Il 16 aprile 2021 i Flame Parade hanno pubblicato il nuovo Ep “Echoes”, sotto il segno di “Materiali Sonori”, eclettica etichetta toscana indipendente. Il lavoro, che comprende un inedito e il ri-arrangiamento di tre singoli tratti da “Cosmic Gathering” (il secondo album del 2020) è molto interessante, e dalla mia recensione per Rock Nation, che potrete trovare qui, il passo verso un’intervista è stato breve, direi naturale. Così, una bella mattinata di tarda primavera, mi ritrovo in collegamento con Mattia Calosci, bassista dei Flame Parade ma, come leggerete fra poco, personalità eclettica che riveste diversi ruoli. Mattia è aperto, parla a briglia sciolta, così ben presto la classica intervista si trasforma in uno scambio ricco di aneddoti e interessanti digressioni …
Mattia, allora, partiamo da te: presentati a Rock Nation. Oltre a essere il bassista dei Flame Parade sei anche la “voce istituzionale” della band?
Mi occupo spesso dell’aspetto comunicativo, a me diverte molto parlare, pensa che dispregiativamente mi chiamano “Il Filosofo”, perché parlo troppo e ragiono troppo. Io e Marco, il cantante, siamo un po’ quelli che teniamo il fortino, il quartier generale del progetto. A volte però se ne occupa anche Letizia.
Io principalmente suono il basso nella band, in più sono anche il grafico, quindi curo l’aspetto visivo del progetto. A parte la prima delle 4 pubblicazioni, della quale si sono occupati altri artisti sotto la mia supervisione, le ultime cose le ho seguite io. Inoltre curo la distribuzione, infatti in questo momento sono proprio qui, nella sede di Materiali Sonori.
Nel senso che lavori, in generale, per Materiali Sonori, al di là della band?
Sì, mi occupo della distribuzione digitale. Compresa, ovviamente, anche quella relativa ai Flame Parade.
La storia dei Flame Parade nasce nel 2012, in un antico casale toscano dove, alla fine degli anni ’70, è nata la Materiali Sonori. La storia della fondazione sembra interessante, anche poetica oserei aggiungere. Puoi parlarcene meglio?
Tutto è iniziato fra il 2012 e il 2013. Inizialmente non ci chiamavamo Flame Parade, eravamo solo io, Marco e Letizia, tre ragazzi che condividevano un’ideale. Il casale di cui parli era una vecchia abitazione qui in Valdarno, nella zona delle Balze, quelle formazioni antichissime di detriti stratificati composti da sabbia, argilla, ciottoli e ghiaia… a volte sembra un po’ il deserto del Texas, del Colorado o giù di lì, è un paesaggio molto evocativo. Insomma, in quella casa, che già diversi anni prima era stata vissuta da tantissime persone, in cui erano passati molti artisti, decidemmo di mettere insieme le esperienze derivanti dai progetti passati. Era un casolare davvero vecchio, umido, e ricordo che noi accendevamo ritualmente questo grande camino centrale… ed è stato proprio questo elemento ad aver dato il nome alla band. Ci siamo detti: “Usiamo il fuoco”. Da qui Flame Parade, per celebrare quei primi momenti, per rappresentare sia il fuoco fisico che ci scaldava, sia il fuoco simbolico che ci univa. Un’idea molto semplice, se vuoi, ma per noi fu davvero un punto di riferimento.
E come si è andata delineando, poi, la line-up?
Inizialmente, come ti dicevo, eravamo io, Marco e Letizia. Poi, se non ricordo male, era l’estate 2013, io mi trovavo in Germania, in tour con la mia vecchia band, e avevamo bisogno di un batterista per la formazione nascente. Io avevo questo amico che allora era in California per studiare batteria con David Elitch dei Mars Volta. L’ho chiamato, gli ho detto che era in ballo questo progetto nuovo… lui era un po’ indeciso, perché in effetti stava uscendo dal Punk… ma alla fine quando è tornato dalla California si è unito a noi. Quindi la prima vera formazione dei Flame Parade, completa, fu in 4, con Niccolò alla batteria. In seguito ci accorgemmo che mancava ancora qualcosa… non ci serviva tanto uno strumentista, un virtuoso, quanto piuttosto un amico che condividesse la nostra visione della vita e della musica. Ed è stato per questo che, alla fine del 2017, è entrato a far parte della band anche Francesco, chitarrista e violoncellista, che si è trovato subito bene all’interno dei nostri equilibri.
“Echoes” è un Ep particolare: un solo inedito, “River”, e altri 3 brani rivisitati da “Cosmic Gathering”. Perché questa scelta? Si tratta forse di una maniera strategica per tastare di nuovo il terreno dopo il periodo di pandemia? O è stata un’esigenza artistica?
Un po’ entrambe le cose. Per “Cosmic Gathering” abbiamo organizzato il release-party il 28 febbraio 2020… conta che poi il 10 marzo c’è stata la chiusura a causa dell’ondata Covid, il primo lockdown, quindi per forza di cose l’album ha avuto una vita quantomeno “strana”, se così possiamo dire. Quindi, forse anche per via di queste circostanze, ci sembrava che il disco non avesse detto tutto, infatti abbiamo scelto il nome “Echoes” perché è come se contenesse un riverbero dell’album precedente. Hai presente quando è finita la fonte sonora, però permangono ancora degli echi, delle tracce che rimandano alla fonte? Ecco, l’idea era che ci fosse ancora qualcosa da dire su “Cosmic Gathering”, qualcosa che fosse rimasta nell’aria, ancora inascoltata. Così è venuta fuori l’idea dei ri-arrangiamenti.
Dunque, sì, è un po’ tutt’è due le cose: esigenza artistica, e possibilità, un anno dopo, di proporre un Ep con cui tornare in pista in maniera pratica. In realtà c’è stata anche una terza spinta: “Echoes” è stato il primo prodotto Flame Parade che abbiamo registrato da noi, nel nostro studio. Il precedente era sempre stato registrato lì, con Leonardo Magnolfi al mixer, ma in quest’ultimo caso abbiamo davvero “giocato” da soli, ci siamo sfiziati parecchio.
“River” è una canzone particolarmente ispirata, suona come la rappresentazione idealistica dello spirito della band. Ci parli un po’ meglio del suo testo e dei significati che porta con sé?
“River”, l’inedito, è stato messo in scaletta per primo. In realtà nella narrazione dovrebbe essere in fondo, perché l’idea è la seguente: “Ci sono degli echi, ma… sta arrivando qualcosa di nuovo”. Poi, però, per esigenza discografica ha avuto più senso piazzarla in apertura.
L’interpretazione è molto semplice… è un riferimento al “Panta Rei” di Eraclito, “Tutto Scorre”… il mondo è come un flusso perenne in cui tutto scorre, esattamente come in un fiume. Ecco perché “non ci si può mai bagnare due volte nella stessa acqua”. Si può fare o dire qualunque cosa, ma è chiaro che siamo dentro un flusso di tempo che, qualunque cosa accada, continuerà ad andare. In questo perenne divenire c’è l’esigenza di trovare un centro, persone e legami insieme ai quali affrontare questo evento inarrestabile che è alla base dell’esistenza. E quindi, legandosi al significato del testo, si tratta proprio dell’essenza della band. Come ti dicevo, ci sono gruppi che semplicemente suonano insieme, per suonare e basta, e ci può stare. Noi invece siamo persone che condividono anche ideali di vita, e modi di stare al mondo.
Esiste un lyric-video di “River” molto evocativo, che ben si sposa con lo spirito della canzone. Com’è venuto fuori?
Ecco, neanche a farlo apposta, visto che sono a Materiali Sonori è appena passato Pierfrancesco Bigazzi, che è il regista di tutti i video dei Flame Parade e anche dei lyric-video, e noi ci divertiamo in questa dialettica creativa da cui poi vengono fuori le proposte visive della band.
Fondamentalmente c’era una location, vicina a dove abitiamo noi, situata nei pressi della catena montuosa che divide il Valdarno dal Chianti, e c’era una zona abbastanza sperduta in cui si può arrivare solo a piedi, e di cui conservavamo un ricordo particolarmente evocativo. Mentre camminavamo lungo il sentiero che saliva questa montagna, siamo passati vicini a un laghetto artificiale e ci siamo fermati lì. Abbiamo notato che buttando nello specchio d’acqua dei sassi, si vedeva sullo schermo la formazione di onde, che pian piano andavano via, e tornavano con frequenza diversa dopo il lancio di un altro sasso, e così via… creando così questa specie di mantra che puoi vedere nel video. A quel punto, nonostante i piani fossero diversi, abbiamo deciso di girarlo in quella maniera. Nella sua basicità, infatti, dava proprio quell’idea di “divenire” e d’intimità che ci serviva.
E c’è l’idea di girare anche un official videoclip di “River”?
Non lo sappiamo, perché stiamo già scrivendo tante cose nuove. E poi, anche se ci piace suonare evocando grande atmosfera, come in “Echoes”, l’ultimo materiale suona molto più soul, quindi ci prenderemo un po’ di tempo per capire bene in che direzione puntare.
Quanto è stato lungo il processo di riarrangiamento degli altri tre brani? Quale vi ha messo in maggior difficoltà? E di quale nuova veste, alla fine, siete più orgogliosi?
Il ri-arrangiamento più difficoltoso forse è stato quello di “Kangaroo”. Le voci che ci sono fin dall’inizio, e che rimangono per tutto il tempo, sono tutte armonizzazioni di Letizia, e poi a un certo punto entra un arpeggiatore di terzine che aveva suonato Marco, e che creava un effetto molto strano che non ci è riuscito di ricostruire… dunque abbiamo tenuto una vecchia registrazione, e dopo diverse difficoltà siamo riusciti a incastrarla con i cori, con il pianoforte e gli altri elementi. Avendoci dedicato energie e sperimentazioni varie, il risultato finale ci ha dato molta soddisfazione. Insomma, risponderei che è stata “Kangaroo” a darci sia maggior difficoltà che maggior appagamento, e ci è stato fatto notare anche da molti ascoltatori.
Con “Cosmic Gathering” ed “Echoes” abbiamo scoperto una band che è davvero felice di giocare, sperimentare, provare nuove strade, capire dove e come inserire entrate e uscite di strumenti diversi, fino a trovare esattamente quell’equilibrio unico che serve al brano specifico. Senza dubbio ci vuole del tempo in più, ma è proprio quello che ci diverte e ci dà soddisfazione. Per esempio, nella versione riarrangiata di “Cosmic Gathering” che si trova in “Echoes”, c’è una batteria elettronica, che è una CR78 della Roland che ha comprato Niccolò… l’abbiamo registrata così perché ci piaceva il fatto di usare una drum-machine degli anni ‘70… poi però abbiamo dovuto modificarla in fase di editing, perché essendo molto vecchia tirava fuori dei suoni troppo strani. Un approccio un po’ da nerd, forse, ma anche questo è un lato che senza dubbio ci contraddistingue.
Siamo vicini alla riapertura quasi totale. Avete già programmato un tour di supporto all’Ep?
C’è qualcosa in ballo, sì, anche se ancora da confermare, e per ora tutto in Toscana. Molto probabilmente faremo sia degli show full-band in cinque, e poi dei concerti anche in quartetto, nell’assetto che noi chiamiamo “da camera”. Possiamo proporre spettacoli diversi a seconda della location, del tipo di luogo o di festival, o in base alla richiesta specifica.
La vostra proposta musicale è davvero molto varia, attraversa tante influenze diverse. Puoi far luce sui riferimenti musicali principali di ogni membro della band?
Parto da Niccolò, il batterista, di cui abbiamo già un po’ accennato. Lui viene in primis dal Punk, ma è sempre stato un musicista versatile. Ad esempio, sono molto importanti le sue influenze Jazz, e ascolta musica a tutto tondo, anche molta roba italiana. Sempre in California, ha avuto occasione di studiare con batteristi Soul e Funk, dunque puoi immaginare quanto lo spettro sia ampio.
Anche Francesco viene dal Metal e dal Punk, con qualche sfumatura Emo in gioventù. Poi però si è aperto a tutte le proposte islandesi e nordiche, ai Sigur Ros ma non solo, e il suo mondo da lì si è espanso, infatti quest’influenza si sente anche nella band, soprattutto per certi riverberi, certi suoni molto eterei.
Letizia ha una formazione prettamente classica perché è diplomata in Violino al Conservatorio di Ferrara… in realtà lei viene anche da quel mondo un po’ più Folk, Folk-Pop, e dalla World Music.
Marco viene dal Post-Rock, da quelle proposte quasi prettamente strumentali tipo Mogwai, Explosions In The Sky. Poi è stato influenzato molto anche da artisti come Arcade Fire, o Kevin Morby, insomma, da tutti quei musicisti che riescono a mescolare molti generi di derivazione americana, risultando sempre coerenti e organici.
Io, un po’ come Marco, vengo dal Punk dei ‘90/2000, poi però, di fatto, mi è sempre piaciuto il Folk Rock americano, dai classiconi come Bob Dylan ai più contemporanei come Richard Swift.
In generale, direi che le band che più ci hanno influenzato in generale, inizialmente sono stati gli Arcade Fire, i Fleet Foxes e gli Edward Sharpe and the Magnetic Zeros, tutte proposte che ci davano questa idea di Big Band allargata. In effetti ci piacerebbe riuscire a crescere ancora, magari da 5 a 6 elementi, e allargarci ulteriormente, chissà… di sicuro nei live adoriamo invitare qualche amico a darci manforte.
Per concludere, è immancabile la richiesta di darci qualche piccolo accenno al futuro dei Flame Parade.
Per il futuro prossimo stanno arrivando canzoni nuove, che per ora suonano in maniera molto diversa da ciò che abbiamo fatto finora. Inoltre stiamo progettando un’idea di fusione fra due band, operazione che però vorrei lasciare un po’ avvolta nel mistero… dai, solletichiamo i lettori di Rock Nation ma senza dare spoiler. Seguiteci, e ne vedrete delle belle!
E, da par mio, non posso che sentirmi di credere alle parole di Mattia. Quantomeno un piccolo tour estivo è già certo, perché dal giorno dell’intervista le date si sono poi concretizzate. Ecco come e dove poter seguire i Flame Parade, assolutamente da non perdere in assetto live:
13.07 – Orientoccidente /Teatro Garibaldi Figline V.no (FI)
17.07 – Ex Fabrica / Prato (PO)
27.08 – Domino Festival / Stadio Comunale Del Buffa, insieme a Tre allegri ragazzi morti, Elephant Brain e Nervi.
Articolo di Simone Ignagni