capaci di far sognare sia con il repertorio di canzoni della band, sia con quelle da solista. Avercele 19 canzoni, tutti singoli di tale portata, nel cassetto. Forse si potrebbe obiettare che Sting ha fatto bene i compiti, e nulla di più. Può essere una lettura, vero. Tuttavia, quanti Lucignolo abbiamo che, al posto di fare i compiti, si divertono nel paese dei Balocchi? Quindi, ben venga, di quest’epoca, anche chi sa fare bene i compiti.

Articolo di Luca Cremonesi, foto di Roberto Fontana

Set list Sting 11 luglio 2023 a Mantova

  1. Message in a Bottle
  2. Englishman in New York
  3. Every Little Thing She Does Is Magic
  4. If You Love Somebody Set Them Free
  5. If It’s Love
  6. Loving You
  7. Rushing Water
  8. If I Ever Lose My Faith in You
  9. Fields of Gold
  10. Brand New Day
  11. Heavy Cloud No Rain
  12. Shape of My Heart
  13. Why Should I Cry for You?
  14. All This Time
  15. Mad About You
  16. Walking on the Moon
  17. So Lonely (e “No Woman, No Cry”…)
  18. Desert Rose
  19. King of Pain
  20. Every Breath You Take
  21. Roxanne
  22. Fragile
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