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Taste Talk “I suoni del cibo”

Due i temi scelti per l’edizione 2023 di Taste, di cui uno è la musica

A Firenze dal 4 al 6 febbraio è tornato Taste, il salone del cibo a cura di Pitti Immagine, giunto alla sedicesima edizione, uno degli appuntamenti irrinunciabili per foodies italiani e non solo. Due i temi scelti per l’edizione 2023, di cui uno è la musica. Interessante … vado, nonostante alcune affermazioni di presentazione da parte del direttore generale mi lascino un po’ perplessa Proprio la musica, e in particolare il Jazz, che tra tutti i generi è quello forse più versatile e libero da schemi precostituiti, sia un linguaggio utile e innovativo per raccontare il mondo del cibo.

Uno dei Taste Talk, l’unico evento a tema musicale, si svolge sabato pomeriggio nella sala del main sponsor, immersa nel rumore che la circonda, e che sembra sia trendy così in questo tipo di manifestazioni. Per il resto, nel vasto programma che si estende anche fuori dalla Fortezza da Basso in tanti luoghi della città, ci sono soltanto due etichette appicciate a titoli di eventi che di musicale non hanno niente: Vini rockeggianti, Perfect Symphony.

L’evento di cui si diceva ha titolo “I suoni del cibo. Come il colore e la musica influenzano il nostro palato”; dura 45 minuti, a cura della divulgatrice enogastronomica Anna Prandoni, pedigree nel settore del giornalismo di settore. I suoi ospiti sul palco sono Fiamma Rivetti, coordinatrice del Centro di ricerca di Neuromarketing, Behavior e Brain Lab IULM, Ettore Bianconi, musicista e esperto di playlist associate al cibo, Eugenio Signoroni, autore di numerosi podcast a tema cibo, e Lorenzo Caimi amministratore delegato di Caimi Brevetti.

Gli interventi sono tutti decisamente superficiali; peccato, si poteva parlare abbondantemente del tema, e declinarlo nelle varie aree di conoscenza dei relatori. Fiamma Rivetti ci guida in una degustazione accompagnata da musica che dimostra che la musica influenza solo relativamente il palato! E non tiene conto di variabili fondamentali: l’età dell’ascoltatore/degustatore, quindi quanta musica ha già dentro; quanto è ampia la sua grammatica di ascolto; dei gusti musicali che possono influenzare in maniera diametralmente opposta una persona. Nessuno, parlando di musica di sottofondo al ristorante, distingue la musica suonata dal vivo (il classico piano bar) da quella diffusa da casse, e se questa diffusione è di qualità oppure rumorosa e fastidiosa. Ettore Bianconi parla delle sue playlist rievocando il tempi delle “cassettine” che si facevano per le varie situazioni, per se stessi o per gli amici, ma non entra affatto nelle dinamiche psicologiche della costruzione di una playlist. Si poteva parlare per esempio del potere rieducativo della musica, e del suo potenziale nella riabilitazione dei disturbi legati alla sfera dell’alimentazione, come l’anoressia.

Non si parla di abbinamento tra musica e geografia, ad esempio non ascolteremmo probabilmente mai musica cinese a casa, ma la gradiamo mentre ci mangiamo involtini primavera o ravioli al vapore. Non si è parlato neanche di musica e marketing musicale, se non con brevi accenni da parte di Eugenio Signoroni quando ha svelato che in un podcast, filone della comunicazione digitale di cui si occupa, è importante far sentire i suoni del cibo, per esempio il rumore di una bottiglia di bibita gassata che viene stappata: ma cosa c’entra con la musica? Lorenzo Caimi, imprenditore, ci svela il successo planetario della sua azienda che produce sistemi di arredo insonorizzanti, che favoriscono intimità ai tavoli e assenza di rumore di sottofondo nei locali di ristorazione. Interessante, ma molto spot.

Esco ancora più perplessa, rincuorata soltanto dagli assaggi divini che vengono offerti nei saloni nella via verso l’uscita, dove si trova un’inevitabile fermata per lo shopping di cose buone.

Articolo di Francesca Cecconi

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