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Vasco Rossi live Milano

Artista collante di una nazione senza più santi, eroi, guide, naviganti, poeti, marinai e artisti come lui capaci d’emozionare ancora, con circa due ore e mezzo di spettacolo

Cosa si può dire di nuovo che non sia stato già scritto su queste sette date a San Siro di Vasco Rossi? Forse poco, ma siamo convinti che ci sia qualcosa su cui riflettere, dopo che abbiamo assistito alla data del 12 giugno 2024, la quarta dei Magnifici 7. Così il rocker ha definito questi concerti milanesi.

In primis la scaletta. Esisterà mai quella perfetta? Ovvio che no, perché ognuno ha la sua in testa, e le canzoni sono tante, e tutte le persone escono dallo stadio affermando che però non ha fatto la loro preferita. Tuttavia, in questa sede, possiamo sbilanciarci. Quella di quest’anno si avvicina molto a essere una scaletta ottimale, o quanto meno per quello che è ormai diventato il concerto annuale di Vasco.

Avete notato? Non si parla mai di tour, ma di “concerto di Vasco”. Significativo. Azzarderei questa riflessione. L’Italia ha due momenti popolari per eccellenza: il Festival di Sanremo a febbraio, e il “concerto di Vasco” in giugno. Per tutte le persone non è la data di un tour, ma il “Concerto”. Questo perché è diventato un momento di condivisione davvero popolare. Chi lo avrebbe mai detto che quel Blasco – guarda caso, la prima canzone in scaletta quest’anno – sarebbe transustanziato da cattivo maestro ad artista capace di regalare il momento popolare estivo per eccellenza.

Il suo spettacolo è diventato una grande festa dove si canta tutti insieme, e dove le canzoni sono ormai diventate di tutti e di tutte. Non sono più sue, cioè di Vasco. Lo sa bene anche lui che, fatto raro, quest’anno ha anche deciso di riprendere una, dopo il finale, perché richiesta dal pubblico che ne canta il ritornello. Si tratta di “Se ti potessi dire”, che viene ripresa con la chitarra e cantata, a oltranza, per alcuni minuti.

Così la scelta, fatta alcuni anni fa, di concedere il personaggio Vasco a tutti – con firme di autografi, attese sotto casa, momenti di condivisione con il club, e altre occasioni ancora – lo ha reso famigliare, casalingo, amico, parente stretto, persona con la quale stiamo vivendo questi anni. Tutti insieme. Non più il rocker isolato, sull’Olimpo; ma rockstar di prossimità.

Ed ecco che la scaletta, quest’anno, ci racconta come sempre un po’ di noi, di quello che siamo, ma come corpo sociale – da “Asilo republic” a “Jenny e pazza”, fino a “Basta poco”, recuperata dopo che era sparita dal 2007 – e non solo come uomini e donne impegnati a districarci negli anfratti della nostra esistenza – “Sally”, “Gli sbagli che fai”, “Vivere senza te”, che torna live dopo quasi 30 anni – ma come persone che vivono insieme in una comunità. Fin qui siamo in linea con quanto lo stesso Vasco ha dichiarato ovunque sulla stampa.

Il fatto del popolare è ciò che mi preme, perché queste 7 date a San Siro non sono solo un record, ma la celebrazione di un legame. Si può dire che questa cosa sia nata nel 2017, a ModenaPark. Chi c’era si è reso conto che quello è stato un concerto speciale. Non certo per le migliaia di persone presenti, ma per come si è vissuto insieme quell’evento. Vasco è diventato un corpo collettivo. Siamo noi, e lui non fa altro che mostrarcelo. Nessun altro più di lui. Ecco perché è amato, osannato e celebrato senza se e senza ma, tanto quanto è odiato e disprezzato.

Vasco ha saputo andare oltre i confini della musica, del genere e del settore; si è trasformato in popolare, nel senso nobile del termine. Questo dà fastidio a chi ama essere underground; a chi crede di essere speciale, fuori dagli schemi e inimitabile. Comprensibile. Ma c’è anche una gran parte di persone alle quali non è rimasto nulla, e convivono con questa situazione di normalità nella loro quotidianità. La politica non è più fenomeno collettivo; le istituzioni spaventano; l’arte sembra sempre più incomprensibile; la letteratura, il cinema, la musica, sono solo consumo di contenuti; l’entusiasmo viene acquistato solo con denaro.

A fronte di tutto questo cosa resta? Il concerto di Vasco, con le sue canzoni. Lì, come è stato ricordato da Diego Spagnoli alla fine dello spettacolo, noi ci siamo ritrovati, abbiamo pianto, abbiamo amato e ci siamo dati anche delle speranze, oltre che un sostegno. Ed ecco perché quello di Vasco non è più un tour, ma il “Concerto”. Andrà avanti finché sarà possibile, e un giorno non ci sarà più. A quel punto il risveglio sarà duro, perché questo spettacolo indennitario è forse una delle poche situazioni di massa che ancora ci danno un senso di appartenenza. In tutto questo la musica, le canzoni e lo spettacolo, sono centrali.

Gli arrangiamenti sono decisamente cambiati. Due anni fa si era toccato il punto di non ritorno. Lo avevamo scritto. Non si poteva andare oltre. Serviva tornare indietro, ed è stato fatto. Non si poteva farlo in modo drastico, per quanto detto sopra, perché ormai non è più un tour, ma un qualcosa di proprietà pubblica, di popolare, e i gusti popolari vanno mantenuti, conservati e nutriti per quello che sono. Il ritorno al Rock c’è stato. Via gli orpelli, e anche quest’anno Vince Pastano ha lavorato per sottrazione. Bene, molto bene.

Sarebbe bello che si tornasse al suono asciutto, ruvido e sporco, degli anni ’90, ma vorrebbe dire rinunciare a quella dimensione popolare che a questo Vasco indubbiamente piace. Quello cioè di essere diventato voce di coscienza collettiva. Se non Grillo Parlante, quanto meno baluardo che ci ricorda che si può vivere anche di sogni, in modo spericolato, facendo errori, rifacendoli, imparando da questi; restandoci alla fine un po’ male per colpa delle situazioni, delle storie e delle vicende umane, ma sempre con gli occhi in alto, e senza rimpianti. Quindi, bene i fiati, che si sentono là dove si devono sentire, come in “Blasco Rossi”, “Vivere senza Te”, “Bollicine”, e nelle altre fanno da sfondo. Insomma, “… Muoviti” grida ancora vendetta, ma non si è più fatto quello sgarro.

Il basso di Andrea Torresani si è preso il posto che merita. Cuore pulsante, pilastro della band quest’anno, nel momento in cui le percussioni sono stati affidate a Donald Renda, che stupisce tutti per le trame che costruisce, e per come picchia quando serve. Meno duro e meno essenziale di Matt Laug, ma con tamburi potenti suonati sui grandi classici degli anni ’90. Steff Burns è solido nei soli principali; mentre Vince Pastano si conferma anche quest’anno generoso, ma con un lavoro di sostegno, rifinitura e completamento, che è davvero importante e impegnativo. Entrambe le chitarre, al termine, sono davvero provate, perché questo è tornato a essere un concerto rock. Meno sporco di quello degli anni ’90 ok, ma di certo rock tanto quanto popolare, nell’accezione migliore del termine.

Le canzoni, lo si diceva in apertura: una delle selezioni più belle fatte in questi ultimi anni. Non sarà sfuggito che il Vasco che non celebra se stesso, ha comunque inserito in scaletta gran parte delle canzoni cantate nella “prima” di San Siro. “Blasco Rossi” era la seconda di quello show, ed è diventa la prima. “Asilo republic” è di casa qui. “Vivere senza te”, “Domenica Lunatica”, “Dillo alla luna”, “C’è chi dice no”, “Ridere di Te”, erano tutte presenti, con i classici che chiudono lo show, nella scaletta del 1990.

Scelta vincente poi – e perché non ci si è pensato prima? Gli Stones lo fanno da anni – quello di rimescolare la disposizione delle canzoni. “Gli spari sopra” come terza; “Sally” a ridosso di “Jenny”, canzoni legate, come ha sempre ricordato Vasco; “Se ti potessi dire” nel finale. Insomma, mosse dalle posizioni usuali, questi classici hanno dato molta freschezza allo spettacolo. “Bollicine” ha trovato la sua nuova vita con questo sound pop-rock inglese, dato che begli ultimi show arrancava, e sembra più un canzoncina da serie Tv, al posto dell’inno generazionale che è, al pari di tanti altri brani del rocker di Zocca.

Il medley funziona bene, pescando da qua e là in vari decenni, ma con una linea melodica costruita con sapienza, dove il rapporto speciale di disincanto che le canzoni d’amore di Vasco raccontano, è messo ben in evidenza. Merito di “Cosa vuoi da me”, che sorregge, come racconto, tutto il mix. Ottima cosa aver riproposto “Dillo alla luna”, con l’arrangiamento dello scorso anno. Sarebbe stato un peccato lasciarla nel 2023, e solo su un 45 giri del fan club.

“Gli angeli” è un pezzo salvifico, nel senso che spazza via finalmente “Siamo soli”, in scaletta da sempre, quindi da troppo tempo. Il solo di chitarra de “Gli angeli” è fra i più amati della produzione di Vasco, ed era ora che si tornasse a condividerlo live.

Il finale è tornato a essere a statuto speciale, e cioè una cosa fra noi e Vasco, come è giusta che sia. Anche qui gli orpelli sono stati lasciati a casa, e “Siamo solo noi”, “Vita spericolata”, “Canzone”, e “Albachiara”, le canta il pubblico con il suo autore. Sono i 60 mila il partner giusto per lui. È il pubblico che fa da contro voce a Vasco, e non inutili teatrini. Ed è quello il momento che sancisce quell’unione popolare e civile di cui si diceva prima, che non può finire se non con Vasco che resta fino alla fine sul palco (altro fatto inedito), e con i fuochi d’artificio, come nelle feste popolari che si rispettino.

Infine, lo spettacolo.
Palco degno dell’evento; un mix fra la nave del 2003 e le evoluzioni post-ModenaPark. Gli schermi a led, sperimentati da Roger Waters dal tour di “The Well” in poi, garantiscono visibilità eccellente. Le immagini sono un po’ provocatorie, lo dico in modo ironico, perché lo spettacolo si apre con la pioggia su una cupa metropoli e, per due sere (scriviamo dopo la quarta esibizione), la pioggia battente, con temperature autunnali, ha fatto da padrone. Il grande schermo, intervallato da strutture metalliche che creano triangoli, o delle doppie “V”, permette di giocare con immagini prese dal pubblico, dalla band e da varie posizioni del Nostro.

Il grande cuore che batte all’inizio rimanda un poco a “Speak to me”, ma solo per un momento, perché poi questo cuore si irradia, e simboleggia il grande abbraccio di Vasco, non certo il viaggio nella mente oscura del Dark Side. Su “Rewind” ormai ballano seni a non finire, ma anche questo è parte del lato rock della faccenda. Le possibilità digitali, infine, permettono giochi con le luci, che dal pubblico rimbalzano sul grande schermo creando un cielo stellato che diventa poi uno sciame di parole, quelle delle canzoni di Vasco. Un bellissimo effetto, ma quello del 1990, con 80 mila accendini, aveva in sé qualcosa di più genuino e romantico. Poco male.

Unica nota stonata dello spettacolo: le pause. Tante. Troppe, ma necessarie. Il tempo passa per tutti. Proprio per questo, e proprio perché non c’è nulla da dimostrare a nessuno, si possono anche ridurre un poco le canzoni. Cosa che non stonerebbe, e non farebbe venir meno quel senso di comunione e partecipazione di cui si diceva all’inizio.

Al netto di questo, resta uno spettacolo degno di un grande evento, e cioè 7 show a San Siro, e di un artista che è diventato il collante di una nazione senza più santi, eroi, guide, naviganti, poeti, marinai e artisti capaci d’emozionare ancora, con circa due ore e mezzo di spettacolo. Per sette volte, a San Siro. E per altre quattro, poi, a Bari. E c’è chi ha il coraggio di chiedere di più. O, peggio ancora, di sferrare feroci critiche. Ci vuole tanto e troppo coraggio, davvero.

Articolo di Luca Cremonesi, foto di Luca Taddeo

Set list Vasco Rossi Milano 12 giugno 2024

  1. “Blasco” Rossi
  2. Asilo “republic”
  3. Gli spari sopra
  4. Gli sbagli che fai
  5. Quanti anni hai
  6. Come stai
  7. Vivere senza te
  8. Bollicine
  9. Jenny è pazza
  10. Sally
  11. Domenica lunatica
  12. Interludio 2024 / Echo Lake
  13. Un gran bel film
  14. La fine del millennio
  15. Gli angeli
  16. Basta poco
  17. C’è chi dice no
  18. La strega (la diva del sabato sera) / Cosa vuoi da me / Vuoi star ferma! / Tu vuoi da me qualcosa / Occhi blu / Incredibile romantica / Ridere di te
  19. Rewind
  20. Il mondo che vorrei
  21. Dillo alla Luna
  22. Se ti potessi dire
  23. Siamo solo noi
  24. Vita spericolata / Canzone
  25. Albachiara
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