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Il videoclip che non c’è: Radiohead “A Wolf At The Door”

Soggetti per videoclip mai realizzati: è la volta dei Radiohead

radiohead a wolf at the door illustrazione di LeonardoVannini2022

Il “videoclip che non c’è” è un format che nasce dalla contaminazione fra scrittura creativa, fumetto e musica. Esistono migliaia di perle nascoste anche negli album di grande successo, gemme che non brilleranno mai come meriterebbero perché il mercato viene investito innanzitutto dai singoli, e i videoclip vengono prodotti solo a supporto delle hit scelte per il lancio. 


Radiohead “A Wolf At The Door (It Girl. Rag Doll.)” (dall’album “Hail To The Thief” – traccia 14)

Il Bambino chiude gli occhi. Stretti. Cerca di non ascoltare gli artigli stridere sulla porta. Ma è impossibile. Si rifugia sotto le coperte e aspetta, sperando di averlo solo immaginato. Il Lupo è alla porta. Di nuovo.  

Il Ragazzo chiude gli occhi. Stretti. Cerca di non pensare che presto i calci faranno saltare via i battenti. Tira su col naso e respira l’odore di piscio nel bagno della scuola. Il Lupo è alla porta. Di nuovo.

L’Uomo chiude gli occhi. Stretti. Cerca d’ignorare il terzo scampanellio ostinato alzando il volume della musica. Un tempo sapeva bene come rispondere per le rime, ora neanche ha la forza di aprire a un Postino. Il Lupo è alla porta. Di nuovo.

Il Vecchio chiude gli occhi. Stretti. Fa finta che quei toc toc pazienti siano tutti nella testa. Un ricordo di millenni fa, quando il cielo era aperto, il sole giocava di riflesso sul parabrezza dell’auto parcheggiata, e la sconosciuta che avrebbe amato per il resto della vita aveva bussato un paio di volte sul finestrino. Il Lupo è alla porta. Di nuovo.

Il Bambino inizia a pregare, in risposta arriva il primo ringhio, terribile, spietato. Geme, perché sarà di nuovo l’inferno, com’è stato per tutta la settimana. Non sa ancora come sopravvivere alla notte ma non può chiamare in aiuto i suoi, non capirebbero. E una volta rimboccate le coperte, il Lupo tornerebbe.

Il Ragazzo inizia a pregare… quanto diavolo dura la ricreazione in quella maledetta scuola? In risposta alla domanda inespressa, un altro insulto fende l’aria: Arrivo, frocio. Non può urlare, sarebbe un’umiliazione ancor peggiore, e una volta neutralizzato, il Lupo tornerebbe.

L’Uomo inizia a pregare, si sente ridicolo a chiedere che il portalettere sparisca, o che possa non tornare più. È di nuovo piccolo e inutile, come trent’anni prima. Si chiede come ha fatto ad arrivare a quel punto, a perdere tutto: lavoro, donna, dignità… si ripete che non è colpa sua, che i tempi sono spietati, che all’inferno non è da solo. Signore, può aprirmi? Mi serve la sua firma. Anche se gli urlasse di portare via quella busta funesta, il Lupo tornerebbe.

Il Vecchio inizia a pregare affinché la realtà per una volta lo stupisca, il tempo si riavvolga come nei film permettendogli di tornare a quella chioma castana che scendeva morbida sulla spalla in un bagno di luce. Lei voleva chiedergli aiuto per una gomma a terra; lui aveva finito per donarle la vita. Toc Toc.    
E non può urlargli di aspettare ancora, perché quello è il Lupo che dalla porta non schioderà mai più.

Il Bambino ascolta il ringhio crescere, diventare un coacervo di rabbia famelica primordiale. E all’improvviso è stufo. D’un tratto tira via le coperte, sente il gelo accapponargli la pelle. Si mette in piedi.

Il Ragazzo vede la serratura tremare, le crepe nel legno allargarsi; ascolta una bestemmia scuoterlo come un pugno nello stomaco. Ed è giunto al limite. Puntella le mani sul gabinetto, la superficie umida per chissà quale secrezione gli fa accapponare la pelle. Si mette in piedi.

L’Uomo ascolta la scampanellata più lunga, quella che sa essere l’ultima e sente, basso ma nitido, il commento a mezza bocca: Che pena… D’un tratto la mano afferra il telecomando dell’impianto, spinge stop svuotando lo spazio, risucchiandolo nel silenzio totale. Quella lettera gli porterà via la casa. Perfetto: non avrà altro da perdere. Un brivido così antico da sembrargli nuovo gli fa accapponare la pelle, lo fa sorridere. Si mette in piedi.

Il Vecchio stavoltasente un solo Toc, tondo, ancora più paziente dei precedenti. E quasi le vede quelle nocche grigie rimbalzare sul legno, il saio nero col cappuccio a coprire il nulla assoluto, quel riflesso inaspettato (così bello!) sulla lama della falce impugnata da ossa che sembrano fragili ma che sono indistruttibili. Anche lui lo è stato, indistruttibile, quand’è sceso dall’auto come un Dio, un mezzo sorriso sornione sulla bocca. Il ghigno ora è deformato ma in fondo è rimasto lo stesso. Il cuore appena accelerato si confonde con altri palpiti, più profondi, radicati. Si appoggia al bastone, si mette in piedi.

Il Bambino misura a passi molli la distanza fino alla porta.
Il Ragazzo fa quell’unico passo che lo separa dal dolore imminente.
L’Uomo si mangia il corridoio in cinque falcate vigorose, si ritrova di fronte all’ingresso.
Il Vecchio sa che dall’altra parte non esiste la parola fretta, e ciabatta fino all’uscio.
Il Bambino spalanca la porta.
Il Ragazzo spalanca la porta.
L’Uomo spalanca la porta.
Il Vecchio spalanca la porta.
Il Lupo li osserva.

Nel Tempo immobile, quattro attimi di perfetto stallo alla messicana. Poi…

Il Lupo sparisce.   
Il Lupo ringhia senza mordere.  
Il Lupo azzanna.
Il Lupo mangia.

Soggetto di Simone Ignagni, disegno di Leonardo Vannini

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